
Se foste un orso marsicano e qualche confratello (o consorella) vi dicesse che nelle vicinanze ci sono pere succulente, mele appetitose a disposizione, uva in maturazione, mucchi di carote che non aspettano altro che essere mangiate… che fareste: andreste a procurarvi il pranzo dove di cibo ce n’è tanto, concentrato in poco spazio (quindi con poca fatica) e saporitissimo. Perché non sperimentare, allora, metodi diversi di elementare buon senso per renderli meno “confidenti” con gli spazi dell’ Homo sapiens? Della serie: ti piace la frutta? Bene, vieni… te la offro io, ma su un altro tavolino apparecchiato per te, lontano da me
L’analisi di GIORGIO BOSCAGLI, biologo Società Italiana per la Storia della Fauna
SE VOI FOSTE un orso marsicano e aveste avuta notizia da qualche confratello (o consorella) che nelle vicinanze ci sono pere succulente, mele appetitose a disposizione, uva in maturazione, mucchi di carote che non aspettano altro che essere mangiate… che fareste? Magari siete “a stecchetto” perché quest’anno di faggiola (il frutto del faggio) ce n’è poca (gli Homo sapiens dicono che “non è anno di pasciona”) e per metterne abbastanza dentro lo stomaco ci vogliono ore e ore di minuziosa ricerca sul terreno….allora? che fareste? Beh…mi pare ovvio: andreste a procurarvi il pranzo dove di cibo ce n’è tanto, concentrato in poco spazio (quindi poca fatica) e saporitissimo [leggi qui nota 1]. Furberia? No, semplice buon senso e voglia di sopravvivere. Specialmente da che gli Homo sapiens hanno smesso (bravi!) di prenderci a fucilate (come facevano una volta) quando ci avvicinavamo alle “loro” pere, mele, pecorelle negli stazzi e così via.

Il problemino, tutt’altro che banale, è che quando (noi orsi) ci aggiriamo nei dintorni dei paesi [vedi qui video 1], se non addirittura per le strade mettendo pure a rischio la nostra vita [vedi qui video 2], qualcuno — tra gli umani — giustamente si agita e si preoccupa. Per questo ci hanno definito “confidenti” se non addirittura “problematici”. Chi garantisce che un orso (o magari una bella orsacchiotta con figliolanza al seguito) impaurito dal clamore, oppure inseguito per essere immortalato in una foto o magari inavvertitamente sospinto in un angolo chiuso, non reagisca… un po’ troppo impetuosamente?
Nessuno sta accusando nessun altro di affamare gli orsi marsicani. Tantomeno il glorioso Parco che storicamente li protegge (quello d’Abruzzo, Lazio e Molise). Di cibo in natura ce n’è molto, ma purtroppo gli animali sono opportunisti (e valli a contestare!), ovvero fanno una continua valutazione costi/benefici rispetto alla possibilità di approvvigionarsi di cibo. Gli orsi ancor più quando si attrezzano per il riposo invernale (gli Homo sapiens lo chiamano “ibernazione”, ma non è un vero letargo). Rubando e parafrasando: è l’etologia bellezza!

Come fare allora per convincere i nostri amati plantigradi ad essere meno “confidenti” e a fare a meno di incursioni dentro orti, frutteti [vedi qui video 3] e pollai? Anche qui dovrebbe soccorrere il buon senso: quando arrivano nei dintorni dei paesi (generalmente a fine estate-inizio autunno) bisogna fargli trovare, ad opportuna distanza da questi ultimi, appetitose opportunità alimentari molto interessanti e alternative agli orti. Ovvero montagne di frutta, carote e magari pure qualche carcassa di animali domestici deceduti, controllati e rigorosamente (!) privi di malattie. Naturalmente gestendo questi siti alimentari volanti con intelligenza ed estrema attenzione al rischio di abituazione, da evitare come la peste. Qui dovremmo dilungarci a toccare argomenti come la differenza fra le gelide statistiche nutrizionali (portate a sostegno di chi si oppone) da una parte, e concetti come l’attrattività, l’appetibilità, la concentrazione/disponibilità delle risorse, le mancate reazioni dissuasive da parte dell’uomo, le distanze di fuga, e così via. Ma sarebbe lungo e forse troppo per addetti ai lavori.
Perché no? In fondo lo abbiamo fatto (per tenere gli orsi lontani da zone a rischio, leggi: bracconaggio) con ottimi risultati fino a venticinque-trenta anni fa. Scrivo “lo abbiamo” perché all’epoca responsabile di queste operazioni al Parco d’Abruzzo ne ero io.
Non entriamo qui nel dettaglio tecnico perché dovremmo scriverci su un libro per definire tutte le tattiche e strategie da individuare, specialmente oggi che abbiamo pure a che fare — qua e là — coi ridondanti cinghiali e cervi. Però continuo a restare sconcertato dal pertinace rifiuto, certamente in buonafede, delle autorità competenti (competenti?) di adottare soluzioni di emergenza in …. situazioni di emergenza (!). Se i cosiddetti “protocolli operativi” — in particolare quelli detti “di dissuasione” [leggi qui nota 2], pagina 14, rumori, posture impositive, proiettili di gomma) — del pomposo Patom (Piano d’Azione Tutela Orso Marsicano) [leggi qui nota 3] non funzionano o funzionano poco, come hanno dimostrato di non funzionare, perché non provare (almeno provare!) con soluzioni, più semplicemente, di elementare buon senso? Della serie: ti piace la frutta? Bene, vieni… te la offro io, ma su un altro tavolino. Ci vorrebbero soldi, personale, impegno, competenza, esperienza, inventiva e, più che altro, coraggio (anche di andare controcorrente). Ma crediamo che Ursus arctos marsicanus meriterebbe tutto questo.

Lo spazio disponibile non consente di toccare oggi pure il tema dei “recinti coltivati” pro-orsi. Strumenti di gestione faunistica con funzione sostanzialmente diversa: quella di essere allo stesso tempo punti di attrazione, ma anche – e soprattutto, questa la logica – arricchimento delle disponibilità alimentari di un territorio che non offre più agli orsi marsicani la pletora di risorse di origine antropica che erano abituati a trovare fino a mezzo secolo fa. Ne tratteremo in un’altra occasione. © RIPRODUZIONE RISERVATA