I grandi network internazionali stanno “coprendo” questa guerra in Ucraina con la solita sobrietà e competenza, senza il rischio di annoiare, affidandosi da un lato a inviati sul campo che sanno fare il loro mestiere e dall’altro, in studio, a giornalisti senior ed esperti veri di geopolitica e di strategie militari con le lenti dell’analisi comparata e della storia È un mix fra l’ansiogeno e il lacrimevole, costruito a tavolino per puntare dritto alla pancia e non alla testa del tele-spettatore, per impressionarlo e tenerlo attaccato allo schermo, bombardandolo di notizie ad alzo zero, senza un filtro che le ordini, che ne indichi le priorità e le contestualizzi. La war television, inventata da Peter Arnett, in Italia è condita all’amatriciana, con l’ossessione del ritmo e una girandola di ospiti ridotti a comparse cui viene concessa la parola per una manciata di secondi, senza dar loro il tempo di argomentare e provare a spiegare quello che succede sul campo. Quella in Ucraina è la prima vera guerra combattuta “in diretta” dai belligeranti, sui social media prima che sul campo di battaglia, accessibile senza mediazioni giornalistiche di sorta per conquistare il consenso emotivo degli utenti L’articolo di AMEDEO RICUCCI SARÒ FRANCO: LA nostra tv che mette l’elmetto e va alla guerra alla...

Questo contenuto è riservato ai soli abbonati.

È inviato speciale del Tg1. Si occupa di Medio Oriente e Africa – dove ha vissuto a lungo − e, negli ultimi 25 anni, ha seguito per la Rai i più importanti conflitti e crisi internazionali in quelle regioni. Ha ricevuto diversi riconoscimenti nazionali e internazionali – dal Premio Ilaria Alpi al Premio Carlo Azeglio Ciampi “La schiena dritta” – e ha scritto due libri: “La guerra in diretta” (Pendragon, 2004) e “Cronache dal Fronte” (Castelvecchi 2019).