Poco prima di dimettersi per l’affaire “Boccia di Rosa”, il ministro Sangiuliano aveva scippato alla Città del Golfo la sede centrale della Soprintendenza nazionale del Mare. Una politica del ministero confusa, forse distratta dalle vicende personali del ministro e dall’abnorme proliferare di un apparato burocratico (Segreterie regionali, Direzioni generali, Dipartimenti, eccetera), maligna eredità della Riforma Franceschini. A quanto pare, il nuovo ministro Alessandro Giuli intende rivedere quella decisione e c’è da sperare che si ridia spazio all’ambizioso programma di ricerca sul patrimonio sommerso nei nostri mari. Avviato dalla dottoressa Barbara Davidde, una delle più quotate archeologhe subacquee a livello internazionale (prima del suo trasferimento che anticipava lo scippo a Taranto della sede centrale della Soprintendenza), esso dovrebbe essere dotato, stavolta, di strutture e personale specializzato. Per l’accademico dei Lincei Francesco D’Andria, urge mettere fine a un enorme spreco di risorse, di energie, soprattutto intellettuali, e di impegno civile, per far fronte alle esigenze del nostro grande patrimonio archeologico
◆ L’articolo di FRANCESCO D’ANDRIA, accademico dei Lincei
► Confesso di aver deciso di non commentare le ultime decisioni del Mic, ministero della Cultura. Troppo numerose le ultime confuse vicende riguardanti questo nostro sfortunato ministero, che pure dovrebbe giocare un ruolo centrale nella politica di un Paese come l’Italia, che custodisce tanta parte della Cultura dell’Occidente. Poi, dopo le buone notizie, qualche mese fa, della nomina di Stella Falzone a nuova Direttrice del MArTA, e di Francesca Romana Paolillo alla Soprintendenza del Mare e del territorio della Provincia di Taranto, giunge la sconcertante decisione del ministro Sangiuliano, napoletano, di togliere a Taranto la sede centrale della Soprintendenza nazionale del Mare, per assegnarla a Napoli. La sede territoriale limitata alla sola Provincia diventa sede periferica della Sabap (brutto acronimo che indica Soprintendenza Archeologia, Belle Arti (sic) e Paesaggio) con sede a Lecce. La dott.ssa Paolillo, appena nominata Soprintendente a seguito di un Concorso, verrebbe così a perdere la sede tarantina dove con entusiasmo e buona volontà aveva iniziato la sua impegnativa attività.
Queste decisioni contraddittorie sono certamente effetto di una politica del ministero confusa, forse distratta dalle vicende personali del ministro Sangiuliano e dall’abnorme proliferare di un apparato burocratico (Segreterie regionali, Direzioni generali, Dipartimenti, eccetera), maligna eredità della Riforma Franceschini. All’allarme provocato a Taranto dalla notizia dell’azzeramento delle sue Soprintendenze, sembra che il nuovo ministro Alessandro Giuli abbia deciso di rivedere quella decisione e la notizia è stata rilanciata in un ampio articolo del “Corriere del Mezzogiorno” (19 settembre), a firma di Cesare Bechis, in cui vengono riportate roboanti dichiarazioni di parlamentari tarantini sul pericolo scampato dalla Città dei due mari. Ed anche l’incipit dell’articolo ha le movenze di una marcia trionfale: «Taranto esulta: scippo evitato», come l’indimenticabile Mario Del Monaco, quando lanciava il suo potente «Esultate!» nell’Otello di Giuseppe Verdi.
Ma, rispetto a queste vicende dell’eterno melodramma italiano, vorrei proporre un pacata riflessione sulla situazione attuale dell’archeologia a Taranto, una delle maggiori metropoli del Mediterraneo, in particolare nel IV e III sec. a.C., quando era governata dal filosofo e scienziato Archita. Forse bisognerebbe considerare con maggiore cura e sensibilità questi fattori quando si prendono decisioni riguardanti il suo patrimonio culturale! Sin dagli inizi del secolo scorso Taranto era stata identificata come sede della tutela archeologica di Puglia e Basilicata, svolgendo questo ruolo con efficacia grazie alla passione e all’impegno, a volte eroici, dei suoi funzionari. Così, presso l’Archivio della sede tarantina si era andata accumulando una straordinaria documentazione riguardante scavi, scoperte, interventi di valorizzazione. Poi negli anni Sessanta del secolo scorso, era stata istituita la Soprintendenza Archeologica della Basilicata e, grazie a Dinu Adamesteanu, la ricerca archeologica in quella regione era divenuta un punto di riferimento internazionale.
Ma Taranto manteneva la sede centrale di tutta la Puglia ed i suoi depositi e archivi continuavano a conservare un patrimonio enorme di reperti e documentazione. Poi qualche anno fa, la Riforma Franceschini aveva realizzato uno dei maggiori disastri per i Beni Culturali del nostro Meridione, creando le Soprintendenze uniche (allora si usava il dotto termine olistiche) e da allora l’Archeologia è stata confinata in una situazione marginale nell’organizzazione dei nuovi Enti di tutela. Da allora Taranto ha perso il suo ruolo centrale e la Puglia è stata spacchettata in una serie di più piccole Soprintendenze “olistiche” a Bari, Foggia, Lecce e Brindisi. Ma per Taranto il ministro aveva annunciato che sarebbe stata prestigiosa sede della Soprintendenza Nazionale del Mare, lasciando ad essa anche la giurisdizione sul territorio della Provincia di Taranto. A reggere questa nuova struttura era stata nominata Barbara Davidde, una delle più quotate archeologhe subacquee a livello internazionale, la quale, con grande generosità e competenza, aveva messo in opera una serie di iniziative importanti. E, come un positivo auspicio, il suo arrivo era stato preceduto dalla scoperta del relitto, identificato a 760 metri di profondità nel mare Adriatico poco più a nord di Otranto, databile agli inizi del VII sec. a.C., il più antico mai rinvenuto nella parte occidentale del Mediterraneo, straordinario documento dei traffici corinzi.
La Davidde si era attivata, elaborando un ambizioso programma in una rete di ricerca in cui si configurava una strategia ambiziosa di ricerca sul patrimonio sommerso nei nostri mari. Certo tutto senza strutture, né personale specializzato: le anfore del relitto di Otranto erano messe a desalinizzare entro vasche di fortuna poste nel chiostro della sede operativa di S. Antonio. Ma questo non impediva di realizzare progetti come la Mostra del relitto otrantino, e progettare il completamento dello scavo subacqueo, la creazione di Laboratori come quello sulle analisi gascromatografiche dei residui alimentari presenti all’interno delle anfore, per identificare il contenuto trasportato (olio, vino, etc.). Poi, inopinatamente, la Davidde era stata trasferita e tutto si era interrotto: una decisione che faceva presagire quello che poi si è avverato, il trasferimento della sede centrale a Napoli.
Questo fare e disfare significa un enorme spreco di risorse, di energie, soprattutto intellettuali, e di impegno civile, che ingenera una crescente sfiducia nella capacità di un ministero, così appesantito dalla burocrazia e da altre meno edificanti vicende, di far fronte alle esigenze di questo nostro grande patrimonio. Il nuovo ministro Alessandro Giuli è persona competente e conosce bene l’archeologia della Puglia (bellissimo un suo servizio su Rai 2 sulla scoperta dell’anfiteatro di Rudiae); sono certo che egli saprà trovare il modo di non mortificare ancora una volta la nobile città di Taranto, mantenendo la sede centrale della Soprintendenza del Mare, dotandola delle risorse necessarie e potenziando la sede territoriale che, in stretta collaborazione con il MArTa, potrà compiutamente esprimere le enormi potenzialità dell’archeologia nella città del Golfo. © RIPRODUZIONE RISERVATA