Kimia Yousofi in pista per le Olimpiadi di Tokyo (30 luglio 2021); sotto il titolo primo piano della sprinter afghana (credit: foto di Christian Petersen/Getty Images)
► Caro Direttore,
Abbiamo fatto un sogno. Il 24 luglio sono iniziate le Olimpiadi a Parigi e una delle gare più importanti, i 100 metri femminile, è stata vinta da Kimia Yousofi atleta afghana. Alle Olimpiadi partecipano sei atleti Afghani, tre uomini e tre donne, le atlete vi arrivano disconosciute dalle autorità talebane. Sono le donne di qualunque età che pagano il prezzo più salato con i talebani al potere. Non possono lavorare, non possono andare a scuola. Non possono andare in un negozio a comprare qualcosa perché non possono uscire di casa da sole. Se sono malate, a meno che un uomo non le accompagni, non possono recarsi in un ospedale. Come raccontano gli ultimi rapporti Onu, a causa delle restrizioni alle loro libertà, soffrono di gravi traumi e problemi psicologici.
Sarà certo che le nove finaliste della gara dei 100 metri piani saranno atlete che rappresentano gli Stati che in Afghanistan ci sono stati e il loro ritiro è stato vergognoso. Se la verità è rivoluzionaria, l’esempio è una delle sue massime espressioni. Se il motto Olimpico è “l’importante è partecipare” si potrebbe scalare di un posto e fare in modo che per prima arrivi Kimia Yousofi, velocista afghana. La medaglia d’oro a Kimia Yousofi, sarebbe uno schiaffo mondiale ai talebani, a tutti i regimi che tengono sotto controllo la condizione femminile.
Pensiamo al gesto di Rosa Parks nel 1955 quanta forza ancora possiede dopo 70 anni. L’apartheid è un crimine secondo il diritto internazionale, ma solo per la discriminazione razziale. Oggi per abusi come quelli compiuti in Afghanistan non c’è responsabilità giuridica. Forse ètempo di codificare anche l’apartheid di genere come crimine.