La locandina dell’ultimo film di Piero Messina con Gael García Bernal, Bérénice Bejo e Renate Reinsve nelle sale dal 21 marzo

Presentato alla Berlinale 2024, Piero Messina torna, dopo il film “L’attesa” del 2015, con un’altra riflessione sul lutto e sulla perdita, stavolta in chiave science fiction. “Another End” (uscirà nelle sale il 21 marzo) è ambientato in un futuro prossimo con capacità tecnologiche avanzate dove è possibile “scaricare” i ricordi della persona deceduta, per essere poi impiantati in un Locatore che impersoni il defunto e ne acquisisca la personalità. La moglie Zoe viene così rimpiazzata da Ava, stripper in un club privato che fa la Locatrice a seguito di un lutto personale. Il racconto appare in funzione di una volontà del regista siciliano di restituire un immaginario fantascientifico, scopiazzando stilemi e ambientazioni senza aggiungere niente al genere, dimostrando di essere meno interessato alla psicologia dei personaggi e più concentrato sui virtuosismi stilistici che nascondono, sotto una superficie patinata, un’assenza di profondità narrativa


◆ L’anteprima di GIULIA FAZIO

A seguito di un incidente stradale, Sal (Gael García Bernal) si ritiene responsabile della morte della moglie, così sua sorella Ebe (Bérénice Bejo), nel tentativo di confortarlo, lo esorta ad usufruire di un servizio della compagnia Aeterna per cui lavora: il programma Another End permette a chi ha recentemente subito un lutto di poter salutare per un’ultima volta la persona cara deceduta. Il film Another End è infatti ambientato in un futuro prossimo con capacità tecnologiche avanzate dove è possibile “scaricare” i ricordi della persona deceduta, definita Assente, in un sistema che li immagazzinerà per un tempo limitato, affinché essi possano poi essere impiantati in un Locatore che impersoni il defunto e ne acquisisca la personalità. Dunque, per un periodo predeterminato e finito, ai clienti del programma viene fornito altro tempo con le persone care e un percorso psicologico di supporto alla perdita. Sal, inizialmente titubante, dopo l’insistenza della sorella e un tentativo di suicidio, decide di accettare di usufruire del programma. La moglie Zoe verrà così rimpiazzata da Ava (Renate Reinsve), stripper in un club privato che fa la Locatrice a seguito di un lutto personale. 

Olivia Williams, Bérénice Bejo, Gael García Bernal e Renate Reinsve al photocall della Berlinale (credit Berlinale)

La storia coinvolge diverse problematiche etiche e filosofiche che il film non approfondisce, seppur sollevando diversi quesiti. L’avanzamento tecnologico e i suoi esiti forniscono infatti i presupposti per un ampio dibattito sulla precarietà dell’esistenza, data la loro capacità di rendere possibile ciò che, forse, era meglio restasse impossibile. Tematiche già pienamente affrontate da Black Mirror di cui questo film sembra una puntata più lunga, e anche meno centrata. La sceneggiatura pecca nelle spiegazioni, troppo didascaliche, come i dialoghi del protagonista con lo psichiatra interpretato da Pal Aron; oltre che risultare a volte poco credibile nel worldbuilding. Quando il turno di lavoro è stato portato a compimento, i Locatori vengono prelevati dalle abitazioni dei clienti da addetti in tute bianche e posti in sacchi mortuari di plastica per essere riportati al centro operativo.

In un’infrastruttura ipertecnologica, che rimanda ai cliché dei luoghi di fantascienza, i Locatori aprono poi da sé i sacchi e riprendono la loro vita. Viene però spontanea la domanda: perché queste modalità di trasporto? Tutto appare in funzione di una volontà del regista siciliano di restituire un immaginario fantascientifico, scopiazzando stilemi e ambientazioni senza aggiungere niente al genere. Messina sembra così meno interessato alla psicologia dei personaggi e più concentrato sui virtuosismi stilistici che nascondono, sotto una superficie patinata, un’assenza di profondità narrativa. Vi sono una serie di intuizioni interessanti, tra cui la scena al museo che, oltre ad essere visivamente appagante, mostra un futuro in cui i ricordi potrebbero essere esposti come opere d’arte fruibili a tutti. 

Nonostante la bravura degli interpreti, l’opera non raggiunge l’apice e la grandiosità auspicata dal suo autore. Il finale, volutamente enigmatico, chiude con un banale accento romantico una parabola decrescente di un lungometraggio che ha puntato troppo al plot twist, perdendo mordente già al secondo atto. Sembrano lontani i tempi in cui Blade Runner utilizzava i linguaggi del genere fantascientifico per ragionare sull’umanità – il film lo cita attraverso gli origami di carta usati come biglietti da visita della società Aeterna. Questo tipo di origami però si scioglie nella pioggia che cade appena usciti dalla sala e che spazza via il ricordo del film, lasciando solo i sonori colpi di tosse della donna seduta alle mie spalle che echeggiano ancora nella mia memoria. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Classe 1994. Aspirante sceneggiatrice e critica cinefila anarchica. La grande passione per la Storia e la Letteratura la portano a laurearsi in Triennale in Lettere Moderne presso l’Università degli studi di Catania con una tesi in Letterature Comparate dal titolo Jules e Jim, dal romanzo al film. Invece, per assecondare l’altra passione - il cinema - decide di laurearsi in Magistrale in Cinema, Televisione e Produzione Multimediale presso il Dipartimento di Filosofia, Comunicazione e Spettacolo dell’Università degli Studi di Roma Tre. Collabora con alcuni Festival del cinema in Italia e in Canada; e svolge il ruolo di selezionatrice e giurata. La passione per la Settima Arte si affianca a quella per l’Arte e la Letteratura, e non immagina un mondo in cui la cultura muoia senza lottare.