Carovita, guerre e immigrati sono i tre temi su cui il tycoon ha sbaragliato Kamala Harris. Il gigantesco flusso di denaro pubblico e privato avviato nell’estate del 2022 da Joe Biden con l’Ira (Inflation Reduction Act) non ha lasciato traccia nelle tasche dei consumatori americani davanti alle casse dei supermercati. La distanza tra ricchissimi e poveri s’è allargata, con il paradosso che i ceti popolari credono più a un miliardario malfattore che all’inconsistenza politica di Kamala Harris. Come espellerà milioni di immigrati lo vedremo. Le guerre in Ucraina e in Medio Oriente andranno avanti per inerzia per qualche mese. E poi? L’Europa dovrà pensare a difendere se stessa, dai carri armati di Putin (se nella testa dell’autocrate passassero questi grilli) e dai dazi di Trump. Guai in vista per i sovranisti ebbri di gioia per la vittoria del loro campione mondiale


◆ L’editoriale di IGOR STAGLIANÒ

La vittoria netta di Donald Trump, anche nel voto popolare, definisce già con sufficiente chiarezza la nuova direzione di marcia degli Stati Uniti d’America. Il tema dei migranti − asse portante della propaganda acchiappavoti, volgare e inumana, del tycoon − nella realtà avrà non poche difficoltà pratiche: aspettiamo di vederlo all’opera per espellere da 8 a 20 milioni di immigrati illegali da ributtare oltre il muro con il Messico. Per gli altri due temi che hanno portato Trump al successo elettorale, il carovita e le guerre in giro per il mondo, è utile concentrare subito la riflessione sui loro effetti tangibili. 

Se è su questo che ha vinto la sua partita contro i Democratici di Kamala Harris − ed è su questo che ha vinto, come concorda la quasi totalità degli analisti −, prendiamo l’argomento carovita di petto. L’iniezione gigantesca di denaro pubblico di 369 miliardi di dollari decisa da Joe Biden con l’Ira (Inflation Reduction Act, promulgata nell’agosto del 2022), a cui si aggiungono ulteriori investimenti per almeno altri 400 miliardi di dollari, ha intensificato notevolmente i progetti innovativi nel campo dell’energia e delle tecnologie pulite, come anche nel settore manifatturiero, con una crescita degli investimenti del 60%, creando centinaia di migliaia di posti di lavoro, soprattutto nelle zone rurali, dove Trump ha spopolato. E qui c’è già il primo bel paradosso: di questo gigantesco flusso di denaro pubblico e privato, nelle tasche degli americani rimane ben poco quando vanno a fare la spesa al supermercato. Abbiamo forse sentito dire mezza parola sulla distanza tra ricchissimi, ricchi e poveri dalla vice di Biden nei suoi cento giorni di campagna elettorale? Che credibilità può avere l’attenzione del miliardario Trump (e degli oligarchi che lo sostengono) alle difficoltà economiche della classe media e dei poveri americani, ci chiediamo un tantino esterrefatti. Eppure è quello che la realtà del voto ci para davanti.

Avrà mai insegnato qualcosa, all’inizio del decennio scorso, Occupy Wall Street? Non ha insegnato nulla, però sappiamo che è stato uno dei più spiati e infiltrati movimenti politici negli ultimi decenni in America, come documenta un ponderoso rapporto della Fbi (nel primo mandato di Barack Obama). Nada de nada ha insegnato, se si esclude la tenace battaglia (e il suo successo fra i giovani) di Benny Sanders, senatore ottantenne del Vermont, o le estemporanee uscite della deputata trentenne Aoc, Alexandria Ocasio-Cortez per i non iniziati. Cito due nomi non a caso, impegnati a redistribuire verso il bene comune una piccola parte delle ricchezze sconfinate dell’1% degli americani a danno del 99% della popolazione. Sono due fra i bersagli preferiti dagli strali dei nostri opinionisti, quando concedono a gettone le loro analisi “un po’ di qua un po’ di là”, dopo essersi affacciati ai balconi dei loro appartamenti a Manhattan nelle “maratone” televisive diurne e notturne. Gli stessi che, in queste ore, ci spiegano come i Dem hanno perso in questi anni i contatti con il loro popolo. 

La vittoria netta di Trump su questo terreno è forse l’occasione giusta per avviare un bilancio serio dell’ultimo trentennio dei Democratici americani aprendo la strada al declino democratico del loro Paese e a un manipolo di oligarchi illiberali. Da Bill Clinton in poi, è stato un cedimento continuo di terreno economico e sociale al liberismo più spregiudicato. Una politica che ha svuotato la democrazia liberale e ha lasciato campo libero da ogni responsabilità − etica, morale e legale − ai miliardari della new economy e dei social media della Silicon Valley, gli stessi che si sono allineanti ora con Donald Trump. A cui si aggiunge, last but not least, il «supergenio assoluto, una stella», secondo l’ultima definizione a lui riservata ieri nel discorso della vittoria dal 47° Presidente degli Stati Uniti. Forse il vero asso nella sua manica: Elon Musk sprigionerà tutto il suo genio per colonizzare lo spazio su Marte, prendendo il posto che fu della Nasa negli anni Sessanta e Settanta per vincere la gara tecnologica con la fu Unione Sovietica (sostituita oggi dalla Cina). Che bisogno ci sarà di salvare la presenza umana sul Pianeta blu? Stop agli impegni per combattere una crisi climatica sempre più catastrofica sulla Terra, via ai viaggi miliardari attorno alla nostra atmosfera per guardarli − i disastri ambientali e le migrazioni bibliche − da lassù: uno spettacolo imperdibile. Non vi siete accorti di come il booster Super Heavy, razzo sperimentale di Starship, sia rientrato alla base, “riabbracciato” dai formidabili bracci meccanici di Space X sette minuti dopo il suo decollo? 

A proposito di razzi, missili e droni, siamo al tema più preoccupante e trasversale, che ridefinisce campi politici e basi elettorali: alimentare o fermare le guerre attizzate in giro per il mondo negli ultimi quattro anni. E quindi al rapporto da instaurare tra Presidenza americana ed Europa. Accenderà mai una lampadina nei pensatoi sclerotici e negli apparati impermeabili dei Democratici americani il fatto che, per Trump, hanno votato sia gli ebrei americani in Pennsylvania che gli arabi americani in Michigan? C’è da sperare che la lampadina si accenda, ma i dubbi, onestamente, sopravanzano la speranza. I tanks andranno avanti per inerzia ancora un po’ sia in Ucraina che in Medio Oriente. Fino a dove lo vedremo la prossima primavera, dopo l’ingresso di Trump alla Casa Bianca, a cui potrebbe seguire qualche cessate il fuoco sui campi di battaglia. Sappiamo già, da subito, che l’Europa dovrà fare da sé. E non è una brutta notizia essere costretti a pensare a una riduzione effettiva delle spese militari − disperse oggi in 28 Stati diversi − rendendole più efficienti e utili in una Difesa comune europea per togliere dalla testa di Putin i grilli che potrebbero attraversare la sua mente aggressiva e paranoica. 

Altra storia, con l’Europa, saranno i dazi che Trump ha annunciato di voler alzare almeno del 20%. Fin dove potrà spingersi, e a chi venderà l’America i suoi prodotti? Guai in vista per i nostri sovranisti à la Meloni, Orbán, Salvini, Abascal, Höcke, ebbri oggi di gioia per la vittoria del loro campione mondiale. Guai che diventeranno ancora più seri se e quando il tycoon premerà per staccare l’Europa dalla Cina più nettamente di quanto non abbia fatto sin qui l’inconsistente Von der Leyen. Sarebbe il suicidio politico ed economico finale del nostro Continente, dopo i costi dell’energia quadruplicati (a vantaggio del gas liquido americano) dal bombardamento dei metanodotti costruiti negli ultimi decenni tra Germania e Russia. E qui si apre un altro capitolo su cui dovremo tornare con qualche riflessione più ponderata. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Direttore - Da inviato speciale della Rai, ha lavorato per la redazione Speciali del Tg1 (Tv7 e Speciale Tg1) dal 2014 al 2020, per la trasmissione “Ambiente Italia” e il telegiornale scientifico "Leonardo" dal 1993 al 2016. Ha realizzato più di mille inchieste e reportage per tutte le testate giornalistiche del servizio pubblico radiotelevisivo, e ha firmato nove documentari trasmessi su Rai 1, l'ultimo "La spirale del clima" sulla crisi climatica e la pandemia.