
Si inaspriscono i contrasti sulla terza dose generalizzata, tra clamorose dimissioni dei due maggiori esperti della Fda e imbarazzanti silenzi ufficiali. Sotto accusa la mancanza dei dati sulla sperimentazione. Il professor Peter Doshi, docente dell’Università del Maryland, è molto netto: «I dati sui vaccini contro il Covid non sono disponibili e non lo saranno per anni, eppure stiamo obbligando milioni di persone a prenderli. Qualunque sia la parola per descrivere questa situazione, senza dati non è Scienza». Le evidenze certe su Pfizer si avranno a maggio 2025, su Moderna a fine 2022, su Johnson & Johnson forse fra un anno. In Italia, a distanza di pochi giorni il Cts cambia idea sulla terza dose per tutti ma non c’è traccia di studi sul perché lo abbia fatto
L’analisi di LAURA CALOSSO
SENZA DATI LA SCIENZA è ancora Scienza? I dati sui vaccini sono al momento disponibili? Pare di no. Lo saranno tra qualche anno. Dunque, come fanno gli enti regolatori e la comunità scientifica a valutarne e ad approvarne l’adozione? Facciamo un passo indietro e andiamo al 18 agosto 2021: «Oggi i nostri esperti medici hanno annunciato il piano per il richiamo del vaccino a ogni americano adulto», aveva annunciato il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden. A quella data, FDA, l’agenzia regolatoria statunitense, non aveva neppure ancora ricevuto da Pfizer la richiesta di autorizzazione. Forse, non a caso, il 1 settembre, senza rilasciare spiegazioni, i due maggiori esperti di vaccini in FDA avevano annunciato le loro dimissioni.

Uno di loro, il Dr. Philip Krause è autore insieme ad altri di uno studio pubblicato su “The Lancet” il 13 settembre 2021 [nota 1] in cui si legge: «Un attento esame pubblico dei dati in evoluzione sarà necessario per assicurare che le decisioni sul boosting (terza dose n.d.r.) siano informate da una scienza affidabile più che dalla politica. Anche se alla fine si dimostrasse che il boosting diminuisce il rischio a medio termine di malattie gravi, le attuali forniture di vaccino potrebbero salvare più vite se usate in popolazioni precedentemente non vaccinate che se usate come booster in popolazioni vaccinate». E ancora: «Anche se i benefici della vaccinazione primaria Covid-19 superano chiaramente i rischi, ci potrebbero essere dei rischi se i richiami vengono introdotti troppo presto o troppo frequentemente, specialmente con vaccini che possono avere effetti collaterali immunomediati (come la miocardite, che è più comune dopo la seconda dose di alcuni vaccini mRNA, o la sindrome di Guillain-Barre, che è stata associata ai vaccini Covid-19 con adenovirus-vettore). Se il boosting non necessario causasse reazioni avverse significative, ci potrebbero essere implicazioni per l’accettazione del vaccino che andranno oltre i vaccini Covid-19. Quindi, il boosting diffuso dovrebbe essere intrapreso solo se c’è una chiara evidenza che sia appropriato». Subito dopo lo studio di Philip Krause specifica ulteriormente: «Il richiamo potrebbe essere appropriato per alcuni individui in cui la vaccinazione primaria potrebbe non aver indotto un’adeguata protezione — per esempio, i destinatari di vaccini con bassa efficacia o coloro che sono immuno compromessi (anche se le persone che non hanno risposto in modo robusto alla vaccinazione primaria potrebbero anche non rispondere bene ad un richiamo)».

Il 22 settembre 2021 la FDA, a dieci giorni dalla pubblicazione di questo studio, aveva bocciato la richiesta di approvare una terza dose per tutti. Emerge che, dopo quasi due anni dall’inizio dell’emergenza Sars-CoV-2, nella comunità scientifica americana ci sono posizioni contrastanti. Una delle voci più critiche è rappresentata da Peter Doshi, docente di Servizi Sanitari Farmaceutici dell’Università del Maryland. Tiene un corso su come valutare la letteratura medica e gli studi biomedici in modo critico, non attenendosi solo agli abstract. “Report”, la trasmissione di Rai 3, nella puntata del 1 novembre scorso — che ha suscitato molte polemiche ma ha messo in luce elementi fondamentali su cui ragionare [nota 2] — ha intervistato Doshi. Il 2 novembre il professore ha partecipato a un panel organizzato dal senatore repubblicano Ron Johnson, al quale erano stati invitati anche rappresentanti delle agenzie regolatorie e delle case farmaceutiche, per ascoltare in prima persona alcune vittime di reazioni avverse da vaccino [nota 3]. In quella sede, Doshi ha posto alcuni dubbi sulla trasparenza dei dati e sui tempi in cui le case produttrici li metteranno a disposizione della comunità scientifica per le valutazioni, evidenziando anche i pericoli che derivano dalla circolazione di frasi fatte, che nella comunità scientifica hanno — a suo dire — scoraggiato lo spirito critico e condotto a forme di autocensura.
«Lo sanno tutti che questa è una pandemia di non vaccinati, ma se i ricoveri e i decessi si verificassero esclusivamente nei non vaccinati, perché sarebbero necessari nuovi richiami vaccinali?» ha domandato Doshi ai presenti. «Perché le statistiche sono così diverse nel Regno Unito, dove ricoveri e decessi per Covid sono tra persone completamente vaccinate? […] C’è qualcosa che non va, facendo i conti […] Dovremmo chiederci tutti: è vero che questa è una pandemia di non vaccinati? Cosa vuol dire? […] Poi c’è questo: lo sanno tutti che i vaccini Covid salvano vite, lo sappiamo dall’inizio del 2021, gli studi clinici l’hanno provato […] Ma è vero? Quando quella dichiarazione di importanti funzionari pubblici sanitari è stata scritta, c’era stata solo una morte tra i 70mila partecipanti agli studi di Pfizer e Moderna. Oggi abbiamo più dati. E potete vedere che i numeri erano simili nei gruppi vaccinati e placebo. Gli studi non hanno dimostrato una riduzione della mortalità […] le prove sono fragili».

Molte perplessità sono state anche esposte dalla professoressa Linda Wastila, del Pharmaceutical Health Services Research, Univerisità del Maryland, tra i relatori del panel: «Stiamo prendendo decisioni critiche sulla vaccinazione di massa nelle popolazioni vulnerabili, sulla base di pochi o nessun dato. Nell’incontro della FDA, quello sulla richiesta di autorizzazione EUA di Pfizer per i bambini tra i 5 e gli 11 anni, il membro del comitato e capo redattore del “New England Journal of Medicine”, Eric Rubin (professore di Immunologia ad Harvard n.d.r.), ha riconosciuto la scarsità di dati sulla sicurezza pediatrica affermando: “Non avremo i dati finché non inizieremo a usare questo vaccino, i nostri figli sono i dati”».
«Io ho analizzato gli studi clinici sponsorizzati dall’industria per oltre un decennio […] il business e il marketing sembrano guidare le cose» ha aggiunto Doshi, intervenendo una seconda volta e aggiungendo elementi che riportiamo integralmente: «I dati sono fondamentali per il processo scientifico, sicuramente devono essere disponibili, ma non lo erano per il Tamiflu (un farmaco per l’influenza aviaria del 2006 al centro in uno scandalo, n.d.r.) e non lo sono oggi per i vaccini Covid. Infatti, se sei interessato ad analizzare i dati (della sperimentazione clinica, n.d.r.) per avere evidenze certe su Pfizer, dovrai aspettare fino a maggio 2025, prima di poter anche solo richiederli alla società. Per Moderna hanno recentemente detto che i dati potrebbero essere disponibili con pubblicazione dei risultati finali dello studio nel 2022, probabilmente fine 2022. Per Johnson & Johnson, provate a luglio prossimo. Se non eravate a conoscenza che i dati erano inaccessibili, sospetto che sia perché pochi operatori sanitari e ricerchatori sono abituati a condurre un’attività indipendente di revisione dei dati grezzi, quindi ci sono poche proteste quando tali dati sono inaccessibili».

Il professor Doshi continua e rincara la dose: «Mentre ci viene detto di continuare a seguire la Scienza, quello che stiamo seguendo non è un processo scientifico basato su dati aperti, stiamo seguendo un processo in cui i dati sono trattati come segreti, e, dal mio punto di vista, c’è qualcosa di molto poco scientifico riguardo a questo. Temevo che saremmo finiti in questa situazione perché la segretezza dei dati, mi dispiace dirlo, è lo status quo. Nel 2015 l’Istituto di Medicina ha pubblicato uno studio di consenso che chiede un cambiamento culturale per cui la condivisione dei dati diventi la norma, non l’eccezione, ma non è cambiato abbastanza. Lo scorso agosto, prima di avere risultati da uno qualsiasi degli studi cardine sui vaccini Covid, sono stato coautore di un articolo con il Dr. Healy [nota 4] per dire ai clinici e alle società professionali che è necessario dichiarare in anticipo che non approveranno trattamenti o vaccini a meno che non vi sia completa trasparenza dei dati. Il punto che sto cercando di dire è semplice: i dati sui vaccini contro il Covid non sono disponibili e non saranno disponibili per anni, eppure non stiamo solo chiedendo, ma stiamo obbligando milioni di persone a prendere questi prodotti a lungo. Qualunque sia la parola per descrivere questa situazione, ebbene senza dati non è Scienza».
Intanto il 4 ottobre scorso EMA (Agenzia europea del farmaco) ha approvato la terza dose per immunodepressi e over-18. In Italia le vaccinazioni per la terza dose sono già iniziate. Il “Corriere della Sera”, il 5 novembre, in un’intervista al ministro della Salute, Roberto Speranza, scrive: «La priorità del governo è accelerare con la terza dose e avviare subito la vaccinazione dei bambini». Quando si parte con la fascia 5/11? «Il mio auspicio è dicembre, non appena l’Ema avrà approvato il vaccino e l’Aifa avrà dato il via libera per l’Italia. Gli scienziati stanno dicendo che la dose di un terzo di Pfizer è efficace e sicura. Lavoreremo con i pediatri per tranquillizzare le famiglie».

Nel frattempo, oltre a quelli già citati in un precedente articolo [nota 5], è stato pubblicato (4 ottobre 2021) un nuovo studio indipendente sull’immunità a vita da Covid e sulla terza dose, a cura del Laboratorio di Neuroimmunologia dell’Ospedale Santa Lucia Irccs di Roma [nota 6]: «Per i soggetti sani la terza dose di vaccino potrebbe non essere necessaria», vi è scritto. «I nostri dati — spiega la dott.ssa Giovanna Borsellino, neuroimmunologa e direttrice del laboratorio di Neuroimmunologia dell’ospedale romano — confermano che già dopo la prima dose si innesca la risposta delle cellule del sistema immunitario, che da un lato facilitano la produzione degli anticorpi, e dall’altro agiscono direttamente sulle cellule infettate dal virus. L’aspetto importante osservato è che viene generata la memoria immunologica, anche grazie alla presenza delle cosiddette “cellule staminali della memoria”, ossia un bacino di cellule longeve e specifiche per il coronavirus che possono rapidamente espandersi per contenere l’infezione. Analogamente agli altri vaccini la presenza della memoria immunologica potrebbe durare diversi anni, confermando da una parte l’efficacia della protezione del vaccino e dall’altra la necessità di effettuare un’eventuale terza dose solo a soggetti immunodepressi, come indicato dal Cts».
Il 5 novembre scorso, a distanza di un mese dalla pubblicazione dello studio del Santa Lucia, il coordinatore del Cts, prof. Franco Locatelli, ha affermato l’opportunità di una terza dose estesa a tutti. Abbiamo cercato un link da allegare a supporto di questa affermazione, ma non abbiamo trovato studi che spieghino i motivi per questo cambio di orientamento. © RIPRODUZIONE RISERVATA