La Storia della Resistenza, così come è stata scritta e divulgata nell’immediato dopoguerra, ha visto emergere una ricostruzione della mobilitazione civile contro il nazifascismo dove i militanti comunisti sono stati rappresentati come i veri protagonisti, se non addirittura gli unici. Non andò così. I comunisti non furono gli unici partigiani e la Resistenza non è nata con loro
◆ Il corsivetto di VITTORIO EMILIANI
► Sulla storia della Resistenza si è molto discusso. I comunisti, strettamente legati a Mosca fino al Rapporto Krusciov sulle atrocità dello stalinismo, hanno presentato con Roberto Battaglia e con la sua “Storia della Resistenza” uscita da Einaudi una visione settaria di quel movimento, contrastante con la realtà storica che vide giovani e meno giovani di Cuneo salire in montagna aderendo al movimento di Giustizia e Libertà fondato da Leone Ginzburg massacrato dai fascisti nel carcere di Regina Coeli a Roma. I comunisti entrarono più tardi nel partigianato in Emilia-Romagna e altrove ubbidendo ad una disciplina di partito.
Ma la Resistenza – e fu la sua forza – fu combattuta da brigate laiche e democratiche, cattoliche (specie nel Veneto), socialiste (le “Matteotti”), da brigate persino monarchiche come in Piemonte i Faźzoletti Azzurri di Martini Mauri. I sacerdoti fucilati o arsi vivi dai nazi-fascisti furono otto solo in Liguria. Nell’Oltrepo Pavese l’arcivescovo di Tortona diede il proprio silenzioso assenso tramita don Gianni Baget Bozzo all’aborto delle donne rese gravide dai Mongoli della Turkestan durante un terribile rastrellamento nel novembre del 1944. E nell’Oltrepo militavano nelle Garibaldi anche ex ufficiali mai stati comunisti come Luchino Dal Verme (Maino) e Italo Pietra (Edoardo) poi comandante generale della avanzata su Milano prima dell’arrivo dalla Valsesia del settario “Ciro” Moscatelli.
Si dovette aspettare l’uscita di altri contributi storici per comprendere come il movimento partigiano fosse stato realmente pluralista, in montagna e nelle città. © RIPRODUZIONE RISERVATA