
Nelle ore del caloroso abbraccio sull’Appia Antica sono scaduti anche i termini di metà gennaio per gli emendamenti alla delega fiscale. E i fucili del trio Meloni-Salvini-Berlusconi sono tutti allineati ai posti di combattimento, da dentro e fuori il governo: stralcio della riforma del catasto, revisione della tassazione d’impresa e razionalizzazione dell’Iva. Sul primo punto, il governo si è impegnato ad aggiornare i valori patrimoniali sulla base del mercato. Ma la destra, compatta, si oppone: danneggerebbe “tutti gli italiani”, non si sa su quale base. La riforma fu messa sul binario morto già una prima volta — guarda le coincidenze — nel 2016 dal governo Renzi. E non è tutto
Questo editoriale apre il numero 18 del nostro magazine pubblicato nelle edicole digitali dal 16 gennaio 2022
L’editoriale di IGOR STAGLIANÒ
GUARDIAMOLO INSIEME QUESTO scatto dell’agenzia La Presse: Berlusconi abbraccia e bacia Salvini con sprezzo del pericolo Omicron. Ai piedi ha uno dei suoi venti barboncini e un piccolo maltese. S’intravvede — impallata dai due maschi Alfa — la silhouette di Giorgia Meloni in camicione bianco, pantaloni e stivali neri. La via verso l’erto Colle ha i suoi costi, ma i ricavi non sono affatto scontati in un Paese, il nostro, che ha inventato prima il fascismo e poi i tycoon ai vertici dello stato (Trump ha implementato il modello). Baci e abbracci ufficializzano la candidatura di Sua Emittenza al Quirinale. Ma sono anche l’inizio della fine del governo Draghi.

Nelle ore del caloroso abbraccio sono scaduti anche i termini di metà gennaio per gli emendamenti alla delega fiscale. E i fucili del trio Meloni-Salvini-Berlusconi sono tutti allineati ai posti di combattimento, da dentro e fuori il governo: stralcio della riforma del catasto, revisione della tassazione d’impresa e razionalizzazione dell’Iva. Sul primo punto, il governo si è impegnato ad aggiornare i valori patrimoniali sulla base del mercato. Da un catasto aggiornato ci guadagnerebbero le aree interne del Paese, il Mezzogiorno, le periferie delle grandi e medie città. Lo documentano i dati di Agenzia delle Entrate, Istat e Omi. La destra, compatta, si oppone: danneggerebbe “tutti gli italiani”, afferma. Non si sa su quale base. La riforma votata in parlamento fu messa sul binario morto già una prima volta — guarda le coincidenze — nel 2016 dal governo Renzi.
Oggi ci risiamo, anche sull’Iva, la tassa più evasa d’Italia. I redditi da lavoro diminuiscono e la tassa sui consumi cresce, allargando le disuguaglianze. Da almeno dieci anni la Commissione europea ci esorta ad abbassare le tasse sul lavoro e gli investimenti, ma da questo orecchio non ci sentiamo. Dovendo rendere conto dei vincoli della Next Generation Eu nell’utilizzo del Pnrr, stavolta sarà più difficile ignorarla: «Le basi imponibili meno penalizzanti per la crescita, come il patrimonio e i consumi, sono sottoutilizzate» hanno certificato tutti i capi di stato e di governo, Draghi compreso. Ma ora il cerchio si chiude a tenaglia sulle sue stesse parole. Ricordate l’icastico «Non è tempo di prendere ma di dare», a inizio primavera? Ecco, il conto la destra l’ha già deposto sul suo tavolo.

In effetti dare s’è dato. Secondo i calcoli de “lavoce.info”, da inizio pandemia gli interventi a favore delle imprese sono costati allo Stato 49 miliardi di euro (extra Pnrr). Si sono salvate 110mila imprese (il 28% del totale) in crisi per il Covid — ma anche no, ad esempio con la cassa integrazione concessa a chi non aveva subìto danni — e s’è salvato, così, il 40% dei posti di lavoro (827mila unità). Ma in quale direzione si è andati? Non abbiamo ripensato lo sviluppo verso la conversione ecologica dell’economia, né verso la creazione di posti di lavoro compatibili con la crisi climatica. Il Pil s’è impennato oltre il 6% ma nessun passo s’è fatto verso un Piano del lavoro verde, benché ineludibile per accedere ai fondi del Green deal europeo.
In un anno, da Draghi ci si poteva attendere altro. La crisi del suo governo, cristallizzata da questo scatto nella Villa Grande sull’Appia Antica, consegna al Paese una certa dose di rischio: chi garantirà al suo posto sul nostro debito? Se Parigi val bene una messa, quanto vale il Quirinale non è dato ancora sapere. © RIPRODUZIONE RISERVATA