Sono sempre di più le insidie con cui dobbiamo fare i conti quando mangiamo. Dai vini al bicarbonato alla mozzarella blu, dalla carne imbottita di anabolizzanti con cui sono stati nutriti gli animali d’allevamento, al latte contaminato da aflatossine. Fino ad arrivare alla tossica mandragora spacciata per normale verdura. Ma i produttori e commercianti spregiudicati spesso riescono a farla franca. Come è possibile? I disegni di legge che potrebbero regolamentare adeguatamente il settore sono da tempo fermi in Parlamento. E le norme vigenti – che pure potrebbero essere efficaci – non sono applicate. I controlli sono carenti. E l’autorità giudiziaria non fa dappertutto il suo lavoro: vi sono zone d’Italia in cui i processi penali per reati alimentari proprio non si fanno
L’analisi di RAFFAELE GUARINIELLO
MAI COME IN questi ultimi anni gli illeciti agro-alimentari stanno creando problemi a non finire. Alcuni esempi tratti dalle sentenze della Cassazione di quest’ultimo anno: vini adulterati rimescolati con bicarbonato; olio di oliva vergine spacciato per olio extravergine; vitelli trattati con sostanze anabolizzanti; mandragora fatta passare per una normale verdura con morte dell’acquirente; latte contaminato da aflatossine. Sempre più pressante è la richiesta di giustizia da parte dei consumatori e delle imprese virtuose. Taluno suggerisce di puntare sulla cultura della sicurezza alimentare e della lealtà commerciale, e questa è certamente una necessità irrinunciabile. Ma non basta. Anche per favorire lo stesso sviluppo dell’etica delle imprese, è del pari indispensabile puntare sulle leggi e, in particolare, sulle responsabilità penali.
Le leggi italiane in materia di alimenti sono certo da rafforzare ulteriormente. La strada maestra sarebbe stata quella segnata dal disegno di legge n. 2427 recante “Nuove norme in materia di reati agroalimentari”, presentato alla Camera dei Deputati il 6 marzo 2020, ma che trae origine dal d.d.l. n. 2231/2015 predisposto da una commissione istituita con decreto 20 aprile 2015. Solo che questi disegni di legge sono rimasti lettera morta. E tuttavia le nostre leggi già apprestano da tempo strumenti potenzialmente efficaci, nell’intento sottolineato dalla Cassazione di evitare che le esigenze del commercio prevalgano sul diritto alla salute e alla lealtà. Il fatto è che le norme anche più rigorose, quelle di oggi, quelle di domani, non raggiungono l’obiettivo preso di mira, se rimangono scritte sulla carta. Ed è purtroppo la larga disapplicazione delle norme vigenti uno dei fenomeni che più caratterizzano l’Italia e non solo l’Italia. Ci chiediamo perché. Una causa, non l’unica, ma determinante, è ravvisabile nella carenza dei controlli. Eppure, sono molti, anche troppi, gli organi della pubblica amministrazione chiamati a vigilare sui prodotti alimentari. Solo che i controlli espletati da questi organi si rivelano spesso insufficienti. Occorre:
- arricchire gli organici e ancor più la professionalità degli ispettori
- premiare, non punire, gli ispettori che si prodigano nelle attività di vigilanza
- scongiurare ogni confusione tra l’attività di vigilanza sulle aziende e una sostanziale attività di consulenza per le aziende
Ma non basta mettere in luce le carenze degli organi di vigilanza. Dobbiamo prendere atto senza falsi pudori che sono inadeguati anche gli interventi dell’autorità giudiziaria. Purtroppo, in Italia, ci sono zone in cui i processi penali per reati alimentari proprio non si fanno, e altre zone in cui si fanno, ma con una tale lentezza che troppo spesso si arriva poi alla prescrizione del reato. Inevitabile, in un simile contesto, è che, tra le imprese, possa diffondersi un senso di impunità, la devastante idea che sia consentito violare le regole (in danno del consumatore e delle aziende serie) senza incorrere in reali responsabilità. E nel contempo inevitabile è che tra i consumatori possa diffondersi il senso di una giustizia negata. Dobbiamo migliorare la qualità dei nostri interventi. Vi sono Procure della Repubblica (poche) specializzate, e Procure della Repubblica (la maggior parte) non specializzate. Come stupirsi allora se le indagini sui reati alimentari siano tanto spesso superficiali, e magari finiscano per chiudersi con un’archiviazione? Come stupirsi se, ad esempio, le indagini sulle frodi realizzate dalla stessa società in stabilimenti esercenti la medesima attività e situati in diverse parti del territorio italiano si chiudano in una zona con la condanna e in altre zone nemmeno si aprano o finiscano con un’archiviazione? Come dimenticare le mozzarelle blu, i frutti di bosco congelati positivi al virus dell’epatite A, le sostanze chimiche destinate a far apparire fresco pesce avariato? E ancora: è pressante l’esigenza di istituire un irrinunciabile punto di riferimento per i molteplici organi di vigilanza operanti in Italia nel settore delle frodi alimentari. Attualmente, la miriade di organi di vigilanza favorisce lo sviluppo di non sempre collimanti interpretazioni e applicazioni delle norme in materia, con palesi ricadute negative in danno vuoi dei consumatori, vuoi delle imprese. Utile sarebbe una presenza istituzionale che dia risposte concrete ai molteplici dubbi sorti nella interpretazione e applicazione delle norme in tema di frodi alimentari.
Ecco perché ritengo indispensabile una riflessione sulla possibilità di costruire una nuova organizzazione giudiziaria nel settore alimentare. Una organizzazione centralizzata che sia investita delle più significative questioni nei campi della sicurezza alimentare. Un’organizzazione che in questi campi abbia le competenze e le forze anche per indagini a livello nazionale, che non fermi la propria attenzione alle responsabilità dei livelli più bassi dell’organigramma aziendale e ove del caso individui tali responsabilità nelle stanze in cui si esercitano i poteri decisionali e di spesa, si stabilisce la politica della sicurezza alimentare dell’impresa, si effettuano le scelte di fondo rispetto alle quali nessuna capacità di intervento possa realisticamente attribuirsi a personaggi più deboli dell’organigramma aziendale. Un’organizzazione che sappia allargare i propri orizzonti oltre i confini di reati non ancora denunciati e promuova con la collaborazione delle autorità amministrative e sanitarie azioni sistematiche a carattere preventivo, nel rispetto della norma del codice di procedura penale in forza della quale il pubblico ministero non può limitarsi a ricevere le notizie di reato presentate o trasmesse, ma deve “prendere notizia dei reati di propria iniziativa”. © RIPRODUZIONE RISERVATA