Con questa analisi, Guido Ortona si domanda – partendo da una semplice constatazione – cosa non può mancare nel programma di un partito politico di sinistra. La constatazione è che un programma dovrebbe contenere proposte sui temi fondamentali della società che stiamo vivendo. Inizia così un “viaggio” (in due puntate) che può aiutare anche a capire la crisi di consensi di cui sta soffrendo la sinistra. E quali sono i grandi temi che la sinistra non si può permettere di ignorare? Due di questi sono probabilmente i più grandi tra quelli che si possono affrontare con politiche di livello nazionale: la gestione dell’economia della Ue, e di conseguenza una lotta contro questa Europa; la mancanza di politiche ridistributive

L’analisi di GUIDO ORTONA, economista
1 — Cosa non deve mancare nel programma di un partito politico di sinistra
PARTO DA UNA constatazione che dovrebbe essere ovvia ed elementare: il programma di un partito politico di sinistra deve contenere proposte sui problemi fondamentali della società in cui ci si trova. Ovvia perché è da essi che conseguono i seri problemi quotidiani (se ce ne sono, e oggi in Italia indubbiamente ci sono) che affliggono il popolo . Per fare un esempio: è giusto lottare perché l’ospedale X della città di Y osservi norme di profilassi migliori. Questa lotta potrà sortire qualche risultato. Potrà anche salvare qualche vita. Ma la somma di tutte le lotte di tutti gli ospedali X cambierà sostanzialmente poco se non si ottiene un rifinanziamento della sanità pubblica. Un altro: la lotta per condizioni di lavoro migliori nell’azienda W potrà forse riuscire vittoriosa. Ma sarà ben poca cosa se intanto (cosa che sta avvenendo passo dopo passo) si aboliscono i diritti dei lavoratori.
Ora, fra i “grandi problemi” che un partito di sinistra non può permettersi di ignorare ce ne sono due che probabilmente sono i più grandi fra quelli che è possibile affrontare con politiche specifiche a livello nazionale . Eccoli:
a) La gestione dell’economia da parte delle istituzioni europee. Questa gestione non è una gestione “tecnica”, e nemmeno la attuazione di compromessi tali per cui alla fine tutti ci guadagnano: è la risultante dell’interazione delle esigenze interne delle diverse economie nazionali, in cui prevalgono soprattutto gli interessi della Germania e in cui quelli dell’Italia sono fortemente danneggiati .
b) La mancanza di politiche redistributive dall’alto verso il basso. Le politiche di sinistra costano. Occorre trovare i soldi, e ciò implica prenderli ai ricchi.
Il che ovviamente non vuole dire che altre proposte devono essere escluse, né che quello che una volta si chiamava “lavoro di base” non sia importante. Lo è certamente. Ma questo non autorizza i partiti di sinistra a ignorare i grandi problemi. E’ giusto difendere i diritti di lavoratori. Ma è molto difficile farlo, e ancora di più estendere quei diritti in un regime di stagnazione o recessione. Che non è una calamità naturale.
Chi è d’accordo con quanto sopra può passare al paragrafo 3. Chi ha dei dubbi troverà qualche considerazione nel prossimo paragrafo. Chi non è d’accordo, e rimane in disaccordo anche dopo la lettura del prossimo paragrafo, può fare a meno di continuare a leggere, però sarebbe bene che si domandasse (e se possibile mi spiegasse) perché non è d’accordo. I ragionamenti che seguono dal paragrafo 3 in poi danno per scontata l’accettazione di quanto in questo paragrafo.
2 — Breve approfondimento sui punti elencati al paragrafo predente
Punto a). Una politica economica di sinistra che voglia incidere in modo significativo non solo sul modello di crescita del nostro paese, ma anche solo sulla sua crescita, presuppone una ridefinizione delle regole che ci legano alla Commissione dell’Unione e alla Banca Centrale Europea. E’ infatti necessario sottrarsi al doppio vincolo imposto dalle regole europee: sottrarre ogni anno dalla disponibilità del governo circa il 5% della spesa pubblica per il servizio del debito (ed essere sottoposti alla volatilità di questa cifra) e la difesa (anzi, l’espansione) delle rendite finanziarie a scapito dell’economia reale, come è successo in Grecia. Quindi, il primo passo di un programma di politica economica di sinistra deve essere rivendicare in Europa, e quindi lottare per ottenere (cosa possibile grazie al gigantesco potere di ricatto del debitore di cui gode l’Italia) una gestione del debito pubblico che sia subordinata alla crescita dell’economia, e non condizionabile dagli interessi politici di altri paesi. Niente crescita, niente servizio o rimborso del debito, al massimo impegno a non estenderlo. Si noti che un paese costantemente in attivo primario (tranne che in emergenza covid), come l’Italia, ha di solito più risorse da investire se non aumenta il debito e al tempo stesso riduce il pagamento degli interessi e il rimborso, rispetto all’espansione continua del debito con interessi non calmierati . Proposte in tal senso esistono e sono tecnicamente attuabili; ma ovviamente richiedono una volontà politica – e quindi una lotta politica. Il fatto che i politici di sinistra perlopiù non le conoscano testimonia della loro ignoranza, non dell’impraticabilità delle proposte. Si noti che l’Europa, come già osservato, non fa errori: fa gli interessi di alcuni paesi e alcuni gruppi sociali contro quelli di altri paesi e altri gruppi. Quindi non ha senso cercare di spiegare alla Commissione “perché sbaglia”, come troppo spesso leggiamo.
Punto b). Ma quanto sopra non basta. Attuare politiche economiche di sinistra richiede risorse. Queste non possono essere ottenute a debito (che comunque è troppo alto, e che se rimborsato costituisce un trasferimento dal basso verso l’alto). Devono quindi essere ottenute mediante un aumento delle tasse. Se si vuole essere di sinistra, queste devono gravare sui ricchi e consentire un trasferimento ai poveri (o allo Stato sociale). Anche su questo punto esistono proposte praticabili, che non causerebbero né inflazione né ristagno, e anche su questo punto la loro ignoranza non è una scusante, piuttosto un’aggravante.

3 — Due questioni di metodo
a) Proposte politiche di sinistra di ampio respiro devono avere l’appoggio delle classi o dei gruppi sociali di riferimento, e questo implica necessariamente l’esistenza di un programma chiaro, espresso in pochi punti comprensibili e concreti. Per capirci: se a un ipotetico propagandista della sinistra viene chiesto “d’accordo su un’espansione della sanità pubblica, ma dove trovate i soldi?” occorrerebbe che il propagandista potesse rispondere (per esempio) “con un’imposta dell’X% sui patrimoni superiori all’Y%”; o almeno “con un’imposta sui grandi patrimoni” e non “con un nuovo modello di sviluppo” o “con una riforma del fisco”. Come vedremo queste risposte da qualche parte ci sono, anche se non ovunque; ma sono annegate nel contesto di varie decine di proposte. Il nostro ipotetico attivista non potrà conoscerle tutte; e soprattutto avrà bisogno di sapere quali sono le priorità. In altri termini, un programma di sinistra deve contenere un elenco breve e chiaro di proposte realizzabili, specifiche, importanti e naturalmente di sinistra. Il Manifesto del Partito Comunista conteneva un programma in 10 punti (che nei paesi sviluppati sono stati in gran parte realizzati). Il precedente Manifesto dei Cartisti ne elencava sei (cinque dei quali realizzati nei paesi più sviluppati). Anche Hitler deve in buona parte la sua vittoria elettorale nel 1932 alla chiarezza e al buon accoglimento da parte dei tedeschi ridotti in povertà del programma in 25 punti del Partito Nazionalsocialista. Il Contratto con gli Italiani di Berlusconi gli ha attratto molte simpatie. E l’ottimo risultato della coalizione di sinistra Nupes (già France Insoumise) alle elezioni politiche francesi del 2022 deve probabilmente molto all’avere proposto agli elettori un programma ragionevole in 10 punti.
b) Cercare di obbligare l’Europa una diversa gestione del debito (e più in generale della politica economica continentale) e i ricchi ad una redistribuzione verso il basso implica lottare contro questa Europa e contro questi ricchi. E’ perfettamente possibile che qualche parte dell’Europa si persuada della giustezza di questa lotta, e soprattutto che buona parte dei ricchi sia favorevoli a una redistribuzione – dopotutto anche i ricchi sono esseri umani, e l’abisso fra loro e i poveri sta diventando disumano. Ma ciò potrà avvenire solo a seguito della lotta. Che dovrà essere gestita con accortezza, saranno probabilmente necessari compromessi; non penso certo a una lotta armata (anche se l’acuirsi del conflitto sociale propizia la genesi del terrorismo), penso a una lotta politica; ma nulla potrà essere ottenuto senza lotta, una lotta che per iniziare richiede in primo luogo la convinzione che sia necessaria. — (1. continua) © RIPRODUZIONE RISERVATA