Frontespizio del Trattato di Ippocrate “Sulle arie, sulle acque e sui luoghi”; sotto il titolo, “Ippocrate rifiuta i doni di Artaserxes”, 1792, Anne Louis Girodet Trioson (1767–1824)

Torniamo in riva al Mediterraneo, nella patria di Stesicoro, di Timeo, o di Diodoro Siculo, frequentata anche da Platone, Eschilo, Erodoto, Pindaro, Lisippo o Bacchilide. Vi raccontiamo di un singolare incontro con la medicina antica, dovuto ad un mal di stomaco improvviso del vostro cronista (per la sua logorrea non c’è rimedio). Tutto avviene nei pressi della Sibaritide, nella terra dei Choni: nella Calabria, dove la ‘Ndrangheta (il maiuscolo è per sottolinearne la drammatica pericolosità), in quel periodo, non avrebbe mai potuto attecchire. Qui l’incontro col primo ambientalista della storia occidentale


Il racconto di ARTURO GUASTELLA, nostro inviato nella Magna Grecia

LA MATEMATICA È NATA in Magna Grecia? Prima di sorridere, pensando ai soliti (si fa per dire) Parmenide, o Pitagora, che matematico eccelso lo era, ma anche sublime filosofo, vorrei portarvi qualche altro esempio di cultori della scienza dei numeri nella Megale Hellas. E, per favore, non venite a dirmi che qui al Sud della penisola, oltre ad essere esperti nell’arte della lamentela, che manco il vescovo Jacques Bénigne Bossuet, con le sue “lamentazioni funebri”, o di essere affetti di una sorta di ubriacatura da “epos”, quasi fossimo irrimediabilmente contagiati da quella Ybris, la iattanza, cioè, che gli Dei solevano punire precipitandoli nell’Erebo, riflettiamo non tanto sul concetto della complessità dei numeri o sul loro intrecciarsi nelle formule quanto sull’etimo del termine “matematica”. Esso porta nel suo nome la radice del verbo greco “manthano”. 

Nei testi più antichi, “manthano” esprime la nozione sia di “imparare attraverso l’esperienza”, sia di “imparare a conoscere”, sia, infine, di “imparare a fare”. Un verbo di movimento, dunque, la cui sostantivazione in “mathema”, designava tutto ciò che era oggetto di insegnamento, di conoscenza, di studio. Ora, in un frammento attribuito al tarantino Archita, legato, come è noto, sia alla dottrina pitagorica che a Platone da un rapporto di amicizia, il termine “ta mathemata”, compare per la prima volta in senso tecnico per designare, insieme, astronomia, geometria, aritmetica e musica (‎Hermann Diels, Walther Kranz, in “Die Fragmente der Vorsokratiker”, i frammenti dei presocratici). Fra queste discipline, sosteneva Archita, esiste uno stretto vincolo di parentela. «Esse sembrano addirittura sorelle (adelphea), dal momento che trattano le due forme originali dell’essere, che sono, per l’appunto, intimamente connesse fra di loro», sentenziava il filosofo, matematico e uomo di Stato magnogreco. Tuttavia, il frammento non chiariva quali fossero tali forme, anche se gli scoliasti, gli esegeti dei testi antichi, erano concordi nel ritenere che si trattasse del “quanto”, del “quanto grande”, del “numero” e della “figura”. 

Erma di Pitagora, scultura in marmo V sec. a.C., Musei Capitolini, Roma

Mi rendo conto che questi primi freddi, sommati a questi miei ghirigori aritmetici, rischiano di mandarvi in malora i neuroni. Ricorrete, perciò, al vecchio e insostituibile “scaldino”, quella sorta di bacinella di rame, dove le nostre nonne solevano conservare la brace, per scaldare il “cerchio” familiare”, perché il vostro sadico cronista, ha intenzione di continuare. Sebbene l’autenticità del frammento di Archita sia stata reiteratamente messa in dubbio, non ci sono dubbi, tuttavia, che è proprio in questo frammento che si può trovare la prima formulazione di quello che, più tardi, il matematico Nicomaco di Gerasa, indicherà con l’espressione «thessaroi methodoi» e che, più tardi ancora, Severino Boezio codificherà nel Quadrivium. Le quattro vie dell’Aritmetica, della Geometria, dell’Astronomia e della Musica, per l’appunto. Il frammento di Archita, a giudizio di molti studiosi, costituisce un faro (un Gps, direbbe un nostro amico marinaio), una luce, cioè, per penetrare quel profondo processo mediante il quale, tra il V e IV sec. a.C., un complesso di conoscenze viene definito, prende identità, imponendosi come modello privilegiato di conoscenza: i “mathemata” per antonomasia. Le nostre e le vostre “matematiche”. In questo momento, però, più mie che vostre. 

Ed allora, torniamo in riva al Mediterraneo, nella patria di Stesicoro, di Timeo, o di Diodoro Siculo. Ma frequentata anche da Platone, Eschilo, Erodoto, Pindaro, Lisippo o Bacchilide, e scusate se è poco, per raccontarvi di un singolare incontro con la medicina antica, dovuto ad un mal di stomaco improvviso del vostro cronista (per la sua logorrea non c’è rimedio), nei pressi della Sibaritide, nella terra dei Choni. Nella Calabria, insomma, dove la ‘Ndrangheta (il maiuscolo è per sottolinearne la drammatica pericolosità), in quel periodo, non avrebbe mai potuto attecchire. Mentre, infatti, stavo ancora almanaccando sui numeri di Pitagora e di Archita e sugli astrusi concetti che ho cercato così disinvoltamente di appiopparvi, sperando, come me, che non ci avreste capito una mazza, un dolore improvviso allo stomaco, mi fece torcere le budella. È la giusta nemesi, mi venne di pensare, per questi miei contorcimenti mentali, che, irritati, sono scesi annodandomi le viscere. Ancora piegato sulle ginocchia, mi vennero incontro due fratelli che, non chiedetemi come, riconobbi come i medici Podalirio e Macaone, i figli nientemeno che di Asclepio e di Epione, dei quali si racconta che in questo lembo della Magna Grecia abbiano incontrato la regina dell’Ade, Persefone. Ci hanno, insomma, lasciato le penne. 

Frontespizio della prima edizione greca del corpus hippocraticum

A mezza voce, chiedo a Podalirio, del quale si racconta che curò e guarì la purulenta ferita di Filottete, se avesse seguito, nella Grande Grecia, il Re Magnesio, che, qui, dopo la caduta di Troia, era venuto a fondare città e ad aiutare un altro eroe dell’epos omerico, Tlepolemo, nella lotta contro indigeni. «I tuoi sintomi — glissano sulla loro venuta in Magna Grecia i due medici — fanno pensare ad una banale indigestione, per curare la quale, come puoi leggere nel Corpus Ippocraticum, raccogli da quell’albero due foglie di alloro, una manciata di salvia, un’altra di cumino, falli bollire e bevine il succo. Se, poi, dovessero aggiungersi anche scariche intestinali (leggi, diarrea), raccogli da quel carrubo, che voi chiamerete Ceratonia Siliqua, una o due carrube, e mangiale, in quanto contengono una sostanza astringente, che la vostra farmacologia, (si dice così?), utilizzerà nei farmaci antidiarroici». Inutile dire, che i grandi medici avevano ragione, anche se non è stato possibile proseguire il dialogo, perché, appena tornato vispo, erano già spariti. Ah, la Sibaritide, la Siritide, la Metauria, paesaggi da mozzare il fiato! Che, purtroppo, non abbiamo saputo conservare. 

Forse richiamato da questi miei pensieri, si fa avanti Ippocrate (V sec. a.C.), che mi invita a leggere il suo “Sulle arie, le acque e i luoghi”, forse, in assoluto, il primo trattato ambientalista. Il mio interlocutore, si guarda intorno, osserva il futuro e mi sorprende con queste parole. «In primo luogo è sbagliato chiedere e chiedervi,  quanto possano rendere la cultura o un bene culturale. È anche sbagliato parlare di “sfruttamento” della cultura e dei beni ereditati da noi antichi. La cultura, che contiene anche i beni paesaggistici, non è una rendita di posizione. È un processo creativo continuo che presuppone ricerca, studio, tutela, restauro. I siti archeologici, i boschi, o i centri storici, gli archivi o le biblioteche, non sono “giacimenti”, cioè rendite da “sfruttare”: sono beni complessi e delicati, da tutelare, da restaurare, da conservare, da vivere, sì, e da vivere con rispetto. Attenti, dunque». «E attenti, perciò», fa eco a Ippocrate Erodoto, che si era avvicinato per assicurarsi che il vostro “amato” cronista si fosse rimesso del tutto. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Giornalista dal 1971. Ha alternato la sua carriera di biochimico con quella della scrittura. Ha diretto per 14 anni “Videolevante”, una televisione pugliese. Ha tenuto corrispondenze dall’Italia e dall’estero per “Il Messaggero”, “Corriere della Sera”, “Quotidiano”, “La Gazzetta del Mezzogiorno” per la quale è editorialista. Con la casa editrice Scorpione, ha pubblicato “Fatti Così” e, con i Libri di Icaro, “Taranto - tra pistole e ciminiere, storia di una saga criminale”, scritto a due mani con il Procuratore Generale della Corte d’Assise di Taranto, Nicolangelo Ghizzardi. Per i “Quaderni” del Circolo Rosselli, ha pubblicato, con Vittorio Emiliani, Piergiovanni Guzzo e Roberto Conforti, “Dossier Archeologia” e, per il Touring club italiano, i “Musei del Sud”.