Furono protetti da Giulio Cesare, chiusi nel ghetto da Paolo IV Carafa, resi uguali da Carlo Alberto. Perseguitati dai nazifascisti, si batterono in prima fila nella riconquista della nostra libertà


di VITTORIO EMILIANI

Gli Ebrei non sono mai stati moltissimi nell’Italia moderna, un decimo dei seicentomila presenti in Francia. Erano molti di più anticamente nella Repubblica e poi nell’Impero romano o nella Sicilia governata dagli Arabi (circa centomila, senza grandi contrasti, tranne un pogrom a Modica alla fine del ‘400). Ma ciò che va detto subito è che gli Ebrei giunsero a Roma non perché cacciati dalla loro terra o da Gerusalemme ma pacificamente quali mercanti, commercianti, prestatori di denaro, ecc. sistemati per secoli soprattutto in Trastevere dove ci sono i resti di una piccola Sinagoga medioevale o nel grande porto di Ostia. Nell’Arco di Costantino c’è un bassorilievo dove si rappresentano i funerali di Giulio Cesare e in esso si vedono gli Ebrei romani con le Hamenorah piangere la morte del loro protettore.

Poi ci sarà la distruzione del Tempio da parte dell’imperatore Tito e la cacciata degli Ebrei dalle loro terre d’origine. Anche di Gesù Cristo il biblista cardinale Carlo Maria Martini parlava come di un «grande profeta ebraico». Più tardi è venuto la dissennata decisione di Paolo IV Carafa di rinchiudere, nel 1555, negli angusti confini del Ghetto, il popolo dei Giudei che da lì in avanti sarà sottoposto a Roma ad una serie continua di angherie. Costretti a portare tesori aurei al papa appena eletto a Ponte Sant’Angelo e poi costretti a correre ignudi coi maiali in via del Corso durante il Carnevale.

In altre città italiane la loro vita era assai meno sacrificata. A Venezia il Ghetto (forse da Get, fonderia) era nato soprattutto come forma di autodifesa, al modo in cui lo testimoniano il Gheto Novo e il Gheto Vecio.  Nel Ducato di Urbino gli ebrei, ben 500 sui 5.000 abitanti dentro le mura, potevano risiedere ovunque, possedere case e anche poderi. Pure a Mantova e a Ferrara godevano di molte libertà. Quando Vaspasiano Gonzaga volle costruire vcino a Mantova la “città ideale” di Sabbioneta , utilizzò i banchieri ebrei di Fondi nel basso Lazio feudo della moglie che la seguirono al Nord. Certo a Sabbioneta sorge una delle più belle e conservate Sinagoghe esistenti in Italia a riprova della grande nobiltà culturale dei Gonzaga e dei loro finanziatori ebrei.

Gli stessi equilibri demografici in alcune comunità, in specie in quella di Roma, già affollatissima, furono ulteriormente aggravati dall’editto col quale, nel 1492, Ferdinando e Isabella la Cattolica espulsero dalle loro terre (incluso il Mezzogiorno d’Italia) tutti i cittadini ebrei. Che in buona parte si riversarono in Italia. Si crearono però anche grandi comunità mediterranee, molto liberali, come quella di Salonicco.

L’avvento della Rivoluzione americana e di quella francese con la conseguente liberazione di numerosi Stati e Staterelli, a regimi autoritari, anche la condizione degli italiani ebrei migliorò notevolmente e ancor più durante il Risorgimento. E’ del 1848 – proprio dopo la sconfitta in battaglia – che Carlo Alberto di Savoia lancia da Voghera l’editto col quale equipara gli israeliti a tutti gli altri cittadini del Regno di Sardegna. Gli Ebrei partecipano attivamente alle guerre di Indipendenza e alle Repubbliche di Roma e di Venezia nel 1849. Nella città lagunare a condurre le operazioni di difesa erano ebrei come Daniele Manin che in realtà si chiama Medina. Altri ebrei, Senjgallia, Alatri, Coen, Ottolenghi, Hanau, prenderanno in seguito parte attiva alla liberazione di antiche città dove irrompe la democrazia.

Le traversie degli ebrei europei non erano certo finite. Anzi il ’900 sarebbe stato il secolo terribile della Shoa, cioè dello sterminio sistematico promosso soprattutto dai Nazisti al quale i Fascisti diedero un contributo importane coi campi di Fossoli e di Bolzano, con la Risiera di San Saba. Molti purtroppo furono i delatori. Tranne che in alcune città. Posso testimoniare, ad esempio, che tutti gli ebrei urbinati si salvarono per tempo giovani e vecchi.

Fra gli esponenti antifascisti importanti, protagonisti anche della Resistenza, sono ebrei: penso ai fratelli Carlo e Nello Rosselli reduci dalla guerra di Spagna, trucidati nel ’38 da sicari fascisti, penso ad Eugenio Colorni co-autore del Manifesto di Ventotene, ucciso a Roma in un conflitto a fuoco coi nazifascisti, penso a Umberto Terracini torinese arrestato nel 1926 e tornato libero per la caduta di Mussolini diciassette anni dopo. Ma, essendo due volte espulso dal Pci (per anti-stalinismo e per il suo no allo sciagurato patto Ribbentrop-Molotov) e minacciato in quanto ebreo, fu accolto quale segretario della Repubblica partigiana dell’Ossola dal socialista Ettore Tibaldi professore a Pavia.

Foto: sopra il titolo, bassorilievo nell’Arco di Costantino: gli ebrei romani piangono ai funerali di Giulio Cesare con le Hamenorah per la morte del loro protettore; al centro, dipinto della cacciata degli ebrei dopo l’editto di Isabella la Cattolica nel 1492; in basso, il rastrellamento nel ghetto di Roma.

Direttore onorario - Ha cominciato a 21 anni a Comunità, poi all'Espresso da Milano, redattore e quindi inviato del Giorno con Italo Pietra dal 1961 al 1972. Dal 1974 inviato del Messaggero che ha poi diretto per sette anni (1980-87), deputato progressista nel '94, presidente della Fondazione Rossini e membro del CdA concerti di Santa Cecilia. Consigliere della RAI dal 1998 al 2002. Autore di una trentina di libri fra cui "Roma capitale Malamata", il Mulino.