La “cancel culture”, o cultura della cancellazione, che è poi un fenomeno nato nei grandi Paesi di lingua inglese, si può equiparare al nostro “politicamente corretto”. In sostanza, è una deriva buonista che sembra mossa da buone intenzioni ma che poi nella sua furia di cancellare, non tiene conto di come espressioni che ora scandalizzano fossero recepite senza scandalo in altre epoche e contesti. Piuttosto è lecito il sospetto che in questo guardare il dito e non la luna, ci sia molta retorica con cui sembra si vogliano nascondere le vere ingiustizie a danno degli emarginati


◆ Il controvento di FABIO BALOCCO

L’ultima opera che ha subito la scure della censura britannica è il film Mary Poppins, che è stato riclassificato come “film per minori di 12 anni ma solo se accompagnati da una persona adulta”, mentre dalla sua uscita ad oggi era un film per tutti, senza restrizioni. Cos’ha fatto cambiare idea al British Board of Film Classification (Bbfc)? Il fatto che nel film gli spazzacamini siano definiti “ottentotti”. E questo termine viene considerato discriminatorio perché veniva utilizzato dagli europei bianchi per evocare i popoli nomadi dell’Africa meridionale [nota 1]. È l’ultimo atto noto della cancel culture, o cultura della cancellazione, con la quale si intende la “cultura” che elimina termini, frasi o addirittura personaggi, oppure li modifica, o ne limita l’accesso. 

La cancel culture è nata negli Stati Uniti, ma è molto utilizzata nel Regno Unito, come visto. Ha fatto discutere ad esempio l’eliminazione di termini come “grasso”, “brutto”, “pazzo” dalle opere di Roald Dahl [nota 2]. Ma, in realtà, questa sorta di ostracismo è presente anche in altri paesi occidentali, e da noi la possiamo tranquillamente equiparare al politicamente corretto. Nel cui ambito rientra sicuramente anche la battaglia per l’utilizzo dello Schwa. Questa deriva buonista si presta a diverse considerazioni. La prima è che occorrerebbe rispettare il linguaggio e la cultura che ha caratterizzato un’epoca, e non attualizzarle, modificarle per adattarle alla cultura attuale. La cancel culture è del tutto equiparabile all’operazione che fece il fascismo di modifica dei nomi delle località piemontesi e valdostane, per cui Courmayeur diventava Cormaiore e La Thuile Porta Littoria. E poi non è assolutamente detto che un termine oggi considerato inopportuno o sgradevole fosse utilizzato a suo tempo in senso dispregiativo. Un esempio: Enzo Biagi utilizzava il termine “negri” per definire i neri, ma si può pensare che li disprezzasse? 

La seconda considerazione è che è terribilmente ipocrita revisionare termini utilizzati un tempo senza riscrivere altresì la storia dell’epoca e che si insegna nelle scuole. È brutto, inopportuno dire “ottentotti”, ma allora diamo ingresso nei libri di storia alla narrazione delle stragi compiute dai coloni inglesi, belgi, francesi, italiani in Africa nei confronti dei nativi. Ma anche una terza considerazione mi sembra opportuno fare: viviamo in un’epoca di sempre più forti disuguaglianze, di ricchezze sempre più in mano a pochi noti, di povertà dilagante, però ci si vuole fare belli con lo Schwa, con i diritti degli Lgbtq+, legittimi per la carità, non li discuto, ma sembra tanto di guardare il dito e non la luna. O forse si fanno le battaglie per i diritti individuali per tacere colpevolmente o dolosamente dei veri reietti, emarginati della nostra epoca? In ultimo, per chi voglia buttarla sull’ironia nei confronti del politicamente corretto consiglio vivamente la visione di American fiction. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Nato a Savona, risiede in Val di Susa. Avvocato (attualmente in quiescenza), si è sempre battuto per difesa dell’ambiente e problematiche sociali. Ha scritto “Regole minime per sopravvivere” (ed. Pro Natura, 1991). Con altri autori “Piste o pèste” (ed. Pro Natura, 1992), “Disastro autostrada” (ed. Pro Natura, 1997), “Torino, oltre le apparenze” (Arianna Editrice, 2015), “Verde clandestino” (Edizioni Neos, 2017), “Loro e noi” (Edizioni Neos, 2018). Come unico autore “Poveri. Voci dell’indigenza. L’esempio di Torino” (Edizioni Neos, 2017), “Lontano fa Farinetti” (Edizioni Il Babi, 2019), “Per gioco. Voci e numeri del gioco d’azzardo” (Edizioni Neos, 2019), “Belle persone. Storie di passioni e di ideali” (Edizioni La Cevitou, 2020), "Un'Italia che scompare. Perché Ormea è un caso singolare" (Edizioni Il Babi, 2022). Ha coordinato “Il mare privato” (Edizioni Altreconomia, 2019). Collabora dal 2011 in qualità di blogger in campo ambientale e sociale con Il Fatto Quotidiano, Altreconomia, Natura & Società e Volere la Luna.