Secondo gli analisti più autorevoli dell’automotive globale, gli europei hanno riconosciuto in ritardo che «devono fare qualcosa di piuttosto radicale e hanno solo un paio d’anni per farlo» (Phil Dunne). Per Luca de Meo — presidente dell’Acea (l’associazione europea dei costruttori di auto) e possibile successore di Tavares a capo di Stellantis — «siamo indietro di una generazione e ora ne dobbiamo colmare due». Una via d’uscita più veloce potrebbe essere quella di concentrare l’attenzione sui «veicoli elettrici per le città». La crisi era nell’aria per l’incapacità europea di gestire con efficacia la transizione verso l’elettrico. Un errore clamoroso, quello dell’Italia, di togliere 4,6 miliardi di euro al Fondo automotive per darli al comparto della Difesa


◆ L’analisi di GIANNI SILVESTRINI, direttore scientifico Kyoto Club, presidente Exalto Energy&Innovation

Scioperi in Germania contro la crisi della Volkswagen

Due notizie significative arrivano dal mondo dell’auto. Le dimissioni di Carlos Tavares da amministratore di Stellantis, che ha portato ad una perdita in borsa del titolo del 10%. E, in Germania, gli scioperi e le manifestazioni in dieci stabilimenti della Volkswagen, un segnale delle profonde difficoltà dell’azienda tedesca. L’industria automobilistica europea, che impiega quasi 14 milioni di persone e rappresenta il 7% del Pil dell’Ue, si trova in effetti ad affrontare una tempesta perfetta. La domanda di automobili sta diminuendo, proprio mentre si sta affrontando una delicata transizione dai motori a combustione interna alla propulsione elettrica. Tutto questo, mentre la Cina era partita con largo anticipo ed enormi investimenti, e, proprio come aveva fatto con il fotovoltaico, è diventata una leader della mobilità elettrica. Metà delle auto vendute in quel paese sono ormai elettriche.

Non stupisce quindi la volontà della Cina, di occupare parte del mercato europeo. L’Ue ha così deciso di aumentare in maniera differenziata le tariffe sui veicoli importati dalla Cina. Ci sono però leader del settore che affermano che il protezionismo non farà altro che rendere le auto più costose per i consumatori e accelererà la chiusura degli stabilimenti in Europa. In effetti, i dazi sono un errore e si ritorceranno contro l’industria automobilistica europea. Per di più, i marchi cinesi, al fine di evitare queste tasse, cercheranno opzioni più economiche nei paesi dell’Europa orientale come l’Ungheria o in Turchia, dove il costo della manodopera è più basso. Questa è la scelta, ad esempio, di Byd, uno dei più grandi gruppi cinesi, che punta a produrre in Europa tutte le auto che venderà nel continente. 

Montaggio delle utilitarie elettriche in uno stabilimento cinese

«Gli europei fanno suonare enormi campanelli d’allarme», ha affermato Phil Dunne, amministratore delegato della società di consulenza strategica Stax. «Hanno riconosciuto che devono fare qualcosa di piuttosto radicale e hanno solo un paio d’anni per farlo». «Le case automobilistiche cinesi di veicoli elettrici sono una generazione avanti», conferma Luca de Meo presidente dell’Acea (l’associazione europea dei costruttori di auto). «Noi ora in una generazione ne dobbiamo colmare due». Ed è interessante la sua idea di concentrare l’attenzione sui «veicoli elettrici per le città».  Peraltro, si fa anche il suo nome per la sostituzione di Tavares. Un cambio di passo rispetto alle decisioni del passato di puntare sulla elettrificazione di auto di grandi dimensioni. Solo il 17% delle auto elettriche vendute si trova infatti nel segmento “B” più conveniente, mentre l’offerta di modelli elettrici di grandi dimensioni e di lusso supera i Bev (Battery Electric Vehicle) più piccoli nel rapporto di 3 a 2. Insomma, una crisi che era nell’aria per l’incapacità europea di gestire con efficacia la transizione verso l’elettrico. Gli Usa si sono per ora protetti con dazi del 100% e hanno le risorse dell’Inflation Reduction Act.

Le batterie (Bev) che alimentano il motore elettrico sono montate sotto i sedili, sul pianale della vettura

Venendo all’Italia, sono decisamente paradossali le discussioni sulla mobilità elettrica ed è stata irresponsabile la decisione del governo di togliere 4,6 miliardi di euro al Fondo automotive per darli al comparto della Difesa. Insomma, non si è capito che siamo di fronte ad un passaggio ineludibile che andrà affrontato con alleanze con altri gruppi europei secondo il modello Airbus, o individuando con intelligenza dei partner cinesi. Come in campo energetico le rinnovabili rivoluzioneranno la produzione di elettricità, un’analoga radicale trasformazione riguarderà il comparto dei trasporti. Anche perché nella Ue questo settore ha visto nel 2023 emissioni di CO2eq del 26% più elevate rispetto al 1990, a fronte di un impegno al 2030 di una riduzione del 55%! Altro campanello di allarme. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Ha svolto attività di ricerca presso il Cnr e il Politecnico Milano, dove è responsabile del master “Ridef – reinventare l’energia”. È stato direttore generale del ministero dell’Ambiente e consigliere di Pierluigi Bersani al ministero dello Sviluppo economico. È direttore scientifico del Kyoto Club un’organizzazione non profit, creata nel febbraio del 1999, costituita da imprese, enti, associazioni e amministrazioni locali, impegnati nel raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni dei gas climalteranti. È anche direttore scientifico della rivista e del portale “QualEnergia” promossi da Legambiente e da Kyoto Club. È presidente di Exalto, una società impegnata nella transizione energetica in atto. Autore di oltre 100 pubblicazioni scientifiche e di cinque libri, fra cui “2 °C - Innovazioni radicali per vincere la sfida del clima e trasformare l’economia”, 2016, e “Le trappole del clima”, 2020, scritto insieme a GB Zorzoli, Edizioni Ambiente.