Richiamato in patria dall’esilio politico in Francia, Enrico Letta prese in mano un partito diviso in tre correnti (veri protettorati autonomi) abituate a scegliere il segretario più anonimo e pacifico possibile. Personalità colta anche se non carismatica (i carismatici non sono mai degli intellettuali), si è dato una missione e l’ha perseguita con coraggio e continuità: sostenere la lotta contro il Covid, sostenere Draghi e sostenere l’Ucraina. Non ha capito cos’è oggi — in tempi di populismo — una campagna elettorale italiana. Un bazar di offerte, sconti, regali. Baby pensioni, redditi di cittadinanza, bonus edilizi. Esenzioni fiscali e flat tax. Letta ancora oggi non si capacita perché i suoi temi così alti, fondamentali e fondativi, non abbiano avuto la meglio Il pensierino di GIANLUCA VERONESI . DI SOLITO IN POLITICA quando si perde si fa finta di niente e si riparte immediatamente per recuperare il terreno perduto. Oppure ci si ferma a riflettere bene sui propri errori, soprattutto per non ripeterli o peggiorarli nel momento in cui si è in confusione mentale post trauma. Il Pd non sta facendo né l’uno né l’altro. Con un segretario (di fatto dimissionario) che ha ereditato tanti errori dal passato, a cui ha aggiunto i suoi e che in questo interregno aumenta la sua...

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Si laurea a Torino in Scienze Politiche e nel ’74 è assunto alla Programmazione Economica della neonata Regione Piemonte. Eletto consigliere comunale di Alessandria diventa assessore alla Cultura e, per una breve parentesi, anche sindaco. Nel 1988 entra in Rai dove negli anni ricopre vari incarichi: responsabile delle Pubbliche relazioni, direttore delle Relazioni esterne, presidente di Serra Creativa, amministratore delegato di RaiSat (società che forniva a Sky sei canali) infine responsabile della Promozione e sviluppo. È stato a lungo membro dell’Istituto di autodisciplina della pubblicità.