L’articolo di COSIMO GRAZIANI
SALVARE LE PERSONE e farle integrare nei paesi di arrivo, è questo l’obiettivo dei corridoi umanitari organizzati dalla Comunità di Sant’Egidio. Ne abbiamo parlato con Cecilia Pani, che all’interno della Comunità partecipa all’organizzazione di questo progetti. Ci ha spiegato il funzionamento di questo strumento e cosa lo rende differente da altre procedure per portare in Europa i richiedenti asilo. Il primo corridoio nacque da una delle preghiere ecumeniche che vengono organizzate dalla Comunità insieme alla Federazione delle Chiese Evangeliche e la Tavola Valdese. “Dopo una di queste preghiere, i rappresentanti di Sant’Egidio e i rappresentanti delle altre confessioni cristiane si sono messi a ragionare su quale potesse essere il modo di evitare le morti in mare durante le traversate ed evitare il traffico di esseri umani” ci spiega la rappresentante della Comunità. Da questa volontà è partito il primo corridoio umanitario nel 2016 con il Libano, con il quale furono portati in Italia mille persone. Con il passare del tempo i paesi coinvolti sono aumentati: dopo il primo corridoio ne sono stati organizzati altri provenienti da Etiopia, Pakistan e Niger, e come paesi di arrivo sono stati coinvolti anche Francia e Belgio. In totale quasi seimila persone hanno raggiunto l’Europa in questi sette anni.
Quel che colpisce è la nazionalità di provenienza dei rifugiati: Siria, Eritrea, Sud Sudan, Yemen, Somalia e Afghanistan, a dimostrazione che al mondo esistono flussi migratori non sempre raccontati dai media. Abbiamo chiesto alla signora Pani di spiegarci nel dettaglio come funzionano gli spostamenti da un paese all’altro. «La procedura dipende da Stato a Stato. La Francia ha la sua, come il Belgio e come l’Italia. Per il nostro paese, alla firma del protocollo si definisce il numero di visti che potranno essere rilasciati per venire in Italia. Dopo la firma, le ambasciate dei paesi da cui si organizzano i corridoi ricevono le indicazioni e le persone si recano nelle delegazioni per ottenere un ‘visto a territorialità limitata’ che gli permette solo di arrivare in Italia. Una volta arrivati fanno domanda per asilo politico». Tra le persone che possono accedere alle procedure per il corridoio umanitario ci sono le famiglie mono-genitoriali, quelle numerose, i malati e i disabili. La Comunità di Sant’Egidio segue tutta la procedura amministrativa sia nei paesi da cui partono le persone sia una volta che queste arrivano in Italia. Una volta giunti tutti i richiedenti asilo seguono un percorso di integrazione. «C’è l’erogazione di servizi che vengono già preordinati e programmati: arrivano già sapendo di avere un alloggio, chi si preoccuperà di sostenerli economicamente almeno per un anno, o comunque finché non ottengono i documenti definitivi. Infine ci sono dei progetti di ricerca lavoro, ricerca alloggio, inserimento scolastico dei minori, apprendimento della lingua italiana». In totale, dal momento in cui i rifugiati fanno richiesta per il corridoio fino al momento in cui arrivano in Italia può passare un periodo compreso tra i 3 e gli 8 mesi a seconda della velocità delle procedure burocratiche.
Forse l’elemento più importante di queste operazioni sta nella fase iniziale, quella in cui i richiedenti asilo incontrano la Comunità nei paesi in cui vivono: parlando con gli operatori delle loro storie recuperano quel senso di dignità che era stato perduto a causa della guerra, della fuga, e delle violenze a cui hanno assistito. È proprio questo lato umano, questa attenzione, che caratterizza l’intero modello e su cui la Comunità cerca di investire maggiormente. Ma questo modello può essere utilizzato anche da altri paesi? La Comunità di Sant’Egidio è attiva in tutto il mondo ed è ascoltata a livello internazionale: all’ultima annuale Preghiera della Pace ha parlato anche il Presidente francese Emmanuel Macron. La signora Pani descrive così le azioni intraprese a livello europeo: «Noi speriamo di riuscire a creare un modello strutturato che possa essere replicato così com’è nei vari paesi europei. Ci sono vari gruppi di studio al lavoro sul tema e come Comunità partecipiamo alle riunioni della Euaa (l’Agenzia Europea per l’Asilo) per provare a creare un quadro normativo europeo. Perché in realtà i corridoi funzionano anche per gli altri paesi europei, ma non esiste un quadro normativo comune. L’ultima raccomandazione della Commissione europea in questa direzione è stata fatta nel settembre del 2020». La collaborazione con le istituzioni è continua e attiva. © RIPRODUZIONE RISERVATA