Nel linguaggio comune è “America”, ma il realtà si chiamano Stati Uniti d’America, e sono solo una parte dei due continenti delle Americhe. La popolarità nel linguaggio comune di questa definizione non corretta è la conseguenza di uno strapotere economico dal dopoguerra in poi. Così come l’Olanda è la parte più ricca della sua nazione, e molti in Italia sono convinti che ci sia uno Stato che si chiama così, invece sono i Paesi Bassi. Eppure, degli Usa ora non vacilla solo il primato economico, ma anche quello culturale che si è espresso da quasi un secolo soprattutto nel cinema. La pochezza dei film protagonisti nella notte degli Oscar racconta di quanto questa identità sia sbiadita. Un gigante in crisi, sia nelle sue definizioni auto-referenziali (esportatore di democrazia e libertà che ha invece portato massacri in giro per il mondo) che nella vita di tutti i giorni dei suoi abitanti. Sono peggiorate le condizioni di vita con una povertà diffusa. È in crisi la sicurezza (120 pistole per ogni cento abitanti). È in crisi l’idea che questo grande Paese può avere del futuro: in media, uno statunitense consuma tanta energia quanto quattro italiani
L’articolo di FABIO BALOCCO
NELLE PRIME PAGINE del suo saggio “Le vene aperte dell’America Latina” Eduardo Galeano fa un’affermazione che io faccio da tempo: gli statunitensi si sentono talmente forti da imporre nel mondo il termine “America” alla loro nazione, quando invece l’America è l’intero continente. Pensateci, è proprio vero. A dire il vero, però, non si riesce a comprendere perché gli USA abbiano acquistato tanta “popolarità”, o meglio si capisce in virtù del loro strapotere economico, che peraltro ora è messo in seria difficoltà da altre nazioni. Ho pensato questo il giorno dopo la notte degli Oscar e in concomitanza con un articolo de Il Fatto su Daniel Ellsberg (purtroppo molto malato), che ebbe il coraggio di fotocopiare i documenti segreti relativi alla guerra in Vietnam (Pentagon Papers), documenti da cui emergeva la triste realtà di una nazione che mandava al massacro i suoi figli (58200 furono gli statunitensi uccisi), commetteva scientemente massacri tra i civili vietnamiti, pur e ben sapendo che la guerra non aveva alcuna possibilità di vincerla.

Gli Usa si autodefiniscono spesso esportatori di democrazia e libertà, ma a giudicare da Vietnam, Iraq, Afghanistan si evince esattamente il contrario. È anche, come dicevo, il giorno dopo la notte degli Oscar, da sempre area di pascolo di quell’area dem statunitense che fa apparire gli USA buoni e giusti, e che è il palcoscenico internazionale dell’American way of life. Ma accidenti quanto è sbiadita questa immagine, e quanto povero è il livello della settima arte statunitense e dei film premiati. L’anno scorso un remake di un film francese, ovviamente buonista, quest’anno una sorta di videogioco sul metaverso. Gli Usa stanno perdendo quel primato mondiale anche “culturale” che si crearono con le due guerre mondiali, specie ovviamente la seconda, vinta grazie alla volontaria uccisione di oltre 200000 civili in Giappone (consiglio Roberto Mercadini “Bomba atomica”) e grazie all’accordo con la mafia in Italia: giova ricordarlo. Abbiamo ancora qualcosa da ammirare negli USA? “Il 2023 negli Stati Uniti si è aperto a colpi di arma da fuoco: già 49 sparatorie con 87 vittime. In tutto il paese ci sono 120 pistole ogni 100 abitanti.”
Negli Stati Uniti, oltre l’11% della popolazione vive con meno di 900 € al mese, e la metà di queste non ha entrate. Chi è costretto a dormire sotto una tenda ti risponde che quella è casa sua (Elisabetta Grande dixit) e questo anche a Beverly Hills, dove i poveri che dormono per strada danno molto fastidio ai ricchi. A tacere dell’insostenibilità del tenore di vita generale (non certo dei poveri…), quell’impronta ecologica per la quale detengono un triste primato: uno statunitense medio produce 730 chili di rifiuti l’anno, mangia cento chili di carne, consuma 600 litri di acqua al giorno e brucia energia quanto quattro italiani.
Davvero c’è ancora o c’è mai stato qualcosa da ammirare in questa nazione? Giusto questo articolo che citavo su Ellsberg, a proposito della tanto decantata e declinata libertà negli Usa, cita Snowden costretto a vivere in esilio; Manning otto anni in prigione; Assange incriminato, come a suo tempo Ellsberg. E conclude: “Piango per Daniel Ellsberg e per la sua America che sta morendo”. © RIPRODUZIONE RISERVATA