Occorre difendere il paesaggio, e il territorio, ma occorre anche affidarsi alle energie rinnovabili, per sostituire le fonti fossili e contrastare l’emergenza climatica. In questi due diversi obiettivi, che sono prevalentemente in contrasto fra loro, c’è il dilemma di come il Paese possa far fronte alle urgenze che l’agenda della transizione ecologica pone. È necessario riportare al centro dell’azione pubblica la pianificazione, che in questi anni è stata colpevolmente affossata. Pianificazione e programmazione, questa è la strada per liquidare l’attuale Far West degli investimenti disordinati, che ricorda i tempi del dopoguerra. Ma allora c’era la necessità di costruire nuove abitazioni. Ora ci sono interessi diversi, che non hanno diritto di prevalere
L’analisi di SAURO TURRONI
IL RISCALDAMENTO GLOBALE e i cambiamenti climatici richiedono una svolta che si deve compiere in tutto il mondo e con una strettissima finestra temporale: «Ogni ulteriore ritardo in un’azione globale concertata farà perdere la breve finestra, che si sta chiudendo rapidamente, per assicurare un futuro vivibile» afferma l’Ipcc. Ciò nonostante la Conferenza sul Clima di Sharm el Sheikh di novembre si è chiusa ancora con un nulla di fatto.
Il momento è assai delicato: da una parte la necessità assoluta e inderogabile di realizzare impianti eolici e fotovoltaici per contrastare i cambiamenti climatici e per renderci indipendenti dalle fonti fossili che sempre più si rivelano macchiate di sangue, dall’altra l’obbligo insopprimibile di avere un paesaggio e un ambiente sano, bello, non devastato e nel quale continuare a vivere. È principio costituzionale fondante rispettare natura, coste, montagne, fiumi, laghi, boschi intesi come insieme di elementi costitutivi del territorio e del paesaggio, insieme con i beni culturali che costituiscono la nostra identità, storia e cultura.
Entrando nel merito dei problemi, vanno evitate le semplificazioni avendo ben chiaro il principio costituzionale più volte confermato da sentenze della suprema Corte che hanno stabilito il preminente dovere della tutela rispetto ad ogni altro interesse economico. È necessario altresì avere ben chiaro che le attività volte a contrastare i rischi drammatici ed incombenti dei cambiamenti climatici non possono essere ridotte solo a intervento economico per liberalizzare ad ogni costo e senza misura.
Deve esserci una salda guida pubblica per la realizzazione degli impianti per le energie rinnovabili evitando di consegnare le scelte nelle mani di soggetti alla ricerca per lo più di profitti economici senza riguardo per gli altri interessi collettivi e l’ambiente nel quale vivono le nostre comunità. Se analizziamo quanto accaduto in un recente passato ci accorgiamo che in molti casi, soprattutto in un primo periodo, è stata l’incentivazione economica alla realizzazione degli impianti, in particolare le torri eoliche, a promuoverne la istallazione, non certo la loro produttività. Purtroppo ciò ha consentito in molti casi la devastazione dei crinali montani, di vasti terreni agricoli e di altri splendidi paesaggi, ingenerando un diffuso, articolato e ampio fronte di oppositori fra i cittadini, in comitati e associazioni, in amministrazioni locali e regionali, nelle strutture tecniche ed amministrative ai vari livelli.
Dopo anni di stasi, nell’ultimo quadriennio c’è stata una forte crescita delle richieste di istallazione di impianti per energie rinnovabili. A settembre 2022 le richieste giacenti di connessione alle reti di distribuzione di Terna da parte di impianti alimentati da fonti energetiche rinnovabili raggiungevano cumulativamente i 280 GW, 4 volte superiori al target 2030. Se da una parte appare evidente a tutti l’inderogabile urgenza di realizzare impianti di energia rinnovabile, non solo per raggiungere gli obiettivi che i cambiamenti climatici ci impongono, è altrettanto evidente la necessità di arginare il proliferare di giganteschi impianti eolici nei luoghi più belli e integri d’Italia perché ciò costituisce un delitto anche in termini di turismo e di cultura così come i maxi-impianti fotovoltaici pongono seri problemi se installati in zone coltivate, di elevato pregio agricolo.
Se proviamo a mettere in fila i problemi da risolvere ci accorgiamo che non è sufficiente il taglio dei tempi né l’affermazione della preminenza della realizzazione degli impianti di energie rinnovabili, neppure lo può essere la generalizzazione di silenzi assensi o del ricorso a strutture commissariali che superino le storture dell’ordinamento, così come sono ineludibili i principi costituzionali e i diritti delle popolazioni e perfino quelli delle amministrazioni locali e regionali così come sono stati disegnati dal titolo V della Costituzione.

Un altro aspetto assai delicato riguarda la qualità delle proposte, il livello scadentissimo di molte progettazioni, un sistema di valutazioni, Via (Valutazione dell’Impatto Ambientale, n.d.r.) e Vas (Valutazione Ambientale Strategica, n.d.r.) ridotte a simulacri di se stesse, che ormai si esprime solo attraverso un numero altissimo di prescrizioni che nessuno poi verifica e controlla. È ovvio che non vi può essere una risposta univoca ma alcuni punti fermi devono essere affermati, nella convinzione che non saranno né sufficienti né esaustivi. Si tratta di riportare nella competenza pubblica l’indirizzo delle scelte e delle localizzazioni, superando il sistema, inefficiente e distorsivo, degli interventi promossi dagli investitori la cui visione, limitata al solo interesse imprenditoriale, viene naturalmente a confliggere con altri interessi di molteplice natura, riproducendo lo stesso modello di Far West di insediamento che si verificò nel dopoguerra, motivato quella volta con la necessità urgente di abitazioni, questa volta dall’urgenza della decarbonizzazione.

Va riportata al centro dell’azione pubblica la pianificazione, affossata in questi anni di deregulation. Pianificazione che non può limitarsi alla sola individuazione delle parti del territorio, dei suoi elementi costitutivi e dei luoghi da proteggere ma ancor più deve indicare precisamente, in riferimento in particolare agli impianti per energie rinnovabili, ciò che si può fare e dove. Occorre inoltre restituire allo Stato la competenza esclusiva nell’emanazione di norme riguardanti il rilascio delle autorizzazioni alle trasformazioni del territorio: non può esservi una selva di modalità diverse da regione a regione, fra le province, che sebbene soppresse operano ancora su delega, diverse da comune a comune, recando danni gravissimi a imprenditori, operatori ecc. e determinando rendite di posizione per “competenze locali” a cui si è costretti a ricorrere praticamente sempre. Non può esservi semplificazione se non si risolvono questi grumi di inefficienza dovuti da un esasperato localismo.
Il rilancio della pianificazione non può che partire da quanto previsto dall’art. 145 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, e cioè dalla redazione delle linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale ai fini della tutela del paesaggio, finora restate — a molti anni dall’inserimento della norma nel Codice — una pura dichiarazione d’intenti. Occorre rivedere il ruolo e la funzione degli organismi di valutazione, ponendoli nella condizione di poter operare in posizione di terzietà e indipendenza, in scienza e coscienza, non più retribuiti in base alle autorizzazioni rilasciate, prevedendo l’immediato rigetto dei progetti incompleti e malfatti, escludendo la pratica della molteplicità delle prescrizioni e costituendo rigorosi organismi tecnico-scientifici di controllo, i risultati della cui attività andrebbero anzitutto pubblicati e resi noti.
Gli interventi sopra enunciati richiedono senza dubbio tempo, riforme, modifiche nei comportamenti e nelle attività e dovrebbero essere il comune denominatore per tutte quelle forze, politiche, associative, culturali che intendono difendere il territorio contemporaneamente dai cambiamenti climatici e dalle possibili manomissioni dovute agli interventi. È impensabile continuare in questo modo, indegno di un paese civile. Occorre provvedere per uscire dall’impasse ed evitare che diventi anche un insanabile conflitto fra fazioni, fra gli energumeni delle rinnovabili e i difensori di ogni lembo di territorio. Invece di invocare pianificazione e programmazione, invece di mettere sotto accusa Regioni inadempienti e ministeri inefficienti e alle dirette dipendenze dell’Eni, una parte del mondo ambientalista ha concentrato il proprio impegno nei confronti del Mibac, fino a manifestare alcuni mesi fa contro le Soprintendenze, dimenticando che esse, in mezzo a mille difficoltà, applicano la legge e osservano la Costituzione.
La conseguenza di quelle azioni e della campagna di stampa che, fin dai tempi del governo Renzi, non ha smesso un giorno di invocare interventi emergenziali, è stata l’art. 7 del DL 50/22 che ha consentito al governo di avocare a sé le autorizzazioni, superando VIA, dinieghi motivati, vincoli espressi, insomma continuando nel già citato modello Far West. C’è da chiedersi a cosa potrà servire invocare la partecipazione dei cittadini attraverso il dibattito pubblico, previsto all’interno della VIA, se questa, come è avvenuto, è ormai decisa in Consiglio dei ministri. Il recente documento di Legambiente, Wwf e Fai, probabilmente predisposto con le migliori
intenzioni, pur richiamando la legge Galasso e la pianificazione del paesaggio introduce concetti contraddittori che negano i principi della tutela, sostenendo che la realizzazione di impianti di energie rinnovabili dovrebbe essere «in grado di non compromettere il nostro patrimonio comune, ma al contrario divenire l’occasione per riqualificarlo». Fare opere non riqualifica il paesaggio, se va bene può provocare solo danni limitati!

Il rilancio della pianificazione non può che partire da quanto previsto dall’art. 145 del Codice dei BBCC e del Paesaggio e cioè dalla redazione delle linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale ai fini della tutela del paesaggio, finora restate, a molti anni dall’inserimento della norma nel Codice, una pura dichiarazione d’intenti. Nello stesso tempo — dopo oltre 60 anni dall’approvazione della carta di Gubbio che riconosceva i Centri storici come bene culturale unitario, da proteggere e restaurare in ogni suo elemento, concezione che ha fatto scuola in tutto il mondo — si torna a riproporre l’istallazione dei pannelli fotovoltaici sui tetti degli antichi edifici, senza curarsi del fatto che essi hanno complessivamente una esigua superficie se confrontata con quella enorme dell’edilizia recente, senza considerare il decisivo contributo che per la città antica potrà derivare dalle comunità solari.
Al pari della ulteriore riduzione dei tempi, della compressione delle funzione delle Soprintendenze, della estensione dei silenzi assensi e dei voti a maggioranza e di tutte le misure che di solito ci consegnano le procedure emergenziali, la costituzione di organismi misti, formati dai diversi ministeri, non farebbe che aggravare i problemi, avendo palesemente l’unico scopo di superare ogni ostacolo od obiezione e approvare comunque tutto. Non ci si può però a questo punto sottrarre dall’affrontare il problema della enorme quantità di progetti presentati, per evitare che la frittata fin qui fatta aggravi irrimediabilmente una situazione di compromissione del territorio già verificatasi: occorre la immediata ricostituzione, potenziata, su basi nuove, formata da tecnici competenti e non da giuristi e avvocati, della Commissione Via nazionale, facendo ricorso alle professionalità presenti nelle università e nelle altre strutture tecniche dello Stato a cui affidare, all’interno di una struttura di missione, tutti i progetti depositati, delineando criteri, principi e linee guida a cui dovrebbe riferirsi il lavoro di valutazione.
Occorre collocare la struttura di missione presso la Presidenza del Consiglio, attribuendole il ruolo di arbitro di questa partita, fissando le regole, le procedure e gli standard per una loro corretta applicazione, anche per assicurare una omogeneità a livello nazionale, intervenendo nelle scelte come portatore di una visione culturale alta e superiore, non limitandosi a “calmierare” le distorsioni più evidenti fra i diversi interessi. Dovrebbero essere contemporaneamente precisati i contenuti prescrittivi di tutte le tutele che lo richiedono, superando la più completa discrezionalità di interpretazione, adeguatamente attrezzando le strutture ministeriali proprio per queste impegnative finalità. Tutto ciò, se affrontato con l’attenzione necessaria, potrebbe consentire il rapido superamento di un blocco dovuto ad una molteplicità di fattori a cui troppi pretendono di rispondere con un “liberi tutti” che il nostro territorio e le nostre comunità non possono accettare. © RIPRODUZIONE RISERVATA