È sensato, è attuale, è giusto parlare di fascismo oggi? C’è un reale pericolo che ritorni una qualche forma di fascismo, oppure semplicemente una forma di fascismo sta sopravvivendo dopo la tragedia della Seconda guerra mondiale e il suo lungo epilogo? Un dibattito, che sia sereno e fatto di argomenti, è utile anche per riflettere su quello che siamo, o siamo diventati. Prescindendo dall’idea – non ragionevole – di un duplicato di quello che è stato il Ventennio; e su questo basterebbe quanto ammonito da Primo Levi: ogni epoca ha il suo fascismo. Ci sono dei segnali vistosi, inquietanti, di un fascismo che vive il presente e che ha trovato accoglienza non solo nei gruppi dell’estremismo nero, ma nella rappresentanza politica che ora – alla guida del Paese – non ha radici nei partiti che hanno contribuito a “costruire” la Costituzione. Una realtà politica da avere ben presente soprattutto nel Giorno della Memoria: quel 27 gennaio 1945 in cui le truppe sovietiche dell’Armata Rossa scoprirono Auschwitz, mettendo sotto gli occhi del mondo “l’orrore assoluto” della Shoah, pianificata e compiuta dai fascismi europei

Sotto il titolo, primo piano di Umberto Eco, autore di “Il Fascismo Eterno” (La Nave di Teseo), pubblicato il 1995 da The New York Review of Books con il titolo originale di “Ur-fascismo”, tema di una sua conferenza alla Columbia University; qui in alto: «Il fascismo non è un’opinione è un crimine» (Giacomo Matteotti alla Camera dei deputati nel 1924, prima di essere assassinato dai fascisti)

◆ L’articolo di EMILIO DRUDI

«L’arcivescovo di Ferrara dovrebbe iniziare a riempire di migranti il suo palazzo e lasciare le case popolari ai ferraresi. La sua reggia non solo è molto grande, ma mi sembra anche piuttosto vuota. È facile fare i caritatevoli con i soldi e i beni degli altri…». Così – riporta il quotidiano Avveniresi è espresso il sindaco leghista di Ferrara Alan Fabbri contro l’arcivescovo Giancarlo Perego, “colpevole” di aver apprezzato la decisione della Regione di uniformare i requisiti per l’assegnazione delle case popolari, eliminando dai criteri per il punteggio in graduatoria la “residenzialità storica” prevista dal Comune. Trascurando di dire, tra l’altro, che la “reggia” è vuota perché in restauro da anni, dopo il terremoto del 2012. Ancora una volta “prima gli italiani”. Anzi, “prima i ferraresi”.

Ecco, il punto è in quel “prima gli italiani” che si sente sempre più spesso. E che implica di per sé una selezione e una scelta per l’applicazione di diritti fondamentali come quello alla casa. Che è un diritto della persona, non del cittadino. Quando si parla di “ritorno al fascismo” proprio di questo si parla. Nessuno può ragionevolmente temere che possa riproporsi il fascismo nella sua forma storica. Che qualcuno possa pensare di rimettere l’Italia in camicia nera, fez, orbace e stivaloni. È ovvio. Quello che c’è da temere è che, obbedendo al principio di “prima gli italiani” si abbia in mente e si possa arrivare a una società a marcata gerarchia sociale, costruita attraverso una serie di corporazioni o categorie e nella quale la libertà e i diritti, anziché essere universali come prevede la nostra Costituzione nata dalla Resistenza, cambiano, se ne hanno di più o di meno, a seconda della corporazione a cui si appartiene. Con un “collante” collettivo costituito da una pretesa “identità nazionale” unica, che esclude chiunque sia percepito come “diverso”. E che è l’anticamera del razzismo. Così, per tornare all’esempio delle case popolari di Ferrara, i migranti non ne dovrebbero avere diritto o comunque averne al massimo un “diritto limitato”, perché intrinsecamente “diversi” dalla comunità locale. Anzi, intrusi.

È su questa scia che disvalori come l’idea del “privilegio” di essere nati nello stesso paese, l’affermazione di una rigida “identità nazionale unica” (a dir poco anacronistica in una società complessa come quella in cui viviamo), il conseguente sospetto o addirittura l’ostilità nei confronti di chiunque sia percepito come “altro” e, via via crescendo, il nazionalismo cieco, la xenofobia, il razzismo, sono entrati sempre di più nella quotidianità. Come idee, atteggiamenti, scelte e comportamenti normali. Come una “cultura normale”. Talvolta senza che si riesca nemmeno ad accorgersene. Viene da pensare a una arguta risposta data da Francesco Guccini a chi gli chiedeva come mai tanti, in zone tradizionalmente “rosse” dell’Emilia Romagna, hanno scelto negli ultimi anni di votare per la destra estrema, in particolare per la Lega: «Forse perché – ha commentato Guccini – erano leghisti anche prima, ma non se ne rendevano conto…».

Ciò che c’è da temere, in sostanza, è quello che Umberto Eco ha definito il fascismo eterno, che preesisteva al fascismo storico realizzato in Italia ed è una costante che ritorna e si ripropone di continuo sotto nuove e varie forme, non solo in Italia ma in tutto il mondo. Come ad esempio il regime ultra-nazionalista, autoritario, securitario ed ultra-tradizionalista della Russia di Putin, a cui la destra italiana ha sempre strizzato l’occhio. Quel fascismo eterno che è un fattore culturale e psicologico da cui derivano poi i comportamenti e i valori che, espressi nella vita quotidiana dei singoli e della comunità e tradotti in politica, portano a classificare, dividere, discriminare, escludere, venendo meno ai principi universali di libertà, uguaglianza, solidarietà, giustizia sociale che sono il fondamento della Costituzione repubblicana e, appunto, antifascista.

Ma perché oggi riaffiorano questi discorsi e questi timori? Un dibattito di questo genere si è sviluppato dopo l’adunata fascista di Acca Larentia, organizzata dai gruppi più noti dell’estremismo nero, romani e non solo. Diversi politici di destra hanno mostrato una sorta di stupore per le polemiche sollevate da più parti: “Queste manifestazioni si sono tenute ad Acca Larentia anche in passato, quando governava la sinistra…”, hanno detto. È vero: è accaduto anche in passato. Ma questa semmai è un’aggravante: dimostra come il veleno del “fascismo eterno” sia a poco a poco penetrato così profondamente nella coscienza e nei comportamenti quotidiani da considerare “normale” quello che stava accadendo. “Normale” una adunata sediziosa, che ha riproposto come una sfida alla democrazia, senza alcuna reazione istituzionale, riti del fascismo storico che altrove – in Germania ad esempio, ma più in generale in buona parte dell’Europa – avrebbero comportato interventi e prese di posizione immediate da parte della politica, delle istituzioni, del mondo della cultura, del lavoro, ecc. Oltre che della giustizia. Ma in più, rispetto al colpevole silenzio del passato (in cui matura anche l’assalto squadrista alla sede nazionale della Cgil a Roma, nel settembre 2021), questi atteggiamenti, queste iniziative e soprattutto queste idee, che prima stentavano a manifestarsi in modo aperto e pubblico e in genere venivano anzi condannati, hanno trovato casa non solo nella “destra estrema” ufficiale di sempre ma in varie formazioni politiche che si dicono democratiche e che però, a ben vedere, stanno invece mettendo in campo un programma che mira a smantellare la democrazia costruita con l’antifascismo e la Costituzione del 1948 e a cambiare radicalmente il Paese.

Si tratta, non a caso, di partiti che non hanno partecipato alla “costruzione” della Costituzione. Come Forza Italia, un partito azienda dove ha sempre deciso tutto il suo fondatore. Come la Lega, che nasce con l’intento di smantellare l’unità e la solidarietà nazionale. O, ancora, come Fratelli d’Italia, che viene da una storia – da radici mai davvero recise – decisamente ostile, anzi nemica della cultura e dei valori dell’antifascismo che sono insiti in ogni articolo della Carta Costituzionale. Cultura e valori così evidenti, fondanti, che i padri costituenti non hanno nemmeno ritenuto di doverle scrivere le parole “antifascismo” o “antifascista”, perché si tratta di un valore irrinunciabile che emerge palese riga dopo riga, pagina dopo pagina, capitolo dopo capitolo.

Si obietta da più parti, a destra, che l’antifascismo sarebbe “anacronistico perché il fascismo non esiste più”. Ignorando o facendo finta di ignorare che affermare l’antifascismo significa affermare i fondamenti della Costituzione. Ignorando o facendo finta di ignorare che semmai il fascismo “storico” non esiste più. Ma il “fascismo eterno” di cui parla Umberto Eco e la sua visione della società accidenti se esistono ancora. Quel fascismo le cui radici Piero Gobetti individua nella tendenza alla “servitù volontaria” che porta ad accettare supinamente la supremazia di un “capo”, rinunciando di fatto alla democrazia: al grande impegno che richiede, giorno per giorno, la difesa dei principi democratici. Ed ecco, allora, che appaiono “normali” gli attacchi condotti contro la Costituzione. Normale, ad esempio, l’insofferenza del Governo contro ogni forma di dissenso e contro le regole del controllo democratico o i preziosi “contrappesi” tra le varie forme del potere dello Stato. Normale il rifiuto di ogni pensiero critico che, da qualunque parte provenga (organi istituzionali, stampa, magistratura, sindacati…), viene sempre considerato come “nemico”. Normale l’idea sempre più diffusa che occorre rafforzare il potere esecutivo affidandolo ad un “presidente con più poteri” e “più svincolato da lacci e lacciuoli”, negando anche l’evidenza che, in questo modo, si svilisce il ruolo costituzionale del Presidente della Repubblica. O ancora, anzi prima di tutto, la volontà di esautorare ed umiliare ogni giorno di più il Parlamento, che è il perno della nostra democrazia.

Per Piero Gobetti (1901-1926) le radici del fascismo sono individuabili nella tendenza alla “servitù volontaria” che porta ad accettare supinamente la supremazia di un “capo”, rinunciando di fatto alla democrazia

Ecco, tutto “normale” quando non lo è affatto. Ed appare anzi incompatibile con la democrazia che l’Italia ha conosciuto dalla Liberazione in poi. Vale la pena ricordare, allora, quanto scriveva Piero Gobetti nel 1925, tre anni dopo la Marcia su Roma e meno di un anno prima che morisse per i pestaggi subiti dagli squadristi: «La maggioranza degli italiani è fascista solo in questo senso: che ha una assoluta incompatibilità di carattere coi partiti moderni, coi regimi di autonomia democratica, con la lotta politica…». A 80 anni dalla Resistenza, dalla lotta antifascista e dalla Liberazione, stiamo tornando a questa “incompatibilità”, fino a consegnare l’Italia a quello che Massimo Giannini ha acutamente definito il rischio di una “capocrazia”? Forse. Certo è che risuonano quanto mai attuali le parole di Primo Levi, il quale non si è mai stancato di ammonire che ogni epoca ha il suo fascismo. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Già responsabile delle edizioni regionali e vice capo redattore della cronaca di Roma de “Il Messaggero”, ha approfondito i problemi dell’immigrazione, occupandosi in particolare della tragedia dei profughi provenienti dal Sud del mondo ed è tra i fondatori del Comitato Nuovi Desaparecidos. Sui rifugiati e le politiche migratorie ha pubblicato “Fuga per la Vita”, Edizioni Simple (2018). Insieme a Marco Omizzolo ha scritto “Ciò che mi spezza il cuore. Eritrea: dalla grande speranza alla grande delusione”, un saggio inserito nella collettanea Migranti e Territori (Ediesse, 2015); e “Etnografia della nuova diaspora eritrea: origini, sviluppo e lotta contro la dittatura”, nella collettanea Migranti e Diritti (Edizioni Simple, gennaio 2017). È autore anche di tre libri legati alla persecuzione antisemita: due con la Giuntina (“Un Cammino lungo un anno, Gli ebrei salvati dal primo italiano Giusto tra le Nazioni” nel 2012; “Non ha dato prova di serio ravvedimento. Gli ebrei perseguitati nella provincia del duce”, nel 2014); il terzo con Emia Edizioni “Il Marchio di diversi” nel 2019.