Quando la pandemia ha colpito «non solo il nostro sistema economico si è trovato impreparato a tutelare i diritti delle persone più vulnerabili ed emarginate, ma ha attivamente favorito coloro che sono già estremamente facoltosi»

È come se a Robin Hood, oppure a Zorro, avessero invertito le polarità: si prende ai poveri per elargire ai ricchi. Con una differenza; che un tempo, anche per merito di chi si ergeva a difensore degli oppressi, non sempre vessazioni e sfruttamento andavano a segno e talvolta il perfido Sceriffo di Nottingham finiva incerottato e umiliato. Invece nel mondo globale e ipertecnologico di oggi, la sperequazione a detrimento delle masse è facile come per un rapinatore professionista sarebbe sottrarre le merendine a una scolaresca dell’asilo. Anche semplicemente a scorrere l’agenda dei lavori e i documenti presentati  all’ultimo Forum di Davos, risalta in tutta la sua drammatica evidenza un rapporto presentato dall’Oxfam, il cui titolo non ha bisogno di spiegazioni: “La disuguaglianza uccide”; e tanto più inesorabilmente lo fa con il concorso della pandemia che da due anni incrudelisce su tutti gli abitanti del Pianeta


L’analisi di CARLO GIACOBBE

L’ORGANIZZAZIONE, FONDATA A Oxford nel 1942 per portare cibo e soccorsi alle donne e ai bambini greci stremati dalla guerra e dalla brutale occupazione nazifascista, oggi conta 21 Ong confederate in un centinaio di paesi e in tutti e cinque i continenti. Nel rapporto presentato a Davos si afferma che quando la pandemia ha colpito «non solo il nostro sistema economico si è trovato impreparato a tutelare i diritti delle persone più vulnerabili ed emarginate, ma ha attivamente favorito coloro che sono già estremamente facoltosi». Questo scenario, che purtroppo rispecchia l’andamento delle vicende umane nonostante i conati della storia di invertire il passo (protocristianesimo, millenarismo, marxismo, socialismo umanitario, scandinavo, ecc.), evidenzia alcune realtà che mettono i brividi. L’Oxfam, la cui analisi si spinge fino alla parte finale del 2021, mostra che in due anni scarsi il patrimonio netto dei dieci miliardari più ricchi è più che raddoppiato (+119%), superando il valore aggregato di 1.500 miliardi di dollari. Al ritmo di un milione di dollari al giorno ciascuno, questi Paperoni impiegherebbero quattro secoli per spendere le loro fortune.

Quattro immagini a confronto che valgono mille parole

Anche senza tenere conto della pandemia, che pure ha causato il moltiplicarsi delle ricchezze delle grandi multinazionali farmaceutiche, considerando retrospettivamente l’andamento corrispondente all’ultima generazione (meno di 30 anni), tra il 1995 e il 2021 l’1% più ricco, in termini patrimoniali, ha beneficiato del 38% del surplus di ricchezza. Ciò, con appena il 2,3% del surplus andato a favore della metà più povera della popolazione mondiale. In termini reali, stando a calcoli effettuati dall’Imperial College di Londra, il surplus patrimoniale del solo Jeff Bezos, il fondatore di Amazon, nei primi 21 mesi della pandemia (+81,5 miliardi di dollari) equivale al costo completo della vaccinazione (due dosi con richiamo) per l’intera popolazione mondiale. Tra marzo 2020 e novembre 2021 si è avuto un aumento nel numero dei miliardari, passati da 2.095 a 2.660. La ricchezza netta aggregata dei tycoon è aumentata in quei 21 mesi di oltre 5.000 miliardi di dollari, più della variazione complessiva dello stock patrimoniale dei miliardari Forbes nel periodo 2007-2014. L’outlook del giugno 2021 della Banca Mondiale, dice ancora l’Oxfam, è soggetto a forte incertezza legata alla possibile evoluzione della pandemia nei Paesi a basso e medio reddito, allo sviluppo di nuove varianti virali, ai ritardi della campagna vaccinale, ai livelli di indebitamento pubblico e all’aumento dei prezzi di generi alimentari.

Ma non c’è solo la pandemia. Un altro virus, forse peggiore ancora, infierisce, quello della disuguaglianza. Ogni quattro secondi una persona muore per mancanza di accesso alle cure, per gli impatti della crisi climatica, perfame, per violenza di genere. Nei paesi di tutto il mondo, le politiche economiche e la cultura politica e sociale stanno perpetuando la ricchezza e il potere di pochi privilegiati a detrimento della maggioranza dell’umanità e del pianeta. È il sistema economico che strutturalmente produce disuguaglianza, è il modo in cui le nostre economie e società attualmente funzionano. Tale sistema colpisce prevalentemente le persone povere e gli appartenenti a minoranze etniche, impoverendoli ancora di più e negando loro opportunità. Colpisce in particolar modo le donne, sulle quali grava maggiormente il peso causato dalle carenze dei servizi pubblici. Ragazze, minoranze e persone più povere sono spesso costrette a lasciare la scuola. Sono l’elemento debole tra i deboli in un pianeta sofferente.

Jeff Bezos fondatore di Amazon

Chi come noi, malgrado la crisi, ha la fortuna di fare parte della minoranza privilegiata del mondo, dovrebbe partire proprio dalla pandemia per tentare di modificare almeno un po’ lo status quo. I cosiddetti “no vax”, che in modo dissennato e spesso pretestuoso parlano di libertà conculcate e diritti denegati, dovrebbero convogliare le proprie energie non per contrastare chi a giusto titolo vuole proteggersi da un virus pervasivo, ma per manifestare contro lo strapotere economico di poche multinazionali in grado di monopolizzare la produzione dei vaccini e delle cure salvavita. Per queste industrie, che pure hanno ricevuto ingente sostegno economico dagli Stati ricchi, giustamente ansiosi di ottenere forme di protezione dal virus, nessuno è così ingenuo da auspicare un francescano voto di povertà, ma, una volta restituiti i fondi pubblici alle rispettive nazioni e realizzati profitti utili a mantenere le aziende nella prosperità, ci si attenderebbe che fossero ceduti senza royalties i brevetti ai paesi più poveri, alcuni dei quali hanno accesso ai vaccini in percentuali esprimibili con una sola cifra.

Questo anche nell’egoistico interesse di noi “ricchi”. Perché, per tornare alla metafora iniziale, dobbiamo fare attenzione e sebbene nelle società avanzate il numero non sia più potenza, insistere contro chi non ha nulla da perdere potrebbe riportare le polarità allo stato originario: col rischio di una collisione con migliaia, anzi milioni, forse miliardi di Robin Hood e di Zorro, in un caleidoscopio di colori di pelle, occhi e fenotipi esasperati; con i quali non si può ragionare, men che mai in inglese, ma che conoscono perfettamente, per istinto, la prima metà di un monito latino, “primum vivere”. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Mi divido tra Roma, dove sono nato, e Lisbona, dove potrei essere nato in una vita precedente. Ho molte passioni, non tutte confessabili e alcune non più praticabili, ma che mai mi sentirei di ripudiare. In cima a tutte c'è la musica, senza la quale per me l'esistenza non avrebbe senso. Non suono alcuno strumento, ma ho studiato canto classico (da basso) anche se ormai mi dedico (pandemia permettendo) al pop tradizionale, nei repertori romano, napoletano e siciliano, e al Fado, nella variante solo maschile specifica di Coimbra. Al centro dei miei interessi ci sono anche la letteratura e le lingue. Ne conosco bene cinque e ho vari gradi di dimestichezza con altrettante, tra vive, morte e, temo, moribonde. Ho praticato vari generi di scrittura; soprattutto, ma non solo, saggi e traduzioni dall'inglese e dal portoghese. Per cinque anni ho insegnato letteratura e cultura dei Paesi lusofoni alla Sapienza, mia antica alma mater. Prima di lasciare, con largo anticipo, l'Ansa e il giornalismo attivo, da caporedattore, ho vissuto come corrispondente e inviato in Egitto, Stati Uniti, Canada, Portogallo, Israele e Messico. Ho appena pubblicato “100 sonétti ‘n po’ scorètti", una raccolta di versi romaneschi. Sono sposato da 40 anni con Claudia e insieme abbiamo generato Viola e Giulio