Con il motu proprio “Il diritto nativo” Papa Francesco mette in luce il rapporto – spesso discusso, spesso controverso – tra la Chiesa e i suoi beni materiali. Tutto deve far riferimento alla Santa Sede come titolarità, e quindi al bene comune della Chiesa. «Nessuna Istituzione o Ente può reclamare la sua privata ed esclusiva proprietà o titolarità dei beni della Santa Sede» avverte il Pontefice, segnando i confini entro i quali si può muovere la finanza vaticana e la compravendita di beni mobili e immobili. Con tre elementi-guida: il sostegno dei fedeli, una amministrazione “prudente”, e controlli “opportuni”


L’articolo di VITTORIO EMILIANI

QUANDO VENNE POSTA con forza da Manlio Cancogni sull’Espresso di Arrigo Benedetti (mai dimenticarlo!) la vicenda della Società Immobiliare emerse con grande evidenza quanto contasse la Chiesa di papa Pacelli in quel settore così strategico per la vita e lo sviluppo più corretto, meno caoticamente espansivo di Roma. Grazie alla supina compiacenza di sindaci Dc come Rebecchini, Cioccetti e C. “Capitale corrotta, Nazione infetta” era il felice slogan di quella prima inchiesta dell’Espresso diretto con forza e lucidità dal suo fondatore Arrigo Benedetti.

Ora emergono dati che confermano come lo Ior durante il papato breve di Luciani e quello decisamente lungo di Giovanni Paolo II — che pensava soprattutto alla sua Polonia e nominò parecchi Cardinali molto discussi, come Sepe a Napoli, i quali raccoglievano fondi cospicui per la causa di Solidarnosc — ha avuto un ruolo determinante nello sviluppo a dir poco distorto della Capitale. Ora emergono dati statistici impressionanti che confermano l’importanza e l’incidenza della politica immobiliare di enti e ordini religiosi. Lo disse con forza papa Francesco parlando alle associazioni cattoliche.

Papa Francesco ha impresso una severa stretta alla proprietà e all’uso dei beni ecclesiastici come aveva promesso fin dal primo discorso quando aveva riprovato apertamente la trasformazione di conventi importanti in residences di lusso con vista sul Gianicolo. Con una lunghissima e puntigliosa nota ribadisce che «nessuna Istituzione o Ente può pertanto reclamare la sua privata ed esclusiva proprietà o titolarità dei beni della Santa Sede avendo sempre agito e dovendo agire come persona morale unitaria, solo rappresentarla ove richiesto e consentito dagli ordinamenti civili».

Un nuovo importante tassello si aggiunge all’infinito cantiere di riforme della finanza vaticana aperto da Benedetto XVI e più decisamente alimentato da Francesco il quale ribadisce con forza che tutto va compiuto «sempre per il bene della Chiesa». Per cui «il diritto nativo della Santa Sede di acquistare beni temporali, col sostegno dei fedeli, una prudente amministrazione e gli opportuni controlli, assicurano alla Sede Apostolica di operare nella storia, nel tempo e nello spazio e con la indipendenza che è necessaria alla sua missione». La destinazione universale dei beni della Santa Sede «attribuisce ad essi natura pubblica. Gli enti della Santa Sede acquisiscono e utilizzano, non per loro stessi» come il privato proprietario, «ma nel nome e con l’autorità del Romano Pontefice per il perseguimento delle loro finalità istituzionali, del pari pubbliche, e quindi per il bene della Chiesa universale».

Una volta loro affidati – sottolinea con particolare e non casuale forza papa Francesco – «gli enti si amministrano con la prudenza che la gestione della cosa comune richiede e secondo le regole e le competenze che la Santa Sede si è data, di recente, con Costituzione Apostolica Praedicate Evangelica, con il lungo cammino delle riforme economiche e amministrative». Chiaro e chiaramente diretto a quanti nella Curia credono di poter tramare contro di lui e il suo percorso decisamente riformatore. I vari Bertone e soci non potevano ricevere messaggio e avvertimento più  esplicito da un papa gesuita ma devoto di un Santo che agì con rivoluzionaria determinazione, San Francesco di Assisi. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Direttore onorario - Ha cominciato a 21 anni a Comunità, poi all'Espresso da Milano, redattore e quindi inviato del Giorno con Italo Pietra dal 1961 al 1972. Dal 1974 inviato del Messaggero che ha poi diretto per sette anni (1980-87), deputato progressista nel '94, presidente della Fondazione Rossini e membro del CdA concerti di Santa Cecilia. Consigliere della RAI dal 1998 al 2002. Autore di una trentina di libri fra cui "Roma capitale Malamata", il Mulino.