
Sono stati presentati in Cassazione – la mattina del 2 marzo – dal Comitato promotore due quesiti referendari su questioni sulle quali si sta discutendo molto oggi, e non solo nei dibattiti pubblici e in Parlamento. Il primo quesito riguarda la fornitura di armi in Ucraina. Il secondo è a tutela del Servizio sanitario nazionale. Apparentemente, due argomenti molto importanti ma diversi tra loro. Non sembra unirli nulla se non la stretta attualità. E invece c’è anche un altro filo che unisce la richiesta dei due referendum. L’ultimo Def, Documento di economia e finanza del governo, prevede infatti una maggior spesa di 12 miliardi per la Difesa nel 2023, e una riduzione di due miliardi del budget sulla Sanità pubblica. Quindi si può facilmente dedurre che per finanziare la prima è stato necessario – e non basta – sacrificare la seconda. Con questo primo intervento che pubblichiamo oggi, vogliamo aprire un dibattito che segua il percorso – appena avviato – di queste due iniziative popolari. È anche il modo di discutere due temi – la sanità e il sostegno militare all’Ucraina – che sono al centro del confronto politico
L’intervento di FABIO BALOCCO
NON POTEVA SCEGLIERE palcoscenico migliore di Sanremo Ugo Mattei per lanciare pubblicamente la richiesta di due referendum abrogativi nazionali. In realtà la sua conferenza non si è tenuta esattamente sul palcoscenico dell’Ariston, ma negli stessi giorni in cui si svolgeva la gara canora e si dava lettura di una lettera di Zelenski in cui il presidente dell’Ucraina preannunciava la vittoria del suo Paese, grazie al sostegno militare anche italiano. E comunque la voce del professor Mattei si è fatta sentire forte. Quali i progetti di referendum? Uno è a tutela del Servizio sanitario nazionale pubblico, l’altro contro l’invio di armi italiane in Ucraina. Essi sono stati presentati dal Comitato referendario in Cassazione giovedì 2 marzo. Questi i nomi dei sostenitori, oltre a Mattei: Alessandro Somma, Marina Calamo Specchia, Anna Maria Poggi, Sergio Foà, Luca Nivarra, Paolo Cappellini, Maurizio Borghi, Giuseppina Leo, Geminello Preterossi, Pasquale De Sena, Guido Viale, Vladimiro Giacchè, Carlo Freccero, Vauro Senesi, Moni Ovadia, Franco Cardini, Marco Guzzi, Alberto Bradanini, Manlio Dinucci, Germana Leoni e Marinella Correggia. Quindi un fronte variegato di giuristi, economisti e uomini di cultura.
In cosa si sostanziano i due quesiti? Uno vuole l’abrogazione dell’art. 1 del D.Lgs. 502/1992 laddove esso prevede che al tavolo per l’annua programmazione sulle priorità di spesa destinata alla sanità pubblica partecipino non solo i rappresentanti delle istituzioni pubbliche, ma anche i privati («operatori sanitari … privati e delle strutture private accreditate dal Servizio sanitario nazionale»). Lo scopo è quello di invertire una rotta – sempre più marcata in questi anni – di smantellamento progressivo della sanità pubblica. Il secondo vuole invece l’abrogazione dell’art. 1 del D.L. 2 dicembre 2022 n. 185, convertito poi nella legge n. 8 del 27 gennaio 2023, che prevede l’invio da parte dello Stato italiano di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative dell’Ucraina.
I due quesiti sono strettamente legati tra loro anche dal punto di vista economico, visto che l’ultimo Def, Documento di Economia e Finanza del Governo, prevede nel 2023 un aumento di 12 miliardi di euro per il budget della Difesa a fronte di una riduzione di 2 miliardi per le spese sanitarie pubbliche. E sono due quesiti su cui si potrebbe scommettere che la maggioranza degli italiani si troverebbe d’accordo un giorno che si andasse alle urne. Con la povertà che avanza a ritmi sostenuti è difficile pensare a un italiano che sia favorevole allo smantellamento della sanità pubblica, così come i sondaggi più recenti dicono che gli italiani sono contrari all’invio di armi all’Ucraina. Il 24 febbraio scorso il Corriere della Sera ha pubblicato i risultati di un sondaggio Ipsos. L’istituto guidato da Nando Pagnoncelli ha illustrato come l’opinione pubblica italiana si schiera sulla guerra e l’invio di armi. «La rilevazione è stata effettuata tra 21 e 23 febbraio. Sull’invio delle armi i risultati sono piuttosto netti: il 45% è contrario e il 34% è favorevole».
Due quesiti che, nella loro semplicità (e questo, lo sottolineiamo, è un enorme vantaggio per l’elettorato), vanno incontro alla volontà del popolo italiano. Del resto non è la prima volta che esiste una netta scissione tra la volontà del popolo e l’agire del governo, qualsiasi esso sia: l’invio di armi fu voluto dal “governo del tutti dentro” di Mario Draghi e confermato da quello di centro-destra. Così come non è la prima volta che la Costituzione dice una cosa e i governi ne fanno un’altra. Art. 11: «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». Art. 32: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività». Se si andrà a votare (e si andrà) non sarà la prima volta che il popolo italiano si schiererà contro le politiche neoliberiste dei governi. È già accaduto con l’acqua pubblica. Intanto ora comincerà l’ennesima battaglia con la raccolta delle firme, e poi vedremo. © RIPRODUZIONE RISERVATA