A parte Alba e dintorni, nel resto della Bassa Langa, del vicino Roero e del Monferrato – pur avendo conosciuto un discreto sviluppo economico – non sono paragonabili alle colline del Barolo. Nell’Alta Langa di Revelli, dove lo sviluppo economico è stato quasi nullo e quindi nulla è cambiato. Anzi, l’Alta Langa oggi è meno abitata ed è molto meno coltivata di 100 anni fa. Un metro quadro di terreno coltivabile, in Alta langa, vale oggi circa un euro al metro quadro, nel territorio del Barolo Docg vale 300 volte di più. Per fortuna, cresce una forma di immigrazione consapevole dal Nord Europa, con un considerevole numero di stranieri residenziali, che sta rivitalizzando interi villaggi e borgate dell’Alta Langa abbandonate da anni, dando lavoro ad artigiani, commercianti, agricoltori. Avanzano le bollicine e, con i cambiamenti climatici, avanza anche l’olivo
◆ L’intervista di FABIO BALOCCO con GIOVANNI SCAGLIONE, viticoltore
► Giovanni Scaglione continua la tradizione degli avi di coltivazione della terra. In particolare quella della vite, secondo i dettami dell’agricoltura biologica. La sua azienda, “Forteto della Luja”, è situata nel comune di Loazzolo, in Alta Langa. L’azienda è dal 2007 Oasi affiliata al Wwf e dal 2011 Sede Didattica dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo. È a lui che rivolgiamo alcune considerazioni e domande sul territorio delle Langhe.
— “Il mondo dei vinti” di Nuto Revelli venne dato alle stampe nel 1977. In esso si parla anche delle Langhe. Non sono trascorsi molti decenni e quel titolo oggi suona quasi come una beffa: buona parte delle Langhe sono diventate uno dei territori più ricchi del Piemonte.
«Intanto occorre fare chiarezza sul termine “Langhe”. Quelli descritti da Nuto Revelli in realtà sono principalmente i territori dell’Alta Langa. Un vasto territorio che si estende a sud di Alba fino all’Appennino Ligure e in direzione sud/ovest fino alla cittadina di Ceva, fatto di colline molto aspre, calcaree, ripide, scarsamente coltivate (dove il bosco si sta espandendo costantemente) denominate “Alte” perché misurano tra i 550 e i 950 metri sul livello del mare. Quindi è vero che la città di Alba, specialmente il centro storico, ha visto aumentare molto il valore degli immobili negli ultimi decenni. Ed è anche vero che se usciamo dalla “capitale” e andiamo nelle campagne delle Langhe, specialmente nella Bassa Langa (un territorio limitato dal fiume Tanaro, inferiore ai 550 metri s.l.m. nelle immediate vicinanze di Alba) il prezzo dei terreni e dei vigneti di alcune colline, perlomeno quelle che rientrano nel territorio della Docg Barolo, negli ultimi trent’anni, hanno visto aumentare il loro valore fino ad arrivare a cifre astronomiche come 300 euro al metro quadro di terreno. Parliamo però di un pugno di colline. Tutto il resto della Bassa Langa, del vicino Roero e del Monferrato – pur avendo conosciuto un discreto sviluppo economico – non sono paragonabili alle colline del Barolo. Per non parlare dell’Alta Langa di Revelli, dove lo sviluppo economico è stato quasi nullo e quindi nulla è cambiato. Anzi, l’Alta Langa oggi è meno abitata ed è molto meno coltivata di 100 anni fa. Tanto per capirci, un metro quadro di terreno coltivabile, in Alta langa, vale oggi circa un euro al metro quadro. Quindi 300 volte meno di un metro quadro a Barolo. Direi quindi che le Langhe non sono tutte uguali».
— La Bassa Langa, insieme a Roero e Monferrato, ha ottenuto il riconoscimento Unesco. Partiamo dalla considerazione che il fondovalle è rimasto escluso, del resto è lo stesso criterio utilizzato per le Dolomiti.
«Sì, certo. Il territorio Unesco si estende su una grande “buffer zone” nei paesaggi vitivinicoli di Bassa Langa, Roero e Monferrato. All’interno della “buffer zone” ci sono alcune “core zone” di particolare interesse monumentale e paesaggistico. La caratteristica principale di questo territorio è quello di essere il più grande territorio agricolo a mosaico del mondo. In pratica un territorio dove è largamente diffusa la piccola proprietà contadina. Questa caratteristica non riguarda il fondovalle dove troviamo il latifondo ed una estesa realtà di industrie e servizi, che contrastano con la realtà collinare. E il fondovalle, infatti, rimane escluso. Purtroppo l’Alta Langa, dove la piccola proprietà contadina è altrettanto diffusa e dove pure si rinviene una importante viticoltura “eroica”, poco invasiva, e una grande biodiversità, questo territorio è stato escluso al pari del fondovalle».
— Seconda considerazione. Il riconoscimento Unesco ha avuto l’effetto di aumentare considerevolmente il flusso turistico. Secondo te, questo è un bene? Ovvero: è solo un bene?
«L’aumento dei flussi turistici comporta sempre inevitabilmente qualche problema, tuttavia sia in termini economici sia in termini di scambi culturali tra piemontesi e visitatori che vengono da tutto il mondo, i vantaggi sono maggiori degli svantaggi. I Piemontesi, specialmente i Langhetti, tradizionalmente chiusi e diffidenti, hanno anche imparato a salutare, sorridere e qualcuno ha anche studiato un po’ di lingua inglese. Il paesaggio Unesco di Langa, Roero e Monferrato è un territorio diffusamente antropizzato e quindi non così naturalisticamente integro e selvaggio come è l’Alta Langa o l’Alto Monferrato e tutto l’Appennino Piemontese. D’altra parte Langa, Roero e Monferrato in questi ultimi anni si sono ricettivamente strutturati e sono in grado di ricevere abbastanza bene questo consistente numero di visitatori. Invece nell’Alta Langa gli ospiti al momento sono molto meno numerosi però fortunatamente in Alta Langa abbiamo un considerevole numero di stranieri residenziali. Persone che provengono prevalentemente dal Nord Europa e che sono interessate ad acquistare e ristrutturare le tante abitazioni rurali abbandonate per farne delle seconde case, ma anche per venire a viverci stabilmente. Una forma di immigrazione consapevole che sta rivitalizzando interi villaggi e borgate dell’Alta Langa abbandonate da anni, dando lavoro ad artigiani, commercianti, agricoltori. Essendo zone a vocazione agricola e in gran parte sottoposte a vincoli idrogeologici, la costruzione di nuove case è generalmente interdetta ma la ristrutturazione coerente si può fare e generalmente i nordici sono piuttosto rispettosi dei canoni estetici tradizionali e dei materiali come la pietra, il mattone di terracotta e il legno. Stessa cosa succede anche con una specie di immigrazione di ritorno dalle grandi metropoli italiane verso la campagna semi abbandonata dell’Alta Langa. Mi sembra un fatto positivo. Bisogna anche tener presente che l’espansione del bosco, a discapito dell’agricoltura estensiva e in particolare a discapito dei pascoli, frutteti e vigneti di alta collina, spesso ne riduce la biodiversità. Decine di specie di fiori, insetti (specialmente farfalle) e altri animali selvatici, prediligono gli spazi aperti e soleggiati fuori dal bosco».
— La tua azienda è sita in Alta Langa, che, come hai detto, ancora mantiene una propria identità e naturalità. Però c’è il problema del dilagare della coltivazione della nocciola e di quella del vino bianco a denominazione d’origine.
«In effetti la nocciola e ancora di più i vigneti, specialmente quelli che producono uva destinata alla vinificazione dello spumante “Alta Langa” stanno occupando alcuni terreni precedentemente destinati ai cereali o al prato ma c’è da dire che la produzione di formaggi pregiati come il Roccaverano, il Montebore, il Murazzano, che necessitano del mantenimento dei prati e dei pascoli, costituiscono in qualche modo un argine alla diffusione eccessiva del vigneto. Inoltre in Piemonte esiste una sorta di autolimitazione all’espansione del vigneto costituita dalle norme relative ai diritti di reimpianto. In pratica non si può piantare un nuovo vigneto se non se ne estirpa uno vecchio. La norma può essere in parte aggirata estirpando un vigneto in un’altra regione ma è vietata la pratica della compravendita dei diritti di reimpianto per cui diventa oneroso andare a comprare un vigneto in un’altra regione per estirparlo e trasferirlo in Piemonte. Inoltre ci sono delle limitazioni specifiche che riguardano nuovi impianti di varietà di uve già abbondantemente coltivate come l’uva Moscato. Con questo, l’espansione del vigneto in Alta Langa e Alto Monferrato costituisce sicuramente un problema da monitorare».
— E, per quanto riguarda invece la nocciola?
«In alcune zone dell’Alta Langa la coltivazione della nocciola in effetti è in aumento, ma normalmente questo aumento non è a discapito del bosco. In Alta Langa il bosco è ancora molto presente, anzi, i dati ci dicono che negli ultimi 50 anni il bosco è in costante espansione come del resto è in espansione in quasi tutte le colline preappenniniche e prealpine italiane. Disboscare per coltivare, tra l’altro, in Italia è vietato ed è un’operazione anche tecnicamente piuttosto costosa».
— È vero che i vignaioli stanno comprando terreni in Alta Langa per via del riscaldamento e della siccità?
«I cambiamenti climatici costituiscono, per l’agricoltura nelle nostre zone, cioè in tutto il basso Piemonte, un fenomeno bivalente. È vero che molti vignaioli stanno comprando terreni in Alta Langa ma non tanto per problemi climatici, quanto più per motivi economici che generalmente sono, piaccia o meno, i veri motivi che sottendono a tutte le scelte dell’uomo, potente banchiere o povero contadino che sia. Nel caso specifico, il vino spumante “Alta Langa” Docg sul mercato oggi è un prodotto piuttosto ricercato e retributivo. Infatti il fenomeno dell’aumento della superficie vitata e dei nuovi vigneti riguarda essenzialmente il territorio dell’Alta Langa e non dell’Alto Monferrato. Voglio dire che anche nell’Alto Monferrato fa meno caldo rispetto al Basso Monferrato, eppure non ci sono nuovi vigneti nell’Alto Monferrato. Anzi, sono in netta diminuzione, per vari motivi. La vite poi è una pianta mediterranea piuttosto abituata a caldo e siccità, specialmente se innestata sul vecchio portainnesti “Rupestris” come capita nei vecchi vigneti. Quindi salvo alcuni casi, il problema principale del cambiamento climatico, per il vigneto consiste in una riduzione della quantità di produzione ma anche in una riduzione dei trattamenti pesticidi (e questo è un fatto positivo) e anche un aumento della qualità delle uve. Inoltre le vendemmie, fortunatamente, possono essere anticipate se il caldo ha anticipato il grado di maturazione. Più facilmente la siccità e il caldo possono essere un problema per i noccioleti o per altri tipi di colture come il mais oppure per i nuovi vigneti e per le giovani pianticelle di vite appena piantate perché non hanno ancora un apparato radicale ben sviluppato. Questi problemi che si verificano nei nuovi vigneti costituiscono però anche un disincentivo all’espansione dei nuovi impianti quindi ne limitano l’espansione eccessiva. Altro fatto positivo. Poi ci sono colture come quella dell’olivo, che erano state abbandonate 400 anni fa per problemi climatici (a pochi minuti da casa mia c’è un paesino che si chiama San Marzano Oliveto) e adesso invece gli uliveti stanno tornando nelle Langhe. Quindi come vedi, un fenomeno bivalente con molti contro ma anche alcuni pro. In natura d’altronde, la capacità di adattamento è prioritaria».
— Tu pratichi da tempo l’agricoltura biologica. Vi sono altri vignaioli che la praticano in Langa?
«L’agricoltura biologica fa parte di questi cambiamenti, o meglio, fa parte di quel ritorno al passato quando tutta l’agricoltura era naturale e “biologica”. Ovviamente oltre a me ci sono alcuni altri agricoltori biologici. Magari non tantissimi ma sono in aumento. Però quello che stiamo cercando di fare al Forteto della Luja va un po’ oltre perché uniamo il biologico (senza pesticidi ne erbicidi di sintesi ) con il lavoro manuale e con la salvaguardia della biodiversità, farfalle e orchidee comprese. Non a caso siamo un’Oasi affiliata al Wwf da tanti anni.
— Com’è andata la vendemmia quest’anno?
«Direi che la vendemmia quest’anno come negli anni passati ci ha regalato gioie per la grande qualità e dolori per la scarsa quantità. Mentre negli ultimi anni la quantità era scarsa per via del caldo e della siccità, quest’anno la quantità è stata scarsa per i motivi opposti e cioè per il freddo e le piogge insistenti specialmente a fine maggio e inizio giugno, che hanno determinato una discreta caduta dei fiori e alcuni attacchi precoci di peronospora vitis (nota malattia fungina) che ha determinato la perdita di alcuni grappoli. Ovviamente il problema ha riguardato maggiormente i vigneti biologici che non effettuano trattamenti sistemici e sintetici contro questa malattia. Però, come dicevo, la perdita di una parte della produzione ha determinato un aumento della qualità nei grappoli rimasti. La vecchia regola: meno quantità uguale più qualità, anche questa volta si è confermata».
— Mi parli del rapporto tra agricoltori e cacciatori qui in Langa?
«Per quanto riguarda il problema della caccia e in generale della gestione faunistica, non c’è dubbio che il rapporto tra agricoltori e cacciatori sia piuttosto conflittuale. Gli interessi sono contrapposti. L’agricoltore generalmente ha interesse ad avere pochi animali selvatici che mettano a rischio le sue coltivazioni. In particolare la proliferazione incontrollata di grossi ungulati come cinghiali e caprioli in questi ultimi anni hanno causato molti danni agli agricoltori. Invece l’interesse dei cacciatori è quello di averne una grande quantità per soddisfare la propria passione venatoria. La soluzione ideale, come sempre, è quella che ci propone la natura e cioè un limitatore naturale come il lupo che in poco tempo sarebbe in grado di risolvere il problema dell’eccesso di proliferazione degli ungulati. E quindi il rapporto coi cacciatori diventa conflittuale perché il lupo è utile per l’agricoltore, non è pericoloso per l’uomo né per gli animali domestici se l’allevamento viene gestito bene, ma è una bella minaccia per il cacciatore. Perché come cacciatore il più scarso dei lupi è molto più bravo di qualsiasi cacciatore umano. Quindi in bocca al lupo, viva il lupo!»
— E tu, in particolare, che rapporto hai con i cacciatori, visto te li ritrovi nei tuoi fondi?
«Per quanto riguarda il mio rapporto col mondo della caccia, in passato ho avuto qualche problema di “sconfinamenti” da parte di alcuni cacciatori nei miei terreni (metà dell’azienda agricola Forteto della Luja è costituita da boschi e prati) e anche nei miei vigneti. Io sono stato per anni il delegato al settore “problematica caccia” del Wwf Piemonte e ho collaborato col Comitato Referendario per l’abolizione della Legge sulla Caccia in Piemonte. Negli ultimi anni i rapporti con i cacciatori sono migliorati perché per difendere i miei vigneti dall’invasione dei grossi ungulati, ho provveduto a installare delle recinzioni elettriche dissuasive a basso voltaggio e in questo modo, oltre a tenere fuori caprioli e cinghiali dai miei fondi, tengo fuori anche i cacciatori. Se mi è consentita una considerazione e divagazione conclusiva, il problema della caccia permane ancora ma il problema principale che abbiamo oggi è il progressivo divario tra l’enorme ricchezza esentasse e l’enorme potere di pochissimi individui che controllano la finanza globale, l’industria farmaceutica, l’industria energetica, l’industria alimentare, l’industria bellica e quindi la guerra, a discapito di una moltitudine sempre più numerosa e in gran parte inconsapevole di persone che soffrono di povertà. Questo è un grande problema globale la cui soluzione passa attraverso una maggiore consapevolezza e collaborazione fra noi tutti».
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