Hanno rispettivamente provocato e non impedito lo «sversamento in mare di reflui fognari e liquami maleodoranti atti a offendere e a molestare le persone». Per questo sono stati rinviati a giudizio nel 2015 il responsabile tecnico del depuratore e il responsabile dei lavori pubblici del Comune di Termoli. Dopo complesse indagini e perizie, al terzo grado di giudizio la Cassazione ne confermava le responsabilità. Ma allo stesso tempo dichiarava il reato estinto perché  prescritto, evitando così l’applicazione della pena, che era poi soltanto un’ammenda di 150 euro ciascuno. L’ennesimo caso di impunibilità di fatto dei reati ambientali? Eppure, questa vicenda un aspetto positivo ce l’ha: vediamo quale


◆ L’articolo di GIANFRANCO AMENDOLA

Il muro del depuratore davanti al porto di Termoli; sotto il titolo, il depuratore comunale sequestrato dai carabinieri del Nucleo Ecologico

I fatti. Fra il 2015 e il 2018 il depuratore delle acque del Comune di Termoli (Molise) ebbe notevoli difficoltà di funzionamento per cui vennero più volte scaricati direttamente in mare, a poca distanza dalla costa, reflui fognari, non depurati e maleodoranti con tutte le conseguenze per i bagnanti ed il turismo. Ad esempio «il 12 settembre 2015, veniva riscontrata la presenza di una chiazza di colore marrone scuro emergente dal fondale marino, in prossimità della scogliera e nella parte posteriore del muro frangi flutti del porto; tale evenienza era dipesa dalla rottura della condotta del depuratore, in quanto i reflui dovevano essere rilasciati depurati alla distanza di circa due chilometri dalla costa, mentre nel caso di specie veniva rilevata una macchia fungiforme maleodorante a poca distanza anche dalla battigia frequentata dai bagnanti». Ovviamente, si apriva un procedimento di accertamento, al termine del quale il responsabile tecnico del depuratore e il responsabile dei lavori pubblici del Comune di Termoli venivano rinviati a giudizio per il reato di cui all’art. 674 c.p. per avere rispettivamente provocato e non impedito lo «sversamento in mare di reflui fognari e liquami maleodoranti atti a offendere e a molestare le persone». Reato per cui, nel novembre 2021, venivano condannati dal Tribunale collegiale di Larino. Proposto ricorso, pochi giorni fa la Cassazione confermava la loro responsabilità ma dichiarava il reato estinto per prescrizione (la sentenza è riportata integralmente in www.lexambiente.it).

Due commenti. Il primo riguarda l’entità della pena inflitta agli imputati: 150 euro di ammenda ciascuno, e neppure pagati perché nel frattempo il resto si è prescritto. Conclusione assurda e paradossale: tanto più che ci sono volute, per arrivarci, complesse indagini e perizie, con ben due processi, di cui uno addirittura davanti alla Suprema Corte. Ma, in realtà, questo dipende dal fatto che si procedeva per una contravvenzione che prevede una pena “terribile” dell’ ammenda fino a 205 euro o dell’arresto fino a un mese. Contravvenzione che non riguarda specificamente l’inquinamento del mare ma il generico pericolo di imbrattamento molesto di luoghi di pubblico uso, come accade quando non si raccolgono, ad esempio, gli escrementi del proprio cane. Eppure inizialmente era stato contestato il (nuovo) delitto di inquinamento ambientale (reclusione da 2 a 6 anni e multa da 10.000 a 100.000 euro), poi escluso dal Gip perché presumibilmente non era stato provato con certezza un «deterioramento significativo e misurabile» del mare. Resta però il fatto che, come risulta dalla sentenza, furono più volte immessi vicino costa scarichi non depurati con «un carico contaminante costituito da un’elevata quantità di escherichia coli, microrganismo biologico di natura batterica proveniente dalle reti fognarie civili che, come precisato in dibattimento dal funzionario dell’Arpa Molise, pur non avendo un impatto significativo sotto il profilo ambientale, è invece pericoloso per la salute umana e, quindi, per tutto coloro che vengono a contatto con l’acqua contaminata». Ma niente paura: tutto questo scompare pagando 150 euro; anzi, senza neppure pagarli!

Il mare davanti al centro storico di Termoli, sullo sfondo il muraglione che separa il depuratore dalla spiaggia

Il secondo commento è certamente positivo perché, a parte la esiguità della sanzione, la Cassazione ha riaffermato con chiarezza che dell’inquinamento non risponde solo chi lo ha provocato direttamente, e cioè, in questo caso, la società che gestiva l’impianto di depurazione ma anche il funzionario comunale che aveva l’obbligo di «assicurare il corretto funzionamento e la necessaria manutenzione dell’impianto di depurazione, nonché di realizzare i lavori e le opere necessarie per consentire il corretto trattamento depurativo di tutti i reflui ivi convogliati prima dell’immissione nel Mar Adriatico». Principio valido «ogniqualvolta il pericolo concreto per la pubblica incolumità derivi anche dalla omissione, dolosa o colposa, del soggetto che aveva l’obbligo giuridico di evitarlo». Principio che purtroppo molte volte viene dimenticato e sopraffatto dall’eterno rimpallo delle competenze per cui, nella pubblica amministrazione sono tutti competenti al momento del potere ma nessuno è competente al momento della responsabilità. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Dal 1967 Pretore a Roma, inizia ad occuparsi di normativa ambientale dal 1970. Dal 1989 al 1994 parlamentare europeo, vice presidente della commissione per la protezione dell’ambiente. Dal 2000 al 2008 Procuratore aggiunto a Roma con delega ai reati ambientali, poi Procuratore della Repubblica a Civitavecchia fino al pensionamento (2015). Ha ricoperto numerosi incarichi pubblici partecipando a tutte le vicende che hanno visto nascere ed affermarsi il diritto dell'ambiente in Italia. Ha insegnato diritto penale dell’ambiente in varie Università scrivendo una ventina di libri fra cui “In nome del popolo inquinato” (7 edizioni). Attualmente fa parte del comitato scientifico dell’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare ed è docente di diritto penale ambientale presso le Università “La Sapienza” e Torvergata di Roma.