Ed eccoci a dover riparlare di danni e vittime ad un solo mese di distanza dall’evento che colpì gravemente le Marche. Oggi parliamo di Ischia, ma poteva tranquillamente essere un’altra zona d’Italia, di questa nostra penisola tanto fragile da un punto di vista geologico. Ne parliamo con il geologo Fabio Luino, ricercatore senior del Cnr Irpi e Responsabile dell’Area Tematica Rischio Geo-Idrologico della Sigea, Società Italiana di Geologia Ambientale; da oltre 35 anni si occupa delle problematiche idrogeologiche del nostro Paese: «Parlare anche in questo caso di “cambiamento climatico” mi sembra l’ennesima ricerca di un alibi: infatti, sabato scorso ha piovuto intensamente, certo, ma la colata di fango e detriti ha coinvolto persone e case a causa dello stato di estremo degrado territoriale (utilizzo del suolo non correttamente pianificato) in cui versa quasi tutta l’isola»
L’intervista di MAURIZIO MENICUCCI con FABIO LUINO, geologo e ricercatore

— DOTTOR LUINO, UN altro evento naturale che ha provocato vittime e danni. Possibile che una pioggia di qualche ora possa causare tutto ciò? Colpa del tanto citato «cambiamento climatico»?
«Ciò che è accaduto ad Ischia è stato un processo d’instabilità naturale molto comune, non solo in Italia, ma in ogni parte del mondo. È stata una colata fangosa innescatasi a causa di piogge intense. La particolarità di quella di Ischia è che è stata una miscela di acqua e piroclastiti, vale a dire rocce vulcaniche più tenere che costituiscono la copertura dei pendii dell’isola (con caratteristiche geotecniche scadenti) che sotto l’azione delle piogge intense possono disgregarsi con facilità. Sabato 26 novembre, la colata si è incanalata in alcune piccole vallecole, iniziando a scendere a grande velocità, sradicando gran parte della vegetazione: purtroppo sulla sua strada ha incontrato numerose case abitate, cogliendo gli abitanti nel sonno. La colata, che ha un grande forza d’urto, è giunta rapidamente sino al mare trascinando, in acqua tutto ciò che ha incontrato: automobili, bus, pezzi di case. Le vittime sono probabilmente 12: 8 ritrovate e 4 disperse per ora.
«Purtroppo la colata ha coinvolto zone abitate, aree densamente edificate, soprattutto negli ultimi decenni. Parlare anche in questo caso di “cambiamento climatico” mi sembra l’ennesima ricerca di un alibi: infatti, sabato scorso ha piovuto intensamente, certo, ma la colata di fango e detriti ha coinvolto persone e case a causa dello stato di estremo degrado territoriale (utilizzo del suolo non correttamente pianificato) in cui versa quasi tutta l’isola».
— Quindi il problema è che anche ad Ischia, come in altre zone italiane, è stato edificato in maniera scriteriata?
«Ischia non è solo interessata da un elevato rischio geo-idrologico (si contano, infatti, numerosi eventi riconducibili a colate di fango che storicamente hanno interessato i versanti acclivi presenti e ricordo che nel 1910 vi fu un evento molto simile a quest’ultimo), ma anche da pericolosità vulcanica: come mi diceva la collega Sabina Porfido del Cnr, negli ultimi 5.500 anni si sono avute almeno 45 eruzioni tra esplosive ed effusive principalmente in centri localizzati nel settore orientale dell’isola. Come non bastasse, l’isola ha anche un elevato rischio sismico: basti ricordare gli eventi catastrofici del 1881, quello famosissimo del 1883 (XI MCS, con 2.313 morti), e ultimo l’evento del 2017 che ha colpito sempre Casamicciola nella parte alta con una intensità dell’VIII MCS.
«Insomma, è un’isola veramente messa malissimo da un punto di vista geologico-geomorfologico. Ciò nonostante, essendo un’isola paesaggisticamente molto bella, e di conseguenza turisticamente assai frequentata, soprattutto in relazione al termalismo che la caratterizza, ha subìto un’espansione urbanistica notevolissima negli anni, con le case più antiche costruite nelle aree idonee, e successivamente in zone via via più pericolose, su costoni rocciosi e soprattutto vicino agli alvei dei ruscelli. Questi sono rii effimeri, sovente privi di acqua e ciò ha sicuramente favorito il fatto che, anno dopo anno, i letti dei torrenti siano stati fagocitati dall’urbanizzazione, riducendosi drasticamente, quasi scomparendo. Ma siccome la morfologia non tradisce mai, quando piove forte per alcune ore, l’acqua da qualche parte deve andare e solitamente ripercorre le sue antiche incisioni, cioè i suoi alvei. Sì, senza dubbio su Ischia è stato costruito troppo e male: e purtroppo l’abusivismo l’ha fatta da padrone. Si stima che una casa su due sull’isola sia in tutto o in parte illegale, vale a dire costruite senza la obbligatoria documentazione necessaria.
«Io ho individuato il periodo critico dell’espansione urbanistica italiana fra il 1950 e il 1975: si ripartiva a costruire dopo un conflitto bellico terribile. E non ci siamo curati di osservare bene dove si andava ad edificare. Poi il boom economico è stata la ciliegina sulla torta! Senza regole e senza una chiara pianificazione urbanistica, per anni si è costruito dove i nostri vecchi non avrebbero mai eretto una casa. In tale attività espansionistica si sono distinti non solamente pochi grandi capitalisti, costruttori senza scrupoli, amministratori perbenisti, ma sia ben chiaro anche migliaia di bravi cittadini, che oggi piangono, ma che ieri si sono accaniti sull’Ambiente con una meschina rustica speculazione, di piccolo cabotaggio. Questo è accaduto non solo ad Ischia, ma anche in molte altre zone d’Italia (si pensi alla Liguria), eredità diretta e legittima di decenni di anarchia urbanistica e di cemento abusivo».
— Il discorso dell’“abusivismo” riflette alcuni stereotipi legati al divario fra Nord e Sud?
«I numeri parlano da soli. Il Rapporto Bes (Benessere equo e sostenibile) del 2021 che offre un quadro integrato dei principali fenomeni economici, sociali e ambientali che caratterizzano il nostro Paese, attraverso l’analisi di un ampio set di indicatori evidenzia che in Italia il 13% degli edifici sono abusivi, cioè edificati illegalmente. Le percentuali variano: al Nord la percentuale è solo del 4%, al centro Italia è del 12%, al Sud sale drammaticamente al 28%. Ciò significa che quasi una casa su tre è abusiva. I dati del Rapporto mostrano come in Trentino-Alto Adige e in Friuli Venezia-Giulia, nel Nord Italia, ogni 100 costruzioni autorizzate solo 3,2 siano abusive. Questo rapporto sale drammaticamente fino al 48,8% in Campania. Demolire in tutta la Penisola questi edifici avrebbe un costo minimo di 4 miliardi di euro, senza contare le problematiche intrinseche. Ciò nonostante, in Italia dal 2004 al 2020, su 57.000 ordinanze di demolizione emesse, quasi 19.000 sono state eseguite, il 33%. Chi ben inizia è a metà dell’opera!».
— Ora il nuovo Governo sembrerebbe voler affrontare seriamente il problema del dissesto geo-idrologico: quali suggerimenti si sentirebbe di dare al ministro e ai suoi collaboratori?
«Io ormai ho la barba bianca. Di governi volenterosi ne ho visti tanti, ma nessuno ha mai affrontato il problema con la dovuta determinazione. Alle prime difficoltà si sono arenate tutte le iniziative più interessanti che avrebbero dovuto essere perseguite. Se il territorio ormai è in questo stato di degrado, quasi insanabile, mi sentirei di suggerire al Governo di puntare almeno sull’informazione a 360°: vale a dire “non possiamo salvare le case? Ma almeno salviamo le persone”. Quindi si inizi un’opera di corretta informazione verso i cittadini. Gli abitanti dei nostri centri urbani spesso non sono a conoscenza dei processi geo-idrologici (alluvioni, frane, colate detritiche) esistenti sul loro territorio comunale. Invece, dovrebbero essere doverosamente informati da tecnici preparati affinché siano a conoscenza dei rischi con i quali debbono convivere e soprattutto come comportarsi nei momenti critici (tipo non scendere in un garage sotterraneo, ma salire ai piani superiori): ogni abitazione dovrà possedere una pagina/brochure da appendere obbligatoriamente dietro la porta di casa (come negli hotel) con le 3-4 azioni da fare in fretta e bene. Inoltre, in questi centri abitati, una/due volte all’anno, la Protezione Civile dovrà coordinare un’esercitazione pubblica coinvolgendo tutti (e anche in questo caso deve essere obbligatorio, con tanto di firma). A tal riguardo sarebbe utile che ogni singolo edificio di ogni Comune avesse una carta d’identità che riporti non solo le classiche caratteristiche strutturali dell’immobile, ma anche se abbia subito e meno dei danni in passato: un cittadino che giunge in una nuova città e vuole acquistare un immobile ha il diritto di sapere se quella casa sia già stata colpita da qualche evento geo-idrologico.
«E la diffusione della conoscenza del rischio geo-idrologico potrebbe essere un’azione che lo Stato dovrebbe intraprendere “dal basso”, sin dalle scuole elementari. I nostri bambini sono molto più sensibili e pronti ad apprendere di noi adulti: sono delle “spugne”. Ad essi si dovrebbero insegnare nozioni semplici sui processi d’instabilità naturale più comuni, sulle più elementari norme di auto-protezione e di rispetto dell’ambiente. Utilizzando semplici opuscoli che rappresentino le diverse realtà geologiche-geomorfologiche, coadiuvati da video di facile apprendimento, potrebbero essere l’inizio per un insegnamento capillare che dovrebbe poi proseguire anche nelle scuole superiori con i dovuti accorgimenti: perché, ad esempio, non creare un’ora fissa di “cultura ambientale”?».
— In conclusione, dott. Luino, qualcosa possiamo e dobbiamo fare per questa nostra povera Italia.
«Molteplici sono i fattori che concorrono allo sviluppo delle catastrofi come in questo caso, oltre ai fattori naturali predisponenti contribuiscono anche il mancato rispetto per la natura in primis, l’uso indifferenziato del suolo, l’espansione edilizia non pianificata, l’abusivismo vergognoso, i condoni edilizi (un termine che dovrebbe scomparire dal vocabolario), la “burocrazia melassa” che rallenta gli interventi, la mancanza di attuazione di progetti finanziati, la mancanza di una corretta manutenzione programmata nel tempo e infine l’incapacità persistente da parte della classe dirigente locale di non essere in grado di utilizzare bene e in fretta i fondi stanziati per mettere in salvaguardia il territorio. In questi giorni si parla di dissesto geo-idrologico perché vi è stato l’evento di Ischia. Fra un mese non se ne parlerà più, fino al prossimo evento luttuoso. Bisognerebbe seriamente ripensare ad una cultura di base ambientale, che ragionevolmente riporti gli uomini al rispetto della natura. La conoscenza del proprio territorio, delle pericolosità a cui è soggetto e di conseguenza dei possibili rischi, deve essere la base del nostro operato se vogliamo essere cittadini consapevoli. Ma ne saremo capaci?».
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