Dopo gli eventi alluvionali del maggio 2023 il presidente Bonaccini e l’intera Regione dichiararono che nulla sarebbe stato più come prima, che nuovi limiti sarebbero stati imposti sul consumo del suolo, non solo genericamente quantitativi ma ben individuati sulla base di un nuovo Piano di assetto idrogeologico, facendo finalmente proprie le elaborazioni della scienza e affermando che ciò si doveva fare «perché i disastri non si ripetano». A un anno di distanza i sindaci della costa romagnola hanno chiesto alla Regione di trasformare le colonie esistenti da Ravenna a Riccione in strutture turistiche. C’è solo da sperare che nessuno, a Bologna, li assecondi
◆ L’articolo di SAURO TURRONI
► Sembra che non sia successo niente eppure è passato appena un anno dalla più devastante alluvione che abbia mai investito la Romagna. Pochi giorni fa i sindaci della costa romagnola hanno incontrato una commissione regionale con l’obiettivo di chiedere modifiche al piano paesaggistico regionale per consentire loro di trasformare le colonie esistenti da Ravenna a Riccione in strutture turistiche. E la commissione dovrebbe proporre l’approvazione di un documento di indirizzo alla giunta regionale per assecondare i desiderata dei sindaci.
Come sono lontani i tempi in cui l’Istituto dei Beni Culturali dell’Emilia-Romagna, nel 1986, pubblicava il dossier “Colonie a mare. Il patrimonio delle colonie sulla costa romagnola quale risorsa urbana e ambientale” nella cui prefazione Vittorio Emiliani scriveva: «su queste aree e sugli altri terreni non ancora cementificati si gioca il futuro prossimo venturo della Romagna costiera, dei suoi abitanti (e operatori economici) e dei suoi ospiti. Purtroppo l’atteggiamento della Regione e dei Comuni interessati non dà molta strada alle speranze almeno nell’immediato. Nei piani urbanistici vengono previste altre aree di espansione turistico-alberghiere come se la grande macchina del divertimentificio non avesse già fatto indigestione di cemento e non accusasse già i contraccolpi di una stagione molto più ridotta, variabile a volte perfino inafferrabile».
Mancavano ancora sei anni all’Earth summit di Rio, ancora non si era cominciato a fare i conti con il riscaldamento globale, ancora gli effetti devastanti dei cambiamenti climatici sulle coste del pianeta apparivano chiari solo ad una ristretta cerchia di scienziati. Ora però ciò che un futuro sempre più prossimo ci riserva è noto a tutti, solo la cerchia dei negazionisti e delle lobby dell’Oil&Gas continua a negarne evidenza. E, insieme con loro, accomunati da un’unica visione di consumo di risorse e di suolo, stanno gli immobiliaristi, i costruttori e chi pensa che si possa continuare con lo sviluppo e la crescita senza limiti di sempre.
Dopo gli eventi alluvionali del maggio 2023 il presidente Bonaccini e l’intera Regione dichiararono che nulla sarebbe stato più come prima, che nuovi limiti sarebbero stati imposti sul consumo del suolo, non solo genericamente quantitativi ma ben individuati sulla base di un nuovo Piano di assetto idrogeologico, facendo finalmente proprie le elaborazioni della scienza e affermando che ciò si doveva fare «perché i disastri non si ripetano». Appena pochi giorni fa è stata celebrata nelle città colpite la ricorrenza dell’alluvione ma i sindaci della costa non hanno perso tempo per chiedere la libertà di mettere mano sulle ultime aree che potrebbero restituire naturalità ad un territorio che non sopporta più altro cemento, altra pressione umana, altre opere.
E dire che Cervia ha visto allagate le sue saline mentre Ravenna è stata salvata dalla generosa decisione di alcuni agricoltori che hanno consentito l’allagamento dei loro campi per evitare che la città andasse sott’acqua mentre Cesenatico da decenni vede alcune zone del suo territorio periodicamente allagate. In alcune zone della costa, fra la spiaggia e le aree edificate retrostanti, sono stati realizzati alti muri di cemento armato per impedire che il mare si riversi sulle case. Ingenti somme vengono spese ogni anno in ripascimenti sempre più onerosi e con volumi di sabbia crescenti.
Si dovrebbe avere compreso come sia davvero ora di girare pagina, di operare con una visione che tenga conto di tutti i fattori in campo a cominciare da ciò che il riscaldamento globale ci riserva nell’immediato futuro, e perciò dall’innalzamento del livello del mare. E quindi, per riprendere le parole di Vittorio Emiliani, occorre riportare in campo una pianificazione che abbia però come obiettivo il contrasto degli effetti del cambiamento climatico, che individui e proponga azioni di mitigazione ma anche di ripristino, ove possibile, di tutti quegli elementi di naturalità che possono contribuire in modo determinante ad attenuare i prevedibili danni. In alcune zone costiere la presenza delle colonie ha consentito la ricostituzione delle dune, altrove scomparse da oltre mezzo secolo, mentre specie animali mai viste in precedenza sono tornate a nidificare e a chiedere protezione.
Perché non pensare allora ad un grande piano di “desigillazione” da proporre all’Europa come esempio virtuoso di riconversione in chiave ecologica di un territorio che parrebbe irrimediabilmente perduto? © RIPRODUZIONE RISERVATA