Il Comitato olimpico internazionale doveva scegliere fra tre località: Oslo in Norvegia, Almaty in Kazakistan, e Pechino; scelse Pechino che gli impianti neppure li aveva

Quando nel 2014 la Cina candidò Pechino ad ospitare le Olimpiadi invernali del 2022, la località sciistica neppure esisteva. Il Comitato olimpico internazionale doveva scegliere fra tre località: Oslo in Norvegia, Almaty in Kazakistan, e Pechino, e scelse proprio Pechino che gli impianti neppure li aveva. E fu così che gli operosi cinesi si misero alacremente al lavoro per creare questa stazione farlocca dal nulla, una stazione farlocca dove nessuno scia, né residenti né turisti, perché, per sciare, la neve la devi creare e crearla costa un sacco di soldi. Si parla di 90 milioni di dollari (forse di più), quale spesa sostenuta solo per la neve finta. Qui l’acqua non c’è neppure, è una landa arida e l’acqua l’hanno dovuta portare appositamente, sottraendola ai locali, che già ne avevano poca


L’articolo di FABIO BALOCCO

C’È CHI VEDE delle gare di sci alpino, io ci vedo la stupidità dell’uomo e la potenza del denaro. Parlo del comprensorio sciistico di Xiaohaituo (“affidati al cuore”), sul monte Yanqing «una collinona alta poco più di 2000 metri, situata a una novantina di chilometri a Nord-Ovest di Pechino, in una zona dove le nevicate sono rarissime — una media di cinque centimetri l’anno — esposta al sole ma anche spazzata dal vento, e molto fredda» [leggi qui nota n. 1].

 Per sciare devi creare la neve e costa un sacco di soldi: 90 milioni di dollari ma potrebbero essere molto di più; per fabbricare la neve finta serve acqua che nei dintorni non c’è; l’hanno dovuta portare sottraendola agli abitanti locali

Quando nel 2014 la Cina candidò Pechino ad ospitare le Olimpiadi invernali del 2022, la località sciistica (?) neppure esisteva. Il Comitato olimpico internazionale (Cio) doveva scegliere fra tre località: Oslo in Norvegia,  Almaty in Kazakistan, e Pechino, e scelse proprio Pechino che gli impianti neppure li aveva! E fu così che gli operosi cinesi si misero alacremente al lavoro per creare questa stazione farlocca dal nulla, una stazione farlocca dove nessuno scia, né residenti né turisti, perché, per sciare, la neve la devi creare e crearla costa un sacco di soldi. Si parla di 90 milioni di dollari, quale spesa sostenuta solo per la neve finta in vista della manifestazione ma potrebbe essere molto di più. Anche perché qui non sono le Alpi, dove il clima e la presenza di fiumi e torrenti consente di fabbricare la neve finta. Qui l’acqua non c’è neppure, è una landa arida e l’acqua l’hanno dovuta portare appositamente, sottraendola ai locali, che già ne avevano poca. Del resto, dietro la montagna c’è il deserto del Gobi. Come se non bastasse «i Giochi di Pechino hanno lasciato una ferita profonda nei boschi. Già nel 2015 alcuni esperti hanno consigliato di cambiare location per evitare danni irrimediabili alla natura. Per la costruzione delle nuove infrastrutture a Yanqing e Zhangjiakou, tra cui piste, eliporti e parcheggi, sono state deforestate molte zone della Riserva Naturale di Songshan, circa 1.100 ettari, il 25% del parco» [leggi qui nota 2]

La Cina sostiene che i giochi sono sostenibili per l’energia elettrica verde utilizzata, per le piste di pattinaggio, curling e bob raffreddate con gas di scarico industriale, per i veicoli alimentati ad idrogeno

E allora viene da chiedersi con quale faccia il Cio — che afferma che la sostenibilità ambientale debba essere una priorità strategica nei processi di candidatura — abbia assegnato i giochi ad una località che lo sci non sa nemmeno che esista e che ha creato un’apposita stazione dal nulla, con pesanti ricadute ambientali? Ma parlar male del Cio è come rubare le caramelle ai bambini, o sparare sulla Croce Rossa: si vede cosa sta capitando a Cortina senza che il Cio muova un dito [leggi qui nota 3]. 

Ovviamente, oggi la Cina afferma che sostenibili i giochi lo sono davvero per via dell’energia elettrica verde utilizzata, per via delle piste di pattinaggio, curling e bob raffreddate con gas di scarico industriale (sempre nella stessa località), per via dei veicoli alimentati ad idrogeno [leggi qui nota 4]. Già, restano però negli occhi le immagini attuali di quella montagna sfregiata, e quelle future dell’abbandono che ne seguirà. E tutto per rafforzare l’immagine della Cina nel mondo. Un mondo di cacca© RIPRODUZIONE RISERVATA

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Nato a Savona, risiede in Val di Susa. Avvocato (attualmente in quiescenza), si è sempre battuto per difesa dell’ambiente e problematiche sociali. Ha scritto “Regole minime per sopravvivere” (ed. Pro Natura, 1991). Con altri autori “Piste o pèste” (ed. Pro Natura, 1992), “Disastro autostrada” (ed. Pro Natura, 1997), “Torino, oltre le apparenze” (Arianna Editrice, 2015), “Verde clandestino” (Edizioni Neos, 2017), “Loro e noi” (Edizioni Neos, 2018). Come unico autore “Poveri. Voci dell’indigenza. L’esempio di Torino” (Edizioni Neos, 2017), “Lontano fa Farinetti” (Edizioni Il Babi, 2019), “Per gioco. Voci e numeri del gioco d’azzardo” (Edizioni Neos, 2019), “Belle persone. Storie di passioni e di ideali” (Edizioni La Cevitou, 2020), "Un'Italia che scompare. Perché Ormea è un caso singolare" (Edizioni Il Babi, 2022). Ha coordinato “Il mare privato” (Edizioni Altreconomia, 2019). Collabora dal 2011 in qualità di blogger in campo ambientale e sociale con Il Fatto Quotidiano, Altreconomia, Natura & Società e Volere la Luna.