UNO SPETTRO SI aggira per l’Europa. Non è, naturalmente, il comunismo di Marx, ma la Ira (Inflation Reduction Act), un disegno di legge firmato da Biden in agosto che prevede una spesa di 750 miliardi di dollari in dieci anni di cui 369 miliardi dedicati a «rendere più verde l’America» o meglio l’economia americana. Lo spettro impaurisce l’Unione Europea e diversi capi di governo europei. In prima linea Macron, che è volato a Washington, e poi il cancelliere tedesco Scholtz. Perché? Il progetto ha un obiettivo quasi impensabile per un politico europeo: associare la questione del riscaldamento climatico con l’economia e in particolare con la politica industriale attraverso l’intervento dello stato, agendo sia sulla domanda che sull’offerta. Esempio: un americano che acquista un’auto elettrica può avere un sussidio di 7500 dollari a condizione che sia interamente fabbricata negli Usa. Le principali risorse da investire sul clima devono essere prodotte in America e con posti di lavoro americani.

Stato, politica industriale, sussidi, fisco. Ecco le ragioni dello spavento europeo. Il progetto Ira viene giudicato protezionista, violatore delle regole del commercio internazionale, eretico. Infatti un po’ eretico lo è rispetto al liberismo. I dirigenti europei che hanno impiegato tre mesi per accorgersi di ciò si trovano ora di fronte ad un cambiamento non concepibile per la loro visione del mondo. I consiglieri economici del presidente americano sono forse dei nostalgici di Keynes? No, risponde l’economista Rodrik, uno degli estensori del progetto. Il modello keynesiano era basato sul welfare e gli ammortizzatori sociali. Rodrik, insieme ad altri, fa parte degli economisti che teorizzano e praticano un modello economico battezzato “produttivismo” che fa della creazione di posti di lavoro l’obiettivo cardine a cui destinare risorse. Un paradigma che ha bisogno di intervento dello stato e di progetti di politica industriale a tutti i livelli e settori.

In questa rassegna non c’è spazio per entrare maggiormente nel merito. Sarà fatto in seguito. Alleghiamo invece due articoli, entrambi critici sull’Europa ma con angolazioni differenti. Nel primo, l’editorialista Christian Chavagneux su “Alternative Economiques” denuncia la mancanza di una visione: https://www.alternatives-economiques.fr/christian-chavagneux/etats-unis-europe-un-affrontement-a-369-milliards/00105291?utm_campaign=sharing&utm_content=whatsapp; il secondo, di Jean Quatremer su “Liberation”, fa del modello americano un esempio da seguire ma… le idee hanno bisogno di chi le fa marciare: https://www.liberation.fr/international/amerique/vu-deurope-un-protectionnisme-americain-qui-derange-20221129_HKLYLHWS5NC6ZLWTH5WTKZX6ZI/?redirected=1&redirected=1. (rassegna stampa a cura di Toni Ferigo) © RIPRODUZIONE RISERVATA

Nato a Torino, ha svolto diversi compiti nella Federazione Italiana Metalmeccanici: delegato in fabbrica, responsabile zona a Rivalta (To), ufficio formazione e ricerca nella federazione nazionale, responsabile ufficio internazionale Flm, membro della segreteria della Fism (Federazione Mondiale Sindacati Metalmeccanici) con sede a Ginevra. Nella sua attività si è occupato, in particolare, di studi e ricerche sulla organizzazione del lavoro nel settore automotive, dei sistemi di relazioni industriali in Europa, Usa e America Latina. Per la Fism è stato anche coordinatore delle Aree balcaniche e del Medio Oriente. Attualmente vive nella riserva indiana della Val Susa, e svolge qualche ricerca di base sulle condizioni di lavoro nel presente.