Già prima della guerra in Ucraina l’Unione europea si era data rigorosi piani per la transizione verso l’energia pulita, in modo da contrastare l’innalzamento delle temperature a livello climatico. Con il Crt, “Coal Regions in Transition”, cinque anni fa si era stabilito un percorso per quegli Stati dove forte è la dipendenza dall’estrazione del carbone. Uno studio della Commissione europea del 2019 valutava in 185mila nuovi posti di lavoro la realizzazione e gestione degli impianti fotovoltaici, considerati una buona soluzione per la decarbonizzazione. E il Paese europeo che più di tutti ha affidato la sua sicurezza energetica sul carbone era la Polonia, che si è data un piano energetico climatico decennale (2021-2030) che prevede da una parte una progressiva decarbonizzazione, ma in cui però questa energia fossile resta la risorsa più importante come consumo


L’articolo di COSIMO GRAZIANI

SEBBENE LE QUESTIONI energetiche siano diventate più impellenti a livello europeo negli ultimi due anni, la transizione energetica è un tema di cui si parla già da molto tempo e le azioni dell’Unione Europea per affrontarla sono iniziate ben prima della pandemia e della guerra in Ucraina. Il Green Deal europeo è la bussola per il futuro, al netto delle decisioni politiche che verranno prese per attuarlo, ma in passato erano già state lanciate altre iniziative in questo senso. Una di queste, la “Coal Regions in Transition” (Crt), fu lanciata nel 2017 e riguardava nello specifico la transizione energetica in quelle regioni in cui l’estrazione del carbone era la principale attività commerciale.

In uno studio della Commissione Europea del 2019 si suggeriva che il passaggio dal carbone al fotovoltaico per alimentare le centrali in quelle regioni avrebbe generato molti benefici sia a livello energetico sia a livello sociale – le previsioni parlavano di centottanta cinque mila posti di lavoro per la creazione e la gestione di impianti fotovoltaici. I paesi interessati dall’iniziativa e che avrebbero potuto giovare del passaggio dal carbone al fotovoltaico erano Spagna, Italia, Grecia, Romania, Bulgaria, Slovenia, Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca, Polonia, Germania e il Regno Unito. A cinque anni dal lancio della Crt vediamo se il fotovoltaico è stata la strada intrapresa dalle autorità nazionali e locali e in caso contrario quali soluzioni alternative sono state trovate.

Il paese europeo che più di tutti storicamente ha basato la sua sicurezza energetica sul carbone è stata la Polonia. Il carbone era la principale fonte energetica del paese, grazie anche alle numerose miniere che si trovano nelle regioni meridionali, specialmente nella Slesia. La quantità di carbone prodotta annualmente nell’ultimo periodo non è la stessa che si produceva nei primi anni dopo la caduta del regime comunista, tanto che a partire dal 2016 Varsavia è diventata un importatore netto. Pur essendo un importatore netto, i dati sulla produzione e sul consumo rimanevano molto alti: in quell’anno Polonia bruciava centocinquanta milioni di tonnellate di carbone, producendone da sé cento milioni di tonnellate. L’importanza della fonte fossile è tale che il governo è corso a riparo durante la crisi energetica di quest’anno concedendo sussidi per l’utilizzo di energia prodotta dal carbone e ha sospeso a settembre il bando di utilizzare la lignite per i riscaldamenti delle case.

Secondo il Piano Nazionale Energetico e Climatico per il periodo 2021-2030 i principali settori su cui si concentrerà la decarbonizzazione sono i trasporti, il settore agricolo e il settore edilizio. Importanza sarà data anche al miglioramento dell’efficienza energetica delle case private. Per quanto riguarda invece l’utilizzo del carbone, continuerà a essere considerato la fonte principale per una stabile e affidabile fornitura energetica, sebbene utilizzata sempre di meno. Un aspetto che l’ultima Energy Policy Review sulla Polonia la International Energy Agency (Iea) suggerisce fortemente di modificare. Eppure gli investimenti su fonti alternative non sono mancati in questi anni, il problema semmai è che i fondi non sono stati stanziati per fonti totalmente green. Se a livello nazionale un forte impulso è stato dato all’eolico – i piani energetici prevedono la costruzione di parchi eolici nel Mar Baltico -, a livello locale le soluzioni adottate sono state i distretti energetici e l’installazione di pompe di calore per le case, strumento che di riduce le emissioni, ma può venire alimentato ancora con fonti fossili.

All’interno delle politiche energetiche della Polonia, la Slesia ha un ruolo di primo piano. La regione pesa da sola più del 10% del Pil polacco, la seconda per importanza dopo la regione di Varsavia. Nella sicurezza energetica del paese gioca un ruolo forse più importante per la presenza di giacimenti carboniferi. All’interno del Piano Nazionale Energetico, tra il 2021 e il 2030 la regione dovrebbe diminuire le sue emissioni di gas serra solo del 7%, riducendo la porzione del carbone di più del 50%. Per quanto riguarda però l’alimentazione degli impianti, aspetto discusso nel Piano Territoriale per una Giusta Transizione 2021-2030 adottato dalla regione, non si parla dell’alimentazione degli impianti di produzione energetica, bensì viene solo specificato che quelli obsoleti saranno sostituiti con altri più moderni e a meno impatto ambientale e sociale. I presupposti della Crt dell’Unione Europea sono venuti quindi a mancare nella fase progettuale delle politiche energetiche polacche. Parlando nel dettaglio del fotovoltaico, si è preferito utilizzarlo per le abitazioni, tanto che pochi giorni fa il ministro dell’energia Anna Moskwa ha annunciato un nuovo round di sussidi statali.

Il fotovoltaico in Polonia non è stata la prima scelta per la sostituzione del carbone nel paniere energetico, soprattutto se messo in relazione con la necessità di modernizzare gli impianti energetici di un settore tanto importante per il paese. Le ragioni di questa scelta vanno nella direzione del mantenimento dell’approvvigionamento energetico – leggasi sicurezza energetica sostenuta dal carbone – che è stato mantenuto nei piani nazionali e regionali prima dell’impatto economico della pandemia. Sicuramente, viste le posizioni politiche del governo di Varsavia, hanno inciso considerazioni di carattere politico interno. Per il futuro non sembra esserci molto spazio per i raggiungimento dei fini del Crt perché la strada intrapresa è un’altra, solo l’applicazione dei piani potrà dirci quanto davvero sia stata la scelta giusta. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Dopo la laurea in Scienze politiche e Relazioni Internazionali presso l'Università RomaTre mi sono trasferito prima in Estonia, poi nel Regno Unito e successivamente in Kazakistan per conseguire il Master in Studi Eurasiatici. Mi occupo di politica internazionale e dell'Asia Centrale anche per il Caffè Geopolitico e L'Osservatore Romano. Tra i paesi in cui ho vissuto per studio o per esperienze lavorative ci sono anche gli Stati Uniti, Spagna e Ungheria. In tutti questi paesi, l'obiettivo è stato di immergersi nella cultura locale