La locandina del film di Agnieszka Holland al cinema dall’8 febbraio

Vincitore del Premio Speciale della Giuria a Venezia, l’opera narra della crisi migratoria in atto dall’agosto 2021 sul confine tra Bielorussia e Polonia. Migliaia di rifugiati provenienti da Medio Oriente e Africa sono stati attirati con false illusioni di una facile via d’entrata per l’Europa dal premier bielorusso. Ma le autorità polacche li considerarono armi russe e li dipingono come minacce alla stabilità del Paese, violando il diritto internazionale e trattando con violenza anche bambini e donne in gravidanza. Il film viene raccontato da tre prospettive diverse: la famiglia di rifugiati siriani, una guardia di frontiera e una donna che vive nelle immediate vicinanze del confine e, davanti agli orrori a cui assiste, decide di intervenire attivamente in una tragedia umanitaria che coinvolge individui diversi accumunati dalla necessità di compiere scelte morali significative


◆ La recensione di GIULIA FAZIO

Uscito l’8 febbraio al cinema, Green Border vede il ritorno alla regia di Agnieszka Holland, con una storia che narra la vicenda della crisi migratoria in atto dall’agosto 2021 sul confine tra Bielorussia e Polonia. Il confine verde è costituito dalla foresta primaria lungo una striscia di terra che si è tinta di rosso per l’alto numero di morti, crimini e violazione dei diritti umani. I rifugiati, che provengono in gran parte dal Medio Oriente e dall’Africa, sono in cerca di asilo politico e sperano di raggiungere l’Europa percorrendo la tratta più “sicura” rispetto a quella del Mar Mediterraneo. Attirati in Bielorussia da un governo che promette loro un facile passaggio in Europa, i profughi sono in realtà pedine in un cinico gioco politico. Le autorità polacche li considerarono armi russe e li dipingono come minacce alla stabilità del Paese. Dunque, forti di questa propaganda, i militari non si fanno scrupoli a violare il diritto internazionale e a trattare con violenza anche bambini e donne in gravidanza. I rifugiati vengono non solo abbandonati in una zona di morte, senza aiuti, a morire di stenti, ma sono stati preclusi anche gli accessi alla stampa per documentare eventi e misfatti che hanno luogo in quel confine verde. Di fronte a tali sofferenze gli attivisti tentano di mandare un urlo di aiuto e cercano di aiutare i profughi rischiando essi stessi la carcerazione.

Vincitore del Premio Speciale della Giuria a Venezia, il film viene raccontato da tre prospettive diverse: la famiglia di rifugiati siriani, una guardia di frontiera e una donna che vive nelle immediate vicinanze del confine e, davanti agli orrori a cui assiste, decide di intervenire attivamente. Le vicende dei personaggi si intrecciano in una narrazione che intende documentare un problema prendendo atto di tutte le parti in causa: una tragedia umanitaria che coinvolge individui diversi accumunati dalla necessità di compiere delle scelte morali significative. La fotografia di Tomasz Naumiuk è funzionale ad una messa in scena che desidera catturare l’estemporaneità dei fatti nel loro divenire, privata di un desiderio estetizzante. Raccontare simili eventi non è un compito facile, ma le scelte adoperate riescono a restituire l’idea di azioni che, seppur romanzate, possano avvicinarsi ad una realtà plausibile e oscurata. 

Il bianco nero toglie tutti i colori catapultando lo spettatore in una zona di confine tra la vita e la morte e il racconto documentario si combina così al simbolismo: la foresta luogo fiabesco ed enigmatico racchiude il dolore e le miserie di fantasmi senza voce, anime erranti in un paesaggio magico e ostile allo stesso tempo. La camera pone l’attenzione su momenti di azione e caos tra il silenzio della natura, in un luogo dove anche l’ecosistema della foresta è stato violato e messo a rischio dall’egoismo umano. I confini sono stati inventati dall’uomo per segnalare una demarcazione, una differenziazione territoriale che diviene anche morale tra chi può e chi non può oltrepassarli. Dopo lo scoppio della guerra in Ucraina nel 2022, migliaia di rifugiati che abbandonavano il Paese in cerca di aiuto vennero accolti in Polonia da una fervente ospitalità. Sul finale, il film si interroga quindi su una questione fondamentale: cosa li differenzia? © RIPRODUZIONE RISERVATA

Classe 1994. Aspirante sceneggiatrice e critica cinefila anarchica. La grande passione per la Storia e la Letteratura la portano a laurearsi in Triennale in Lettere Moderne presso l’Università degli studi di Catania con una tesi in Letterature Comparate dal titolo Jules e Jim, dal romanzo al film. Invece, per assecondare l’altra passione - il cinema - decide di laurearsi in Magistrale in Cinema, Televisione e Produzione Multimediale presso il Dipartimento di Filosofia, Comunicazione e Spettacolo dell’Università degli Studi di Roma Tre. Collabora con alcuni Festival del cinema in Italia e in Canada; e svolge il ruolo di selezionatrice e giurata. La passione per la Settima Arte si affianca a quella per l’Arte e la Letteratura, e non immagina un mondo in cui la cultura muoia senza lottare.