Da paladino della solidarietà a criminale, le vicissitudini di Domenico (detto Mimmo) Lucano, dal 2004 al 2018 sindaco del Comune calabrese di Riace sono diventate in questi anni il campo di scontro di diverse visioni e schieramenti sull’accoglienza ai migranti, che divide la politica. Ma il “progetto Riace” di Lucano è obiettivamente una risposta a due emergenze che potrebbero essere una la soluzione dell’altra, quella dell’accoglienza dei richiedenti asilo e quella dello spopolamento dei borghi. L’ultima domenica di ottobre si festeggia nel borgo antico di Riace nota nel mondo per i Bronzi ma anche per il modello di accoglienza messo in pratica. Una festa per la sentenza di appello che ha visto l’ex sindaco, prima severamente condannato, ora riabilitato. È rimasta la condanna a un anno e sei mesi (con pena sospesa) di un impianto accusatorio che aveva convinto in primo grado il giudice di Locri a condannarlo a 13 anni e due mesi di carcere. È stato il giurista Luigi Ferrajoli, dopo questa prima sentenza, il primo a evidenziare il «processo offensivo» nel quale «il giudice diviene nemico del reo cercando nel prigioniero il delitto»
◆ L’analisi di Cesare Protettì
► Domenica 29 ottobre si farà una grande festa nel borgo antico di Riace: è la «fine di un incubo» per l’ex sindaco Mimmo Lucano, detto “Mimì Capatosta”, e per 17 coimputati di quello che giornalisti e giuristi hanno definito il «reato di solidarietà». In realtà si trattava di imputazioni pesantissime che hanno portato il Tribunale di Locri, in primo grado, a infliggere all’ex sindaco ben 13 anni e due mesi di carcere e una forte pena pecuniaria. L’11 ottobre scorso la Corte d’appello di Reggio Calabria, presieduta da Elisabetta Palumbo, ha smontato il castello di accuse contro di lui e i 17 coimputati per la gestione dell’accoglienza nel paesino calabrese. Al termine di quella giornata, al telefono con gli amici e sostenitori in questa battaglia, le parole di Mimmo erano state soffocate dai singhiozzi di gioia e da un urlo liberatorio. Rimane una condanna a un 1 anno e 6 mesi per uno dei 21 capi di imputazione (ma la pena è sospesa) e rimane soprattutto la minaccia sempre incombente della crimmigration e dei “processi offensivi”.
Era stato Luigi Ferrajoli, ex magistrato e giurista di vaglia, allievo di Norberto Bobbio, a far riferimento per il giudizio di primo grado, a quello che Cesare Beccaria stigmatizzò come “processo offensivo” nel quale «il giudice diviene nemico del reo» e «non cerca la verità del fatto, ma cerca nel prigioniero il delitto». A Locri – ha scritto Ferrajoli – si è inteso «screditare come impensabili e non credibili accuse le virtù civili e morali dell’ospitalità, del disinteresse e della generosità. È lo stesso pregiudizio che è alle spalle delle norme che penalizzano coloro che salvano i migranti in mare. Non è pensabile che essi dedichino tempo e denaro soltanto per generosità, che non abbiano degli sporchi interessi, che non siano in qualche modo collusi con quanti organizzano le fughe di questi disperati dai loro paesi. Perché l’egoismo, l’imbroglio è la regola. Perché c’è sempre un secondo scopo».
Tutto questo si inquadra nella crimmigration, che – nata negli Stati Uniti – indica tutti quegli strumenti giuridici preordinati all’allontanamento dello straniero irregolare. «Lo smarrimento di fronte ai flussi migratori – ha scritto una giovane studiosa, Mariarosa Ruotolo su Iusinitinere – è un fenomeno non solo giuridico, ma anche sociale, soprattutto a causa della speculazione politica che spinge a una “tautologia della paura» di fronte al migrante. La studiosa esamina in particolare il rischio della «teoria dell’etichettamento» elaborata dalla scuola di Chicago. Attraverso l’assegnazione dell’etichetta di criminale all’autore di un reato – scrive Ruotolo – «si innescherebbe un processo in grado di trasformare il reo (vero o presunto) di un singolo reato in un delinquente cronico. Il labelling approach è divenuto il tratto distintivo della politica criminale tesa verso l’affermazione di un nuovo diritto penale della sicurezza che, deviato da una connotazione di stampo proibizionistico e preventivo, divora tutti i principi dello Stato di diritto».
Contro la crimmigration e il “processo offensivo” a Mimmo Lucano si sono schierati anche altri magistrati e giuristi come Livio Pepino e Emilio Sirianni, al quale il plenum del Consiglio Superiore della magistratura non ha confermato nei mesi scorsi il ruolo di presidente della sezione Lavoro della Corte d’Appello di Catanzaro, perché – senza aver violato norme penali o disciplinari – avrebbe comunque inciso sui requisiti di autorevolezza culturale e di indipendenza da impropri condizionamenti per aver fornito aiuto a Mimmo Lucano nella stesura di comunicati a suo sostegno nella vicenda giudiziaria che lo riguardava. Sirianni aveva spiegato nel 2019 il “miracolo Riace”, ma da allora aveva evitato di scrivere e parlare in pubblico per vicende personali che hanno messo scompiglio nel suo lavoro e nella sua famiglia. «Ma a fronte dei prezzi che si pagano in giro per difendere il diritto di parola, un privilegiato come me, ben sistemato nella piccola parte privilegiata del mondo, – scriveva Sirianni in un articolo del 16 agosto scorso su Volerelaluna – avrebbe dovuto mostrare più coraggio. Proverò, da oggi, a rimediare».
Lucano ha avuto sempre, in questi mesi, il sostegno dei suoi amici che conoscono la sua dirittura morale, l’appoggio di alcuni giuristi e magistrati che si sono battuti contro l’introduzione surrettizia nel nostro ordinamento di un “reato di solidarietà” e l’attenzione benevola di una parte maggioritaria della stampa che ha sottolineato l’abnormità della condanna a Mimì Capatosta. Ma se l’11 ottobre scorso la Corte d’Appello, dopo 7 ore di camera di Consiglio, ha fatto cadere tutte le accuse più gravi, il merito è soprattutto dei suoi avvocati Andrea Daqua e Giuliano Pisapia, che hanno saputo disinnescare le varie mine seminate in questo processo, a cominciare dalle trascrizioni delle intercettazioni. Un primo spiraglio di speranza per Mimmo Lucano e i 17 che avevano collaborato con lui nei progetti per l’accoglienza, era arrivato infatti nel luglio 2022, quando – accogliendo il ricorso degli avvocati di Lucano – la Corte d’appello di Reggio Calabria aveva deciso di riaprire l’istruttoria dibattimentale, ammettendo un’integrazione importante alle prove raccolte durante il processo di primo grado: una perizia pro-veritate di 50 pagine ad opera di Antonio Milicia, perito trascrittore. Il perito aveva trascritto cinque intercettazioni. In quattro di queste c’erano differenze, che la difesa aveva definito “fondamentali”, tra il testo che presentava Milicia e quello che venne presentato dal perito dell’accusa nel processo di primo grado.
Il 20 settembre scorso, gli avvocati Giuliano Pisapia e Andrea Daqua – che hanno difeso Mimmo Lucano gratuitamente – hanno smontato con le loro arringhe, punto per punto, la sentenza di primo grado, evidenziandone debolezza e incongruenze. In particolare l’avvocato Daqua ha ripetutamente sottolineato i passaggi denigratori contenuti nelle 900 pagine della sentenza e l’uso distorto delle intercettazioni. I due legali hanno chiesto una assoluzione piena da tutti i reati. «Una condanna esorbitante», quella di Lucano, secondo l’ex sindaco di Milano Pisapia: «Manca il dolo e manca la consapevolezza e la volontà di un vantaggio economico». Eppure, gli hanno attribuito i reati di truffa, peculato e associazione a delinquere. «Dalla lettura degli atti processuali – ha dichiarato ancora Pisapia – risulta che non aveva un soldo sul proprio conto corrente, che ha messo tutto a disposizione degli altri, perfino i premi che ha ricevuto, che vive in condizioni di povertà. Falcone diceva di seguire i soldi. Vi prego, seguite i soldi di Lucano, non li troverete». E non li hanno trovati, perché Lucano povero era e povero è rimasto.
Domenica 29, nel borgo antico di Riace si festeggerà dunque la fine di un incubo per Mimmo Lucano. Per chi non ci sarà, ma vorrà farsi un giudizio personale su questa complessa vicenda, è fondamentale il lavoro della sociologa milanese Giovanna Procacci, che ha raccolto tutti i report delle udienze nel libro “Processo alla solidarietà. La giustizia e il caso Riace” (Castelvecchi) uscito di recente. «Di fronte all’impossibilità di provare il vantaggio economico, si è preteso – ha scritto Procacci – che Lucano avesse agito per vantaggi politici, per creare un sistema clientelare che gli garantisse una lunga carriera politica». Ma quale carriera politica, se Lucano ha sempre rifiutato le varie candidature e scorciatoie che gli sono state offerte? Il libro raccoglie anche i commenti di Sergio Bontempelli, Carlo Caprioglio, Donatella Di Cesare, Luigi Ferrajoli, Francesco Ferri, Lucrezia Fortuna, Lucia Gennari, Luigi Manconi, Mario Oliverio, Livio Pepino, Domenico Rizzuti, Umberto Santino e Fulvio Vassallo Paleologo. Commenti che fanno riflettere su questa inquietante stagione di caccia alle “streghe solidali”, attraverso «politiche inique – come ha detto Ferrajoli – che seminano la paura e l’odio per i diversi e che stanno avvelenando le nostre società e deformando pesantemente l’identità democratica dell’Italia e dell’Europa». © RIPRODUZIONE RISERVATA