Per Trump, l’adozione di alcune idee libertarie della Silicon Valley ha significato rafforzare la narrativa del “Deep State” e presentarsi come l’uomo che sfida i poteri forti. Per i libertari tech, Trump rappresenta un veicolo per ridurre la regolamentazione, abbassare le tasse e limitare il controllo statale sul business e sull’innovazione. Sta di fatto che la  deregulation e l’erosione dello Stato sociale stanno già trasformando il rapporto tra cittadino e potere, con una crescente distanza tra chi detiene le leve economiche e chi subisce le disuguaglianze. Il vero interrogativo è se questa convergenza rappresenti una fase di passaggio verso un nuovo modello socio-politico o se segni l’inizio della fine della democrazia liberale


 ◆ L’intervento di ALESSIO LATTUCA

La convergenza tra un personaggio come Donald Trump, con un passato da imprenditore immobiliare tradizionale e un approccio populista, e i giovani miliardari libertari della Silicon Valley è certamente uno dei fenomeni più curiosi e significativi del nostro tempo. Apparentemente opposti per formazione, storia e linguaggio, questi due mondi si sono trovati a condividere obiettivi e visioni strategiche che li hanno uniti, creando un’alleanza simbolica ma potentemente influente. È evidente che sia un incontro di interessi, non di ideologie. Trump, nonostante la sua immagine di “self-made man” e le sue radici nell’immobiliare, ha compreso che l’elettorato americano, sempre più polarizzato, era pronto per un messaggio di rottura. La sua retorica populista e anti-establishment si è sovrapposta, per opportunità politica, ai discorsi libertari dei leader della Silicon Valley, che da anni criticano l’intervento dello Stato e promuovono un’idea di libertà economica radicale, spesso travestita da rivoluzione tecnologica. 

Per Trump, l’adozione di alcune idee libertarie ha significato rafforzare la narrativa del “Deep State” e presentarsi come l’uomo che sfida i poteri forti. Ma il rischio più probabile è rappresentato dalla fatto che, per  i libertari tech, Trump rappresenta un veicolo per ridurre la regolamentazione, abbassare le tasse e limitare il controllo statale sul business e sull’innovazione. Peraltro rappresenta anche l’eredità libertaria della Silicon Valley. Infatti i giovani miliardari della Silicon Valley, cresciuti in un ambiente dominato da utopie tecnologiche e influenzati dal pensiero libertario degli anni ’70 e ’80, hanno fatto della critica allo Stato il loro mantra. Molti di loro, figli degli hyppies, si sono ribellati al collettivismo della generazione precedente, trasformandolo in un individualismo radicale.

Il co-fondatore di PayPal Peter Thiel a sinistra e Elon Musk a destra nel 2000; una curiosità: guardate l’incipiente calvizie di venticinque anni fa e la criniera attuale dell’uomo più ricco del mondo (credit foto Paul Sakuma/Ap)

Questi imprenditori vedono lo Stato come un ostacolo, e credono che la tecnologia possa risolvere problemi sociali senza bisogno di mediazioni politiche. Il loro può essere definito anarco-capitalismo, ed è centrale nelle loro filosofie la visione che il mercato possa autoregolarsi e che le persone debbano essere libere di scegliere senza interferenze statali. Questo spiega perché personaggi come Elon Musk (che promuove la libertà assoluta di espressione su Twitter/X) o Peter Thiel (primo grande sostenitore di Trump) si siano allineati con un presidente populista che prometteva deregulation e abbattimento delle regole tradizionali. 

In definitiva, possiamo affermare che ha prevalso l’antistato come collante e, nonostante le differenze culturali e di background, sia Trump che i libertari della Silicon Valley condividono una sfiducia radicale verso lo Stato centrale. Trump lo attacca come rappresentazione del “Deep State”, ossia una burocrazia corrotta e distante. I Tech libertarians lo considerano un residuo del passato, incapace di comprendere o regolare il futuro tecnologico che essi stanno costruendo. Entrambi vedono la deregulation come un obiettivo primario: per Trump, è una mossa populista; per i libertari tech, è una necessità economica per favorire l’innovazione. 

Whashington, 20 gennaio 2025. Trump giura da Presidente: in prima fila gli oligarchi della Silicon Valley

Si tratta di un vero paradosso, giacché questa alleanza tra Trump e la Silicon Valley è tutt’altro che naturale. Trump è un protezionista, mentre la Silicon Valley prospera nella globalizzazione. Trump rappresenta l’élite vecchio stile, mentre i libertari tech si vedono come rivoluzionari che distruggono i vecchi sistemi. Trump usa la politica come show business, mentre molti libertari tech preferirebbero eliminare del tutto la politica tradizionale. Eppure, questa unione funziona perché entrambi condividono un nemico comune: lo Stato come istituzione regolatrice e i “valori tradizionali” della democrazia rappresentativa. 

Ma l’alleanza tra populismo destrorso e libertarismo tecnologico rappresenta un rischio concreto per la democrazia. Entrambi i mondi tendono a sottovalutare (o ignorare) i principi fondamentali dello Stato di diritto e della giustizia sociale. Altro notevole rischio è rappresentato dalla concentrazione di potere: le Big Tech, con il loro controllo dei dati e delle infrastrutture digitali, collaborano con la politica per amplificare il proprio dominio. Ma al tempo stesso causano una progressiva erosione della partecipazione: la disintermediazione promossa dai social media e dalle piattaforme tecnologiche riduce il ruolo delle istituzioni democratiche tradizionali, ed amplifica la cultura della polarizzazione. Infatti l’uso di algoritmi e messaggi populisti amplifica divisioni e radicalizza le opinioni pubbliche. 

Emerge dunque una giustificata domanda: se il matrimonio di convenienza sia destinato a durare o se l’alleanza tra Trump e i libertari tech possa essere solo transitoria. Tuttavia è chiaro che i suoi effetti rischiano di essere comunque duraturi. D’altronde, la  deregulation e l’erosione dello Stato sociale stanno già trasformando il rapporto tra cittadino e potere, con una crescente distanza tra chi detiene le leve economiche e chi subisce le disuguaglianze. E il vero interrogativo diventa se questa convergenza rappresenti una fase di passaggio verso un nuovo modello socio-politico o se, invece, segni l’inizio della fine della democrazia liberale così come l’abbiamo conosciuta sin qui. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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È presidente di Confimpresa Euromed, amministratore delegato Confidi per l’impresa e direttore generale Cofidi Scrl. Imprenditore agrigentino, si batte da anni contro il rigassificatore di Porto Empedocle (sua città natale), che definisce un “progetto folle”, a pochi passi dalla Valle dei Templi, a ridosso della casa di Luigi Pirandello in contrada Kaos.