L’inchiesta di Milano sui “palazzi infiammabili” rivela una speculazione che starebbe mettendo tuttora a rischio la vita di migliaia di ignari cittadini. Un assoluto disprezzo delle imprese private verso le norme antincendio; l’incredibile indifferenza – espressa negli interrogatori raccolti dagli inquirenti – di alcuni tecnici, funzionari e dirigenti del Comune di Milano; pannelli considerati ad alto rischio e l’uso indiscriminato di materiali scadenti di protezione. E l’allarme inascoltato per palazzi che potrebbero prendere fuoco con un semplice fiammifero. Il caso di Varese, dove il prefetto chiede di smantellare i pannelli considerati pericolosi di un albergo, ma prima che il suo ordine sia eseguito l’edificio viene distrutto da un incendio. Di seguito un primo elenco di una ventina di “palazzi nati per bruciare” (fra cui il CNS Report Nuovo Stadio Juventus) ricavato dagli archivi clienti e dalle chiavette usb delle aziende coinvolte. Da Milano, l’informativa sul rischio incendio è arrivata a tutte le prefetture interessate sei mesi fa, ma, tranne che a Varese, non si ha notizia di interventi di bonifica e nemmeno di verifiche


L’inchiesta di MAURIZIO MENICUCCI

La Torre dei Moro, prima e durante l’incendio del 29 agosto 2021; sotto il titolo (credit Claudio Furlan/LaPresse)

NELL’INCHIESTA DELLA Procura di Milano sui “palazzi nati per bruciare” che nell’articolo di ieri vi abbiamo cominciato a raccontare, quel che più allarma, oltre al disprezzo delle imprese private per la norme antincendio, è che la stessa indifferenza viene espressa, agli inquirenti allibiti, da tecnici, funzionari e dirigenti di vari uffici del Comune di Milano, chiamati a controllare i lavori in corso d’opera e certificarli a fine lavori, come poi avviene con sospetta celerità, e forse solo sulla carta, nonostante quelli che i periti dell’accusa definiscono «macroscopici vizi di progettazione e di esecuzione». Anche da questa parte, risalendo nel tempo, le responsabilità sono diffuse e, se non fossero decorsi i termini di legge, ce ne sarebbe pure per l’ente certificatore, l’Istituto Giordano di Bellaria, vicino a Rimini. A prima vista, potrebbe sembrare che l’azienda Cantori, distributrice italiana dei pannelli Alucoil, abbia barato anche nei confronti del laboratorio romagnolo, perché, nel 2010, quando manda in Romagna i Larsen PE da omologare alla vendita in Italia, ne tace la configurazione ideata per la Torre milanese. Afferma che «saranno a contatto delle pareti», mentre il vero progetto è di montarli a distanza, creando la famigerata intercapedine.

In realtà, la corrispondenza nelle mani degli inquirenti rivela che i tecnici del Giordano sarebbero stati al corrente dell’escamotage, al quale, anzi, si sarebbero prestati di buon grado, se non addirittura in modo attivo. Ad esempio, scegliendo di certificare il prodotto in base alle norme antincendio italiane, oramai in scadenza. Come previsto, un anno dopo, nel 2012, quelle europee, molto più stringenti, diventano obbligatorie e i Larson PE, montati lì, e così, sono a tutti gli effetti illegali, come del resto già da anni erano vietati negli Stati Uniti. Se non che, a quel punto, la Torre è finita, le vele incendiarie garriscono al vento e, soprattutto, gli appartamenti sono stati tutti venduti ai clienti che facevano la fila. Ma il loro sogno, realizzato a caro prezzo, di un nuovo modo di abitare il cuore elegante e operoso di Milano comincia quasi subito a puzzare di bruciato. Nel 2013, volendo sostituire, o almeno ripulire, i pannelli già malandati e neri di smog, i proprietari si accorgono che i libretti di manutenzione si riferiscono a un’altra marca e a un altro tipo di pannelli, e che, in ogni caso, le vele sono inaccessibili. Ne chiedono conto ai venditori, che si defilano. Allora passano alle vie legali, ma la causa viene fatta impigliare dagli avvocati della controparte in un groppo di riferimenti normativi che ora la Procura giudica pretestuosi e contestabili, se non palesemente infondati.

Quel che è rimasto delle vele incendiarie alla Torre dei Moro di Milano

Di eccezione in eccezione, la querelle sull’accessibilità delle vele si prolunga, finché, a chiarire che si tratta di ben altro, non arrivano gli incendi: prima Grenfell a Londra, nel quale, dicono ancora le indagini, spagnoli e italiani riconoscono benissimo il ruolo determinante dei pannelli cerino. Poi, via Antonini, a Milano, che conferma definitivamente l’emergenza. Infine, il 6 ottobre scorso, va in fiamme anche la facciata dell’Una Hotel di Varese, attrezzata con i soliti Larson PE. Un destino davvero maligno, perché Varese è l’unica città dove il Prefetto, Salvatore Pasquariello, ha raccolto subito le indicazioni della Procura meneghina, cosicché il fuoco arriva proprio quando si stanno per smantellare le vele pericolose negli edifici dove risultano presenti: l’ospedale San Filippo al Ponte e, appunto, l’Una Hotel. Può darsi che la sfortuna ci veda benissimo, ma è più probabile che questi materiali siano veramente una bomba a orologeria. Non è un caso se Mary Peacocks li aveva definiti «pronti a esplodere».

Oggi, l’inchiesta è entrata con rinnovato clamore nella fase processuale. La sua importanza va molto al di là della vicenda milanese e chi ha avuto la pazienza di accompagnarci fin qui avrà già intuito il perché: le vele di pannelli Larson PE, non si trovano solo nella Torre dei Moro di Milano, e nell’ospedale e nell’albergo di Varese. E gli edifici che potrebbero ardere per un semplice mozzicone di sigaretta, come pare sia successo all’hotel di Varese, sono molti di più. Dagli archivi clienti e dalle chiavette usb delle aziende coinvolte sono saltati fuori: il Data Center Aruba di Ponte San Pietro a Bergamo; il palazzo E3 Est, in piazza Gae Aulenti a Milano; la Acef Azienda Chimica Farmaceutica di Fiorenzuola d’Arda; la nuova sede della Transfer Oil di Parma; il quartier generale della Moda Srl Twin Set a Carpi; il Nuovo Terminal Crociere di Civitavecchia; il Breaking Hotel al casello di Giulianova Marche; il Nuovo Terminal Aeroporto di Aosta; il CNS Report Nuovo Stadio Juventus; l’Engineering Ostiglia; il progetto Focchi Cantori di Quattro Ospedali in Toscana; il Guala Closures Group di Alessandria; Italmontaggi Arredo Casa di Cornedo Vicentino; il My Hotel a Bologna; lo Sky Line Le Fontane Shopping Center di Catanzaro.

Da Milano, l’informativa è arrivata a tutte le prefetture interessate almeno sei mesi fa, ma, tranne che a Varese, non si ha notizia di interventi di bonifica e nemmeno di semplici verifiche. C’è da sperare che, di qui alla primavera, quando le temperature risaliranno, qualcuno si muova, anche perché, fanno trapelare dal Palazzo di Giustizia, le conseguenze per eventuali, e probabili, omissioni sui controlli, sarebbero, in caso, d’incendio, non più solo civili, ma penali. Che si tratti, poi, solo di questa ventina di casi non è affatto verosimile. Basta osservare che nella lista non figura nessun edificio residenziale. Quindi è lecito il sospetto che ritardi e reticenze ormai evidenti nelle attività di verifica sugli edifici a rischio dipendano dal timore che dal Vaso di Pandora, ormai aperto, si scateni un problema di controlli antincendio così diffuso, da diventare ingestibile dal punto di vista delle responsabilità e del risanamento: il costo della sola sostituzione dei pannelli all’ospedale di Varese,  340 mila euro, è eloquente.

L’incendio dell’albergo di Varese rivestito di pannelli Larsen PE è l’ultimo in ordine di tempo, scoppiato il 6 ottobre 2022

«A prescindere da chi paga, ci vorrebbe un altro maxi superbonus», riflette il professor Lembo. Oltretutto, è da ingenui pensare che, in un mercato attento ai centesimi di euro, i Larsen PE non abbiano concorrenti al ribasso. Lembo conferma i peggiori sospetti: «Circolano pannelli con l’anima in polietilene anche più pericolosi e spesso a farli produrre da terzi sono le stesse multinazionali che firmano prodotti a norma, così monopolizzano il settore. Credo che gli edifici di civile abitazione a rischio siano centinaia». Nega, però, che sia colpa delle leggi: «Lasciamolo dire a chi viene sorpreso con le mani nel sacco, in realtà le nostre sono migliori, ad esempio, di quelle inglesi».

Inutile fargli notare che in Italia, a guardie & ladri, si gioca così: prima tutti da una parte; poi tutti dall’altra, così si risparmia sugli inseguimenti. Da tecnico competente qual è, Lembo conosce bene la situazione e le distorsioni del sistema: «Purtroppo, le truffe sono all’ordine del giorno anche nel campo dei materiali per l’edilizia». Per favore, professore, la cruda verità: parlando di superbonus, non è che finiscano per slegare ancora più le mani a chi delinque a mezzo mattone? «Su questo non ho dubbi. Una delle tante possibili frodi che adesso vanno per la maggiore è quella degli intonaci all’idrogel e dei materiali miracolosi per cappotti, che promettono in dieci centimetri di spessore lo stesso potere isolante di un pannello di trenta. Ovviamente, è falso». Ma, e le certificazioni? «Allegano quelle di altri prodotti. Ci vorrebbero controlli spasmodici, altrimenti tra un po’ le case superbonizzate rischiano di andare a fuoco al primo petardo che cade sul balcone».

In conclusione, siccome i controlli normali non ci saranno mai figurarsi quelli spasmodici; e siccome, in ogni caso, a sanare anche questi peccati come i precedenti, provvederebbe subito qualcun altro, non resta che rassegnarsi ai ritorni di fiamma, oppure esercitarsi a rilanciare il petardo in strada, prima che deflagri. A meno che, professor Lembo, visto che a San Silvestro manca poco: e se ci limitassimo a festeggiarlo con le stelle filanti, il pericolo sarebbe lo stesso? «Eh, dipende dal vento». Come sempre, in Italia, ma se te lo dice il guru delle vele, non quelle di Nerone, ma quelle fatte a regola d’arte e a prova di fuoco, allora è meglio prenderlo sul serio. — (2. fine; la prima parte della nostra inchiesta è stata pubblicata qui ieri) © RIPRODUZIONE RISERVATA

Inviato speciale per il telegiornale scientifico e tecnologico Leonardo e per i programmi Ambiente Italia e Mediterraneo della Rai, ha firmato reportage in Italia e all’estero, e ha lavorato per La Stampa, L’Europeo, Panorama, spaziando tra tecnologia, ambiente, scienze naturali, medicina, archeologia e paleoantropologia. Appassionato di mare, ha realizzato numerosi servizi subacquei per la Rai e per altre testate.