Come sta il verde di Roma? Male. Il sindaco Gualtieri sta mantenendo le promesse elettorali? No. Eppure Roma è una delle capitali più verdi d’Europa. E per fare splendere il verde di Roma basterebbe manutenzione ordinaria, cura e pulizia. Ma il Servizio Giardini, un tempo efficiente e con un organico adeguato, è stato quanto meno fortemente ridimensionato. Ne parla in questa intervista Jacopa Stinchelli, coordinatrice del movimento “Difendiamo i Pini di Roma”, che racconta qui come è stato spezzato il rapporto natura-cultura nella Capitale, che a lungo è stato un patto tacito di convivenza tra le straordinarie bellezze artistiche e il notevole patrimonio di verde pubblico. Dal saccheggio della “spazzatura edilizia” all’arroganza della politica, i responsabili sono in parte noti, e immaginabili. Ma la situazione attuale è – secondo Jacopa Stinchelli – anche il frutto della colpevole assenza di altri soggetti; e qui, in questo “atto d’accusa”, c’è una sorpresa


◆ L’intervista di FABIO BALOCCO con JACOPA STINCHELLI, coordinatrice “Difendiamo i Pini di Roma”

Jacopa Stinchelli, saggista e antispecista, dirige una fondazione musicale e coordina il movimento Difendiamo i Pini di Roma, che promuove iniziative, indagini e sopralluoghi per salvaguardare il patrimonio arboreo della Capitale. Presiede il Comitato Villa Glori in difesa dei pini e dei parchi storici di Roma. La intervistiamo per comprendere lo stato di salute del verde urbano nella Capitale.

Cominciamo con un dato di fatto: Roma è una città molto verde, anzi è una delle metropoli più ricche di verde al mondo, e soprattutto è ricca di alberi, nella fattispecie pini domestici, che ne sono un po’ un simbolo. Questo grande patrimonio oggi sembra a rischio. Incredibile a dirsi, visto che siamo in un’epoca di cambiamento climatico ed occorrerebbe tutelare il patrimonio esistente ed anzi implementarlo. Mi puoi ricordare i danni già causati ed i pericoli incombenti?

Jacopa Stinchelli; sotto il titolo, foto Shutterstock e di Massimo Livadiotti

«Consentimi una brevissima premessa. Roma è, o meglio è stata, una città molto verde finché è rimasto intatto il suo rapporto storico e culturale con gli elementi della sua “natura”, un rapporto attivo sin dai tempi dell’antica Roma. Verde lo è stata anche in virtù della sua felice posizione geografica. A Roma cultura e natura raramente sono entrate in conflitto, anzi si sono fuse: la natura è stata addomesticata e la cultura ha celebrato l’elemento divino insito nella natura. I pini di Roma, quei pini non a caso chiamati “domestici”, sono i migliori rappresentanti di questo antico patto di convivenza. Un patto che andava preservato, ed invece il patto a un certo punto è stato infranto dall’avvento dei palazzinari. Il cemento, gli speculatori. I cantieri e il consumo del suolo sono tra i maggiori nemici dei grandi alberi e del patrimonio dei pini domestici. Ma il patto è stato infranto anche dall’avvento delle motoseghe che hanno sostituito i giardinieri di professione e le loro sapienti mani. Il colpo finale lo ha assestato l’esternalizzazione a ditte che perlopiù si occupano di verde non certo perché hanno a cuore il futuro del pianeta o la biodiversità. La desacralizzazione del paesaggio romano ha prodotto danni enormi: Ostia − che un tempo era il paradiso delle pinete e degli strabilianti filari − è stata abbandonata al malaffare e alla spazzatura edilizia, e pian piano il suo patrimonio di bellezza si è andato assottigliando. Infine il parassita toumeyella ha provocato un vero e proprio disastro ambientale. Occorre però chiedersi se le amministrazioni comunali e regionali abbiano davvero fatto qualcosa per contrastare questo disastro ambientale o invece siano state a guardare o, peggio, a fare il tifo per il parassita. La peggiore minaccia che incombe sui pini domestici, infatti, non è la toumeyella, ma l’intenzione di rottamarli o di speculare sulle loro disgrazie». 

Con la giunta Gualtieri rispetto a quella Raggi che cambiamenti avete notato nella gestione del verde? So che di recente è stata inviata una lettera preoccupata alla giunta comunale.

Il pino secolare crollato in piazza San Marco, adiacente a piazza Venezia a Roma, 13 luglio 2023. Ansa/Ettore Ferrari

«Il sindaco Gualtieri nel 2021 aveva esordito con dei post sui social che sembravano rassicuranti nei confronti della salvaguardia del patrimonio verde di Roma e del suo paesaggio, ma alle promesse non sono seguiti i fatti. A due anni dal suo insediamento il bilancio è disastroso. La deforestazione non si è arrestata, sul litorale romano, nelle ville storiche  e nei grandi parchi, le endoterapie non sono state fatte a tappeto. L’urbanizzazione prosegue incurante, i cantieri della Metro minacciano quel poco che resta delle alberate storiche, insieme ai soldi del Pnrr che vengono usati per progetti di “riqualificazione” o “restyling”, come se Roma ne avesse bisogno. Roma è già bella, ha solo bisogno di manutenzione ordinaria, cura e pulizia, non ha bisogno di nuovi cantieri o grandi opere, è al collasso, ed il sindaco invece annuncia altri dieci anni di cantieri. Insomma, il patrimonio arboreo di Roma ora più che mai avrebbe bisogno dei bravi giardinieri di un tempo. Prima di essere smantellato, il Servizio Giardini era un fiore all’occhiello della Capitale. Negli anni ’90 i giardinieri erano 1700, ora sono poche centinaia e non si vedono nuove assunzioni all’orizzonte. I danni dell’esternalizzazione sono sempre più ingenti. Il Dipartimento Ambiente impiega ditte esterne, spesso nemmeno di Roma, che sembrano interessate alla quantità delle potature e degli abbattimenti, non alla qualità delle cure e alla conservazione del patrimonio arboreo. Anche perché nessuno sembra vigilare sul loro operato». 

— Il Regolamento del Verde: oggi finalmente esiste, ma è applicato?

«Il Regolamento del verde capitolino e i suoi articoli sarebbero uno strumento utile se venisse rispettato e applicato nelle decisioni politiche, amministrative ed esecutive. Di recente con il mio Comitato sono intervenuta in due casi di abbattimenti di oltre un centinaio (!) di pini vincolati a Roma, “autorizzati” dal Dipartimento Ambiente senza rispettare il Regolamento del Verde. Se glielo fai notare, fanno marcia indietro, ma occorre stare sempre all’erta». 

— A Roma ci sono tantissimi comitati ed associazioni che si occupano della tutela del verde. C’è un coordinamento? E come si muove? E le grandi associazioni ambientaliste cosa fanno?

«La molteplicità dei comitati e le tante piccole associazioni dimostrano la vitalità dell’interesse e dell’impegno cittadino nei confronti del verde. Il pluralismo è fondamentale per il confronto, anzi, è vitale. Ed è sempre un buon segno quando c’è partecipazione. La molteplicità tuttavia può essere anche segno di divisione, di diaspora, di compartimenti stagni. Il coordinamento allora delle molteplici istanze e identità diventa imprescindibile. Ecco, noi di Difendiamo i Pini di Roma, un movimento/coordinamento appena nato, vogliamo spingerci oltre. Non ambiamo a cariche o feudi, ma siamo pronti ad attraversare l’inferno per difendere il paradiso. E per questo già riceviamo subdole minacce e messaggi trasversali, soprattutto dalle ditte esternalizzate che lavorano per il Comune. Purtroppo dal coordinamento sono assenti le associazioni storiche, che sembrano oramai piuttosto succursali di singoli politici o partiti. Invece di essere baluardi in difesa dell’art. 9 della Costituzione, le associazioni più in vista, soprattutto nella capitale, aiutano ad insabbiare le questioni più spinose. Mi riferisco al silenzio del Wwf sull’eliminazione di specie protette come l’istrice, la volpe e la salamandra dagli occhiali negli agri romani; oppure alla Lipu che non ha detto niente sul disastro di intere pinete a Ostia, eppure quante specie di uccelli vivono e nidificano sui pini; oppure a Italia Nostra che anch’essa assiste impotente sempre al disastro ostiense; oppure ancora a Legambiente che promuove le centrali a biomasse, cioè di fatto l’abbattimento degli alberi; per non parlare delle associazioni che sostengono le pale eoliche. Sono ormai dei feudi in grado di scoraggiare anche i più genuini ardori in difesa del patrimonio e del paesaggio italiano. Eppure molte associazioni, insieme alla Soprintendenza, ne avrebbero di cose da raccontare alla Procura, ma se ne guardano bene. E così, nella migliore delle ipotesi, diventano un limbo di personaggi senza infamia e senza lode che coltivano i loro orticelli, senza fare nessuna differenza». 

— Concludiamo con un dato scientifico. Forse non tutti sanno che il verde, soprattutto in città, ha una valenza ecosistemica. Nello specifico esiste un Metodo Agem: me ne puoi parlare?

«Agem sta per Analitycal Green Estimation Method ed è uno dei metodi che permette di stimare il valore economico, paesaggistico e ambientale di un’infrastruttura verde o il valore di un albero e la convenienza della sua gestione, un po’ come i servizi ecosistemici valgono per il suolo. Naturalmente non è l’unico metodo, anzi direi che ha diversi limiti (per esempio non considera il valore storico di alberature vincolate). Ci sono tanti validi metodi per sottolineare Il valore degli alberi, attraverso opportuni metodi di calcolo, con procedimenti parametrici e formule, elaborati da esperti arboricoltori di tutto il mondo e pubblicati su riviste internazionali. Questo per far capire ai nostri amministratori che i grandi alberi già esistenti sono una grande opportunità di ricchezza per il territorio e che ci guadagniamo di più a tenerli in piedi che non a sostituirli con dei piccoli alberelli striminziti e cagionevoli. Quello che a noi preme sottolineare è che i grandi alberi tipici del nostro paesaggio, in particolare i pini domestici, ma non solo, hanno un valore oggettivo che non è solo quello che gli attribuiscono i bambini, i sognatori e i visionari. Essi hanno un valore economico quantificabile che può aiutare gli amministratori a “cambiare il paradigma”. Considerare l’albero non come fastidioso ingombro e ostacolo al progresso del cemento e dell’industrializzazione, ma come deposito di Co2, custode della nostra salute e del nostro paesaggio identitario. Un investimento vitale e benefico. Affinché venga eliminato definitivamente il paradossale conflitto tra natura e cultura, un conflitto che forse è stato propagandato ad arte per nascondere gli interessi della speculazione economica a scapito della natura. Far convergere economia ed ecologia non significa piegare la natura al profitto (greenwashing), bensì concepire un maggiore profitto schierandosi dalla parte della Terra, che nell’antica Roma era una dea, Tellus, che portava prosperità e benessere a tutti».

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Nato a Savona, risiede in Val di Susa. Avvocato (attualmente in quiescenza), si è sempre battuto per difesa dell’ambiente e problematiche sociali. Ha scritto “Regole minime per sopravvivere” (ed. Pro Natura, 1991). Con altri autori “Piste o pèste” (ed. Pro Natura, 1992), “Disastro autostrada” (ed. Pro Natura, 1997), “Torino, oltre le apparenze” (Arianna Editrice, 2015), “Verde clandestino” (Edizioni Neos, 2017), “Loro e noi” (Edizioni Neos, 2018). Come unico autore “Poveri. Voci dell’indigenza. L’esempio di Torino” (Edizioni Neos, 2017), “Lontano fa Farinetti” (Edizioni Il Babi, 2019), “Per gioco. Voci e numeri del gioco d’azzardo” (Edizioni Neos, 2019), “Belle persone. Storie di passioni e di ideali” (Edizioni La Cevitou, 2020), "Un'Italia che scompare. Perché Ormea è un caso singolare" (Edizioni Il Babi, 2022). Ha coordinato “Il mare privato” (Edizioni Altreconomia, 2019). Collabora dal 2011 in qualità di blogger in campo ambientale e sociale con Il Fatto Quotidiano, Altreconomia, Natura & Società e Volere la Luna.