Roma, pietra d’inciampo in ricordo dei 2000 carabinieri; sotto il titolo, campo di concentramento nazista 

Il re, il capo del governo Badoglio, i vertici militari sono fuggiti da Roma senza lasciare ordini all’esercito. La capitale rimane in mano ai tedeschi e a Nord è appena nata la Repubblica Sociale. L’esercito è sbandato. La città sembra popolata solo di donne, anziani, bambini. C’è una unica forza organizzata, preparata, armata: i carabinieri. Alle 5 e 30 vengono prelevati dalle caserme romane, messi su vagoni piombati e spediti nei campi di concentramento tedeschi. Pochissimi torneranno. Herbert Kappler (capo della polizia e dei servizi di sicurezza a Roma) non voleva averli tra i piedi in vista del rastrellamento al ghetto


L’articolo di STEFANIA CONTI

SETTE OTTOBRE 1943. Da appena un mese c’è stata la resa dell’Italia agli alleati. Il re, il capo del governo Badoglio, i vertici militari sono fuggiti da Roma senza lasciare ordini all’esercito. Anzi, il generale Ambrosio, capo di stato maggiore, emana una direttiva in cui si dice che se «i reparti germanici avanzano senza compiere atti ostili, possono essere lasciati passare ai nostri posti di blocco» e Badoglio precisa che i militari italiani devono fare solo atti di autodifesa. Viene anche deciso che i soldati italiani, invece che combattere i tedeschi, si spostino verso Tivoli (sulla via della loro fuga). La capitale rimane in mano ai tedeschi e a Nord è appena nata la Repubblica Sociale. L’esercito è sbandato. Gli uomini che sono riusciti a tornare in Italia, adesso si devono nascondere per non essere deportati in Germania. La città sembra popolata solo di donne, anziani, bambini. C’è una unica forza organizzata, preparata, armata: i carabinieri.

Prelevati dalle caserme i carabinieri vengono subito deportati

Alle 5 e 30 del sette ottobre circa 2 mila o 2 mila e cinquecento di loro (il numero esatto non si conosce perché le carte furono bruciate dai nazisti) vengono prelevati dalle caserme romane, messi su vagoni piombati e spediti nei campi di concentramento tedeschi. Pochissimi torneranno. Quelli che ci riusciranno lo faranno dopo due anni di sofferenze. È la prima grande deportazione nazista, superiore per numero a quella degli ebrei, che avverrà nella settimana successiva, il 16 ottobre. E infatti una spiegazione è proprio questa: Herbert Kappler (capo della polizia e dei servizi di sicurezza a Roma) non voleva averli tra i piedi in vista del rastrellamento al ghetto. I carabinieri erano armati, organizzati e avevano ricevuto da Badoglio l’ordine di difendere la popolazione. Troppo pericolosi.

Ma non solo. L’Arma è rimasta fedele al re, quasi nessuno ha aderito alla Repubblica sociale, ha partecipato in forze alla battaglia di Porta San Paolo del 10 settembre, il disperato tentativo dei romani di opporsi ai nazisti subito dopo l’armistizio. Anzi, i Granatieri di Sardegna e la Brigata Sassari ne sono i protagonisti. A Napoli non solo non ha disarmato la popolazione nella rivolta contro i nazisti dal 27 al 30 settembre, nonostante avessero ricevuto un ordine in questo senso, ma l’aveva aiutata. Non ci si può fidare. Anche i fascisti li detestano: sono i carabinieri ad arrestare Mussolini, sono i suoi carcerieri al Gran Sasso. Hanno ucciso il colonnello Ettore Muti, gerarca del regime. Al saluto romano preferiscono la mano sulla visiera. No, non ci si può proprio fidare.

Carabiniere deportato con il suo numero di “matricola”

Per fare in santa pace il rastrellamento, Kappler si appoggia al maresciallo Graziani, ministro della Difesa della Repubblica sociale. I documenti di quel periodo oggi non sono più coperti dal segreto di stato e l’ordine di disarmo e di deportazione è venuto alla luce: i carabinieri dovevano consegnare tutte le armi e per costringere gli ufficiali, Graziani non esita a minacciare di passarli alle armi. Non solo loro, ma anche le loro famiglie. Il maresciallo è noto per la ferocia delle sue repressioni. L’ordine viene eseguito.

Alcuni (pochi) riescono a scappare, gli altri come pecore al macello vengono caricati sui camion e il giorno dopo portati nelle stazioni Ostiense e Trastevere. Sui treni merci diretti al Nord, viene fatta circolare la notizia – falsa – che sarebbero scesi a Fidenza per essere impiegati nei lavori a settentrione. Come abbiamo visto, vengono deportati in Germania. Con uno status giuridico particolare: “internati militari italiani”, il che ha comportato condizioni detentive peggiori rispetto ai prigionieri di guerra. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Giornalista professionista, laureata in sociologia. Ha lavorato all’Adnkronos, al "Messaggero", dove si è occupata di economia e sindacati, in Rai al Tg2, dove, oltre a seguire le cronache economiche, ha realizzato servizi di natura storica e artistica