
Il vecchio colabrodo degli acquedotti perde per strada quasi il 40-41,4 per cento dell’acqua immessa in rete, per una quantità complessiva stimata in 3,45 miliardi di metri cubi: da soli basterebbero a soddisfare le esigenze di 40 milioni di persone per un anno. Il primato lo detiene Potenza col 68,9 per cento, seguita da Cagliari con il 59,3, da Palermo con il 54,6 e da Bari col 52,3. Non scherzano neanche Firenze col 47,1 per cento e Trieste col 45,65 per cento di dispersione. Fra il 60 e il 70 per cento delle tubazioni hanno un’età che oscilla sui trent’anni, il 25 per cento supera il mezzo secolo. A fronte di questi ferrivecchi il piano governativo del 2018 prevedeva appena 50 milioni di euro l’anno. Fino al 2022. Con questi ritmi ci vorranno almeno 250 anni per riportare ad efficienza la nostra rete
L’articolo di VITTORIO EMILIANI
LA GRANDE E DIFFUSA siccità col Po ridotto quasi ad un fiumicello e con l’Adriatico che risale dal delta salinizzando l’acqua del fiume sono immagini crude e crudeli che si sommano a quelle della guerra. Quasi nessuno però parla di quel vecchio colabrodo della nostra rete acquedottistica che perde per strada quantità incredibili di buona acqua potabile: è quasi il 40-41,4 per cento dell’acqua immessa in rete, per una quantità complessiva stimata in 3,45 miliardi di metri cubi; da soli basterebbero a soddisfare le esigenze di 40 milioni di persone in un anno. Una pazzia.
Evitabile se fosse esistito un serio piano per il risanamento della rete di distribuzione. E invece niente o quasi. Anche adesso questo drammatico problema non è considerato fra quelli prioritari. Come il riassetto idrogeologico, aggravato dalle strade tracciate ex novo per portare lungo tutta la dorsale appenninica grandi pale eoliche ferme per il vento insufficiente, per lunghi tratti assente, per brevi tratti furioso e quindi inutile, come la bora in Adriatico.

C’è un gruppo di città, le meno virtuose, che da sole buttano, il 75 per cento di tutte le acque potabili disperse. Il primato dello spreco d’acqua lo detiene Potenza col 68,9 per cento, seguita a ruota da Cagliari con il 59,3, da Palermo con il 54,6 e da Bari col 52,3. Ma non scherzano neanche Firenze, che non ha un sistema fognario ma pozzi neri e che quindi scarica in Arno, col 47,1 per cento e Trieste indegna erede dell’illuminato governo teresiano col 45,65 per cento di dispersione.
Subito dopo c’è Roma che, negli anni lontani delle Giunte di sinistra (Argan, Petroselli e Vetere), si era dato un sistema di depuratori da nord alla foce, con alcuni errori. Uno soprattutto laddove si erano mischiate nella rete di adduzione acque bianche e nere col risultato di far arrivare al depuratore acque bianche e nere insieme e non i liquami per i quali il depuratore era tarato. Ma poi come depurare le acque del Tevere se gran parte delle costruzioni continuavano ad essere abusive e l’Unione Borgate era diventata una forza politica?

Se poi passiamo alle Regioni, in questa “nera” graduatoria vediamo che in testa agli sprechi figurano — con dispersioni superiori al 40 per cento — Friuli Venezia Giulia, Umbria, Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Sardegna e Sicilia, tutte con più del 60 per cento di perdite lungo il percorso. In Sicilia sono già costretti a fare i turni per docce e lavatrici.
Infine, le tubazioni sono pezzi di antiquariato. Fra il 60 e il 70 per cento hanno un’età che oscilla sui trent’anni ma il 25 per cento supera il mezzo secolo. A fronte di questi ferrivecchi il piano governativo del 2018 prevedeva appena 50 milioni di euro l’anno. Fino al 2022. Con questi ritmi ci vorranno almeno 250 anni per riportare ad efficienza la nostra rete. Ma entro quell’anno di grazia 2470 cosa sarà successo? © RIPRODUZIONE RISERVATA