L’opera letteraria di Bassem Khandaqji ha appena vinto l’Arabic Booker Prize, il più prestigioso premio internazionale di narrativa araba. Racconta la storia di un giovane palestinese nato e cresciuto in un campo profughi, appassionato di storia e di archeologia. Grazie al suo aspetto poco arabo e alla perfetta conoscenza dell’ebraico e dell’inglese partecipa a una campagna di scavi sul sito di una antica fortezza romana, dove in seguito era sorto un villaggio arabo spazzato via dall’esercito israeliano. Lì spera di trovare alcuni elementi a sostegno del romanzo che vorrebbe scrivere sul cristianesimo delle origini, e in particolare sul rapporto tra Maria Maddalena e Gesù. Lacerato dalla doppia identità e dal risentimento nei confronti dei suoi colleghi l’opportunità sfuma e prevale l’angoscia di una via d’uscita impossibile alla tragedia del Medio oriente
◆ La recensione di BATTISTA GARDONCINI *
► Il palestinese Bassem Khandaqji ha quaranta anni, e da venti è rinchiuso in un carcere israeliano. È stato condannato a tre ergastoli con l’accusa di aver fatto parte del partito comunista palestinese, responsabile di un attentato suicida che nel 2004, a Tel Aviv, provocò tre morti e una cinquantina di feriti. In carcere si è laureato, e ha scritto poesie, articoli giornalistici e romanzi. L’ultimo, “Una maschera colore del cielo”, pubblicato in Italia da Edizioni e/o, ha appena vinto l’Arabic Booker Prize, il più prestigioso premio internazionale di narrativa araba. Chiunque voglia addentrarsi nel groviglio di odio, paura e risentimento che ha portato ai tragici avvenimenti di questi giorni dovrebbe leggerlo. Non per soppesare i torti e le ragioni con le insopportabili certezze della propaganda, ma, molto semplicemente, per capire.
Il protagonista è il giovane Nur Mahadi al-Shahdi, nato e cresciuto in un campo profughi, appassionato di storia e di archeologia. Grazie al suo aspetto poco arabo e alla perfetta conoscenza dell’ebraico e dell’inglese riesce a muoversi con relativa libertà anche a Gerusalemme, e la sua mimetizzazione è resa perfetta dal casuale ritrovamento di una carta di identità israeliana. Con quella riesce a partecipare a una campagna di scavi sul sito di una antica fortezza romana, dove in seguito era sorto un villaggio arabo spazzato via dall’esercito israeliano. Lì spera di trovare alcuni elementi a sostegno del romanzo che vorrebbe scrivere sul cristianesimo delle origini, e in particolare sul rapporto tra Maria Maddalena e Gesù.
Nur è però lacerato dalle contraddizioni dalla sua doppia identità, di cui può parlare solo in un dialogo a senso unico con l’amico Murad, sepolto vivo in un carcere israeliano. I messaggi vocali che non può mandargli raccontano il suo intimo tormento, mentre perfino i rapporti di lavoro con l’équipe internazionale di archeologi impegnati nello scavo si guastano a causa dei risentimenti e delle incomprensioni. Bassem Khandaqji ci dice con angoscia che non sembra esserci via di uscita possibile, e proprio per questo “Una maschera colore del cielo” non è un libro di facile lettura. Un libro che sconvolge, e turba come poche altre opere dedicate alla tragedia del Medio Oriente. © RIPRODUZIONE RISERVATA
(*) L’autore dirige oltreilponte.org