Secondo i dati Terna, ad oggi sono state presentate 824 richieste di impianti, pari a 54,4 gigawatt di potenza, di cui 547 pratiche per fotovoltaico (23,9 giga), 248 di eolico a terra (16,8 giga) e 29 domande di eolico su mare (13,9 giga). Finora solo 10 (per 0,46 gigawatt) sono state contrattualizzate. Comitati, gruppi locali ed associazioni sono sul piede di guerra e la nuova Giunta regionale guidata da Alessandra Todde (maggioranza M5s, Pd e Verdi) ha approvato una moratoria di diciotto mesi contro il Far West ai danni del paesaggio e del territorio agricolo, suscitando preoccupazioni fra i produttori di energie rinnovabili. Una crescita senza freni di domande e progetti intensificata durante la Giunta Solinas. Un tema di grande rilevanza, per qualcuno “identitario” della Sardegna del futuro. Per capire le scelte da compiere (quanta e dove produrla, come distribuirla) conviene partire intanto dai dati su quanta e quale energia si produce in Sardegna, quanta se ne consuma e quanta se ne esporta. Essere una grande isola rende forse più agevole il confronto pubblico per ragionare sul passato e soprattutto sul futuro
◆ L’analisi di ENZO STRAZZERA
► Sono tre gli aspetti fondamentali da considerare per la transizione green dell’energia. Quanta ne occorre (tenendo conto di una prospettiva almeno decennale), come produrla, come distribuirla. La quantificazione del fabbisogno di energia deriva dalla previsione dei consumi delle famiglie, dei settori industriali e dei servizi. I consumi delle famiglie sono da anni stabili, quelli relativi a industria e servizi sono proporzionali allo sviluppo delle attività economiche, per cui occorre ragionare su un progetto di sviluppo pluriennale.
Ma l’aspetto su cui si deve intervenire da subito riguarda il tipo di produzione e distribuzione dell’energia: se intendiamo produrre l’energia da rinnovabili con lo stesso schema utilizzato per l’energia da fonti fossili, vale a dire grandi centri di produzione in grado di fornire diversi Megawatt di potenza, ci troveremmo di fronte allo scenario che sta preoccupando l’opinione pubblica: parchi eolici di grandi dimensioni e distese di pannelli fotovoltaici su grandi aree. Certamente è la scelta preferita dagli investitori, perché consente di massimizzare i profitti. Sceglieranno quindi aree fortemente soleggiate o aperte ai venti, di grandi dimensioni, sottraendole ad altre forme di utilizzo.
Anche la distribuzione, oggi, sembra privilegiare questa scelta che permette di non modificare le modalità di erogazione dell’energia sin qui seguite, basate su pochi punti di produzione ed una rete diffusa di utenti. Fortunatamente esiste anche un modello che segue una diversa filosofia: quello delle reti intelligenti (Smart Grid) che collegano diversi produttori diffusi nel territorio e di piccole dimensioni a diversi consumatori. Questo modello prevede che il produttore possa utilizzare l’energia prodotta (autoconsumo) o metterla in rete a seconda delle esigenze e delle disponibilità. Perché questo sia possibile occorre che la rete sia dotata di sensori che rilevino quanta energia è disponibile da parte dei produttori e quanta ne viene richiesta dagli utenti, momento per momento. Occorrono software di gestione che mettano insieme i dati ed ottimizzino la distribuzione.
Questa scelta rappresenta un’opportunità di crescita tecnologica e di diffusione della conoscenza e porta alla costruzione di un modello replicabile. Questo scenario non è basato su grandi centrali, ma permette la realizzazione di piccole stazioni di produzione diffuse, non solo su edifici pubblici e privati, ma anche in spazi pubblici all’interno delle città. Un esempio può essere quello delle pensiline fotovoltaiche sui parcheggi: ombreggiano gli stalli, possono alimentare le colonnine di ricarica e produrre energia per la rete. Inoltre le auto ferme possono essere utilizzate come riserva di energia, aumentando la disponibilità del sistema.
Questo modello potrà essere realizzato solo se ci sarà un forte coinvolgimento delle amministrazioni pubbliche. Se invece lasciamo le scelte al mercato, cioè agli investitori privati, questi opteranno per l’altra modalità, che consente loro un maggiore ritorno sugli investimenti a scapito del bene comune, del rispetto dell’integrità dei luoghi e del paesaggio. Davanti a sé, la Sardegna ha questa sfida. Leggendoli bene e analizzando i dati sintetizzati nella scheda in alto, oggi la Regione è nelle condizioni di affrontarla e vincerla. © RIPRODUZIONE RISERVATA