Non c’è solo l’instabilità climatica a mettere a rischio la fragilità idrogeologica del suolo italiano. Suolo divorato da cementificazione, asfaltatura, abusivismo: oltre 1.600 morti dal 1970 e 320 mila evacuati. Il Pnrr prevede una riforma che semplifichi l’attuazione degli interventi contro il dissesto. Già una legge del 1989 ha individuato attività e soggetti deputati alla “difesa del suolo”. Ma allo stato attuale c’è una dispersione di responsabili, un rissoso esercito dove tutti sono generali, un esercito di “re Franceschiello” con un ampissimo seguito di lazzari, pronti alla deroga e all’abuso, salvo piagnucolare sulla “assenza dello Stato”. Mentre servirebbe dare alle autorità dei distretti idrografici nazionali il potere di decidere
L’analisi di MASSIMO SCALIA

ABBIAMO GIÀ PARLATO ieri di abusivismo e di improprio ed eccessivo consumo del suolo come cofattori di rischio, ma per quanto riguarda più specificamente il rischio idrogeologico, frane e tutela dei bacini idrografici avevamo acceso qualche speranza su norme che puntino più a una definizione e programmazione di ambiti, azioni e responsabilità che non all’imposizione e ai difficili controlli di conformità: la legge 183/89. Essa individua attività e soggetti deputati alla “difesa del suolo”, nonché gli ambiti d’applicazione e gli strumenti d’intervento. Problema non secondario sono le risorse, non tanto, in questo Paese, per quel che riguarda qualità delle competenze e del personale, quanto per stanziamenti adeguati. E fu col Governo D’Alema che esigemmo, direi veementemente, che la difesa del suolo fosse sottratta al ridotto delle “politiche ambientali” e fosse invece riconosciuta come “priorità economica” alla stregua di strade e infrastrutture. Una priorità onorata con oltre 2500 miliardi di lire per il bilancio 1999-2001. Si diffusero nel triennio le autorità di bacino per la regimazione delle acque, la manutenzione ordinaria e straordinaria dei corsi d’acqua, la sorveglianza e il controllo idrogeologico dell’area del bacino. Poi, soppresse con un Decreto legislativo del 2006, le autorità sono rimaste in proroga fino alla legge 221/2015 che ha ridefinito sette distretti idrografici nazionali con relative autorità di bacino distrettuale.
Gli stanziamenti sono rimasti sostanzialmente fermi, anzi, un po’ di meno, rispetto a quelli del triennio iniziale 1999-2001, nonostante l’imperversare degli effetti del cambiamento climatico. Per il rischio idrogeologico, separato dall’investimento per gli interventi emergenziali che sono a carico della Presidenza del Consiglio-Dipartimento Protezione Civile, sono stabiliti 1,287 mld di euro “per proteggere 1,5 milioni di abitanti dai rischi idrogeologici” entro marzo 2026, come risulta dall’analisi della Corte dei Conti in attuazione del PNRR: “Misure per la gestione del rischio di alluvioni e per la riduzione del rischio idrogeologico” [leggi qui nota 1]. La titolarità di questi investimenti è del ministero della Transizione ecologica (tornato ad essere ora ministero dell’Ambiente), «i soggetti attuatori sono, invece, Presidenti delle Regioni e delle Province Autonome, quali Commissari del Governo per il contrasto del dissesto idrogeologico».
C’è qualcosa che non torna. Ispra ha quantificato in «oltre otto milioni gli italiani che abitano in aree ad alta pericolosità» (vedi qui ieri) e la protezione viene riservata solo a 1,5 milioni di concittadini. Con quale criterio di esclusione? Non a caso Ispra, già nel 2020, contabilizzava in 26 miliardi di euro le richieste per la messa in sicurezza del territorio [leggi qui nota 2]. Si va bene, ma è sempre Ispra a comunicarci, nella stessa sede, che qualche cosetta è stata pur fatta: in 20 anni, dal 1999, sono stati finanziati oltre 6 mila interventi per circa 7 miliardi. Il divario del Piano tra richieste e loro copertura è evidente e inaccettabile, ma, limitandoci a quei 6 mila interventi, perché i fiumi si intasano con i tronchi d’albero, perché le valanghe di fango seppelliscono abitazioni a elevato rischio e perché hanno campo tutte quelle altre inosservanze, prodromiche di tragedie per le vite umane, oltre 1.600 morti dal 1970 e 320 mila evacuati?

Le prime risposte ci portano ai sempiterni guai di questo Paese, non solo l’abusivismo. Il carattere di “autorità”, che aveva presieduto il sorgere dei primi bacini come “ambiti ottimali”, si è sfilacciato nella rivendicazione di competenze da parte di comuni, province e regioni, difficilmente collimanti e non sempre aliene dalla realizzazione di interventi criminogeni se non direttamente criminali. Insomma, chi dirige il distretto idrografico, e i suoi collaboratori nelle varie aree, non ha un reale potere di coordinamento degli interventi, ordinari e straordinari, né di decisione sulle realizzazioni che privati o enti pubblici avanzano. Esprime un parere tecnico, di cui le amministrazioni, come enti politici, possono tenere conto o meno. Quando poi si realizza un’emergenza il commissario ad hoc è inevitabilmente il presidente della Regione, con commissariamenti che assumono carattere sempiterno. E i commissari per il dissesto idrogeologico sono, appunto, i presidenti delle Regioni, vedi sopra, anche in ordine all’attuazione dei fondi Pnrr.
Il Pnrr prevede una riforma per la «Semplificazione e accelerazione delle procedure per l’attuazione degli interventi contro il dissesto idrogeologico», in attuazione della quale il DL 77/2021 e il DL80/2021 hanno apportato: «Rilevanti novità per la semplificazione delle procedure amministrative per la gestione del rischio idrogeologico», rileva la Corte dei Conti. La sensazione è però che la gestione reale sia nelle mani di un rissoso esercito di “re Franceschiello”, dove tutti sono generali. E con un ampissimo seguito di lazzari, pronti alla deroga e all’abuso, salvo piagnucolare sulla “assenza dello Stato”. Un’esagerazione? Non molta. In Campania, dove, per tornare alla piaga dell’abusivismo che semina lutti, il 97% delle ordinanze di demolizione non viene eseguito – con il record negativo di quasi un quarto degli edifici abusivi su scala nazionale –, mentre dal fango omicida di Ischia emergono i consueti tuoni e fulmini verbali del Presidente della Campania, che promettono, tardivi, esecuzioni di abbattimento. Meno peggio Lombardia (7% delle ordinanze, 37% esecuzioni) e Veneto (9,5% ordinanze, 31,5% esecuzioni), ma, a parte il Friuli-Venezia Giulia (1,1% ordinanze, 65,1% esecuzioni) non c’è da stare molto allegri.
E per il rischio idrogeologico e le frane? Per la “difesa del suolo”? Un primo e fondamentale passo per garantire una governance efficace del territorio dissestato è semplificare per davvero e dare alle autorità dei distretti idrografici nazionali il potere decisionale, come erano stato concepito per le autorità di bacino, rispetto a ogni intervento che riguardi la difesa del suolo. Ovviamente in raccordo, per la questione delle risorse e di un coordinamento nazionale, con il ministero per l’Ambiente. Pena, il periodico “disastro annunciato” dell’emergenza. — (2. fine; la prima parte è stata pubblicata ieri) © RIPRODUZIONE RISERVATA