La copertina del romanzo di Bassem Khandaqji pubblicato in Italia da Edizioni e/o

L’opera letteraria di Bassem Khandaqji ha appena vinto l’Arabic Booker Prize, il più prestigioso premio internazionale di narrativa araba. Racconta la storia di un giovane palestinese nato e cresciuto in un campo profughi, appassionato di storia e di archeologia. Grazie al suo aspetto poco arabo e alla perfetta conoscenza dell’ebraico e dell’inglese partecipa a una campagna di scavi sul sito di una antica fortezza romana, dove in seguito era sorto un villaggio arabo spazzato via dall’esercito israeliano. Lì spera di trovare alcuni elementi a sostegno del romanzo che vorrebbe scrivere sul cristianesimo delle origini, e in particolare sul rapporto tra Maria Maddalena e Gesù. Lacerato dalla doppia identità e dal risentimento nei confronti dei suoi colleghi l’opportunità sfuma e prevale l’angoscia di una via d’uscita impossibile alla tragedia del Medio oriente


La recensione di BATTISTA GARDONCINI *

Il palestinese Bassem Khandaqji ha quaranta anni, e da venti è rinchiuso in un carcere israeliano. È stato condannato a tre ergastoli con l’accusa di aver fatto parte del partito comunista palestinese, responsabile di un attentato suicida che nel 2004, a Tel Aviv,  provocò tre morti e una cinquantina di feriti. In carcere si è laureato, e ha scritto poesie, articoli giornalistici e romanzi. L’ultimo, “Una maschera colore del cielo”, pubblicato in Italia da Edizioni e/o, ha appena vinto l’Arabic Booker Prize, il più prestigioso premio internazionale di narrativa araba. Chiunque voglia addentrarsi nel groviglio di odio, paura e risentimento che ha portato ai tragici avvenimenti di questi giorni dovrebbe leggerlo. Non per soppesare i torti e le ragioni con le insopportabili certezze della propaganda, ma, molto semplicemente, per capire.

Un campo palestinese sotto l’egida dell’Unrwa, l’agenzia dell’Onu per la protezione dei profughi istituita nel 1948

Il protagonista è il giovane Nur Mahadi al-Shahdi, nato e cresciuto in un campo profughi, appassionato di storia e di archeologia. Grazie al suo aspetto poco arabo e alla perfetta conoscenza dell’ebraico e dell’inglese riesce a muoversi con relativa libertà anche a Gerusalemme, e la sua mimetizzazione è resa perfetta dal casuale ritrovamento di una carta di identità israeliana. Con quella riesce a partecipare a una campagna di scavi sul sito di una antica fortezza romana, dove in seguito era sorto un villaggio arabo spazzato via dall’esercito israeliano. Lì spera di trovare alcuni elementi a sostegno del romanzo che vorrebbe scrivere sul cristianesimo delle origini, e in particolare sul rapporto tra Maria Maddalena e Gesù.

Vita sociale in un kibbutz israeliano a ridosso della striscia di Gaza

Nur è però lacerato dalle contraddizioni dalla sua doppia identità, di cui può parlare solo in un dialogo a senso unico con l’amico Murad, sepolto vivo in un carcere israeliano. I messaggi vocali che non può mandargli raccontano il suo intimo tormento, mentre perfino i rapporti di lavoro con l’équipe internazionale di archeologi impegnati nello scavo si guastano a causa dei risentimenti e delle incomprensioni. Bassem Khandaqji ci dice con angoscia che non sembra esserci via di uscita possibile, e proprio per questo “Una maschera colore del cielo” non è un libro di facile lettura. Un libro che sconvolge, e turba come poche altre opere dedicate alla tragedia del  Medio Oriente. © RIPRODUZIONE RISERVATA

(*) L’autore dirige oltreilponte.org

Giornalista, già responsabile del telegiornale scientifico Leonardo su Rai 3. Ha due figlie, tre nipoti e un cane. Ama la vela, la montagna e gli scacchi. Cerca di mantenersi in funzione come le vecchie macchine fotografiche analogiche che colleziona, e dopo la pensione continua ad occuparsi di scienza, politica e cultura sul blog “Oltreilponte.org”.