Il 24 gennaio si riuniscono le Camere per il successore di Mattarella, il 10 e 24 aprile per il successore di Macron. L’esito avrà profonde implicazioni non solo per Roma e Parigi, ma per il futuro stesso dell’Unione Europea. La ritrovata attenzione strategica degli Usa al Pacifico e la conseguente urgenza di riconfigurare i rapporti internazionali danno a Bruxelles l’occasione di guadagnare maggiore autonomia in politica estera e ritagliarsi un ruolo forte su alcuni scacchieri internazionali. I presupposti sono stati messi a punto con il trattato del Quirinale del 26 novembre tra Italia e Francia: difesa comune, riforma dello spazio Schengen, contrasto alla crisi climatica, sviluppo delle tecnologie digitali. In sintesi, tutto quel che può portare all’effettiva nascita di una “Europa democratica, unita e sovrana”


L’analisi di EMILIA MENICUCCI

Roma, 26 novembre 2021. Le Frecce tricolori italiane e francesi sorvolano il torrino del Quirinale; sotto il titolo, Emmanuel Macron accolto da Sergio Mattarella per la Firma del “Trattato del Quirinale” tra Italia e Francia 

IL 2022 È APPENA iniziato, ma già si preannuncia pieno di sorprese. I primi venti del cambiamento potrebbero soffiare da Italia e Francia, che  si apprestano a rinnovare la Presidenza della Repubblica: il 24 gennaio per il Bel Paese, e il 10 e 24 aprile per l’Hexagone. L’esito delle due elezioni avrà profonde implicazioni non solo per Roma e Parigi, ma per il futuro stesso dell’Unione Europea. La ritrovata attenzione strategica degli Usa al Pacifico e la conseguente urgenza di riconfigurare i rapporti internazionali danno a Bruxelles l’occasione di guadagnare maggiore autonomia in politica estera e ritagliarsi un ruolo forte su alcuni scacchieri internazionali. Il risultato, tuttavia, non è assicurato, anzi richiede alcuni presupposti che non sono scontati.  

Innanzitutto, molto dipenderà dall’Italia. Terza economia europea, recentemente incoronata Paese dell’anno da The Economist, la Penisola è riuscita a ricostruirsi un’immagine dinamica e affidabile sulla scena estera e a riguadagnare la fiducia degli altri Stati membri. Non solo fa  registrare una ripresa economica più solida di Francia e Germania, con un tasso di crescita del 6.3% nel 2021, ma ha saputo tessere le proprie relazioni internazionali, promuovendo i propri interessi e quelli europei come presidente del G20 e co-presidente della Cop21. 

La presenza di Mario Draghi alle riunioni dei capi di Stato e di governo è un punto di equilibrio europeo

Questo nuovo credito internazionale, ma soprattutto europeo, è strettamente (forse addirittura unicamente) legato alla figura, al credito e all’esperienza dell’attuale presidente del Consiglio italiano, Mario Draghi, ex Governatore della Bce, presente a Maastricht nel 1992 in occasione della firma del Trattato sull’Unione, fautore della proposta di creare un’unione bancaria europea, nel 2012 salvatore dell’Euro whatever it takes e ora del “malato d’Europa”. Soprattutto con la fine dell’era Merkel, la voce dell’inquilino di Palazzo Chigi risuona sempre più forte e autorevole nelle capitali del Vecchio Continente in cerca di un nuovo ruolo globale. Sempre da Draghi dipende, poi, l’attuale stabilità del fragile equilibrio politico italiano e della coalizione inedita che lo sostiene, e quindi la capacità del Bel Paese di far fronte ai propri impegni europei. Questo, in particolare, per quanto riguarda l’uso dei fondi del Next Generation Eu, stanziati creando per la prima volta un debito comune europeo, che, in quanto tale, lega a doppio filo le sorti di tutti gli Stati membri. 

Ed è proprio qui che entrano in gioco le elezioni per il successore di Sergio Mattarella, previste per il 24 gennaio. Anche se è vero che la reputazione internazionale è una qualità che fa la differenza per un Presidente della Repubblica, nel caso dell’Italia, Repubblica parlamentare, è il governo, e in particolare il presidente del Consiglio, a dirigere la politica estera. Un’eventuale elezione di Draghi al Colle priverebbe i partner europei di un interlocutore autorevole, rispettato e ascoltato. Inoltre, il governo di unità nazionale tenuto in piedi da Draghi, nel più ottimistico dei casi vacillerebbe, se il premier fosse eletto alla Presidenza della Repubblica. Nonostante Draghi affermi che le riforme del Pnrr, ormai avviate, andranno avanti indipendentemente da chi guiderà il governo, è difficile immaginare una figura dall’alto profilo istituzionale che possa sostituire l’ex banchiere, raccogliendo altrettanto consenso.

Non è scongiurata l’ipotesi che a vincere eventuali elezioni anticipate in Italia siano i partiti euroscettici

Vi è un grosso rischio di elezioni anticipate, il che influenzerebbe la politica Europea sotto due diversi punti di vista. Innanzitutto, il probabile ritorno all’instabilità politica, che, come si è detto, nuocerebbe alla serietà e all’affidabilità dell’Italia. In secondo luogo, nulla esclude che possa essere una coalizione di euroscettici a vincere le eventuali elezioni. In entrambi i casi, a guadagnarci sarebbero le formazioni di estrema destra di Polonia, Ungheria, Austria, Francia, in un momento nel quale il progetto europeo ha bisogno, per sopravvivere, di completare numerose riforme economiche e strutturali da troppo tempo sospese, o francamente mai avviate. Quelle stesse riforme che porterebbero l’Unione a una condivisione più accentuata di sovranità e a un marcato federalismo su temi decisivi come il Patto di stabilità, la creazione di un esercito comune e la transizione energetica. 

Veniamo ora alla Francia, altro elemento fondamentale della nostra equazione politica europea. Il 10 e il 24 aprile si voterà anche qui per la Presidenza della Repubblica, e anche in questo caso le ripercussioni sul futuro assetto dell’Europa saranno importanti, dato il peso politico dell’Eliseo nel quadro istituzionale del Paese, che è una Repubblica semi-presidenziale. Oltretutto, a giugno si terranno anche le elezioni legislative, che in genere confermano la vittoria del colore politico del neoeletto Presidente della Repubblica, per evitare scomode coabitazioni.

Presidenziali francesi del 10 aprile 2022, candidati al primo turno (da sinistra a destra): Jean-Luc Mélenchon (France Insoumise) Yannick Jadot (Ecologisti) Anne Hidalgo (Socialisti) Emmanuel Macron (En Marche) Valérie Pécresse (Repubblicani) Marine Le Pen (Rassemblement National) Éric Zemmour (Reconquête)

Fino ad oggi, sono oltre 30 i candidati in corsa, ai quali si aggiunge Macron, non ancora ufficialmente candidato, ma comunque in testa ai sondaggi. Non è questo il luogo per addentrarsi nei giochi della competizione elettorale — l’analisi dei candidati sarà oggetto di un articolo a parte — basti sapere che l’atteggiamento della Francia è erede della tradizione gaullista che vede l’Ue come uno strumento attraverso il quale imporre una leadership gelosa della propria sovranità nazionale e restia a condivisioni eccessive, ma comunque aperta ad azioni multilaterali qualora rientrino in questa logica del primus inter pares. 

Sul solco di questa tradizione, anche Macron, come i suoi predecessori, ha spesso agito unilateralmente in politica estera, soprattutto nelle tradizionali zone di influenza francese (Sahel, Vicino e Medio Oriente). Tuttavia, è stato anche protagonista di numerose e cruciali aperture all’Europa e all’Italia. Non si deve dimenticare, ad esempio, che la proposta rivoluzionaria di creare debito comune, concretizzata attraverso il Next Generation Eu, viene da Macron, oltre che dalla Cancelliera tedesca Angela Merkel. In un contesto in cui la Germania (partner europeo per eccellenza della Francia) è distratta da problemi interni — il recente cambio di leadership, la violenza della pandemia, i sempre più frequenti disastri naturali — la politica europea dell’inquilino dell’Eliseo fa grande affidamento sull’Italia di Mario Draghi: l’articolo congiunto pubblicato dai due Presidenti il 23 dicembre scorso sulla creazione di un quadro fiscale comune è un manifesto della loro visione di un’Unione più forte, sovrana sul piano economico, ma anche geopolitico e diplomatico. 

Fra i punti più qualificanti del Trattato del Quirinale tra Francia e Italia, lo sviluppo della difesa comune europea

La dimensione militare e di difesa comune, infatti, fa parte delle priorità francesi annunciate dal Presidente Macron il 7 gennaio, in occasione del discorso di inaugurazione della presidenza francese dell’Ue, cosi come  il trattato del Quirinale del 26 novembre tra Italia e Francia (che fa eco a quello dell’Eliseo, firmato nel 1963 con la Germania) ha una chiara dimensione europea, che prevede di sviluppare una difesa comune, riformare lo spazio Schengen, contrastare il cambiamento climatico, potenziare le tecnologie digitali, rafforzare le relazioni tra ministri, diplomatici, polizia frontaliera ed eserciti. In sintesi, tutto quel che finalmente può portare all’effettiva nascita di un’ “Europa democratica, unita e sovrana”. 

Ovviamente, quest’ultimo testo ha un valore principalmente diplomatico, e il grado di integrazione in questi ambiti resta comunque condizionato dal fatto che nell’Ue la sovranità ultima risiede in capo agli Stati. Il Trattato del Quirinale rappresenta una dichiarazione d’intenti, che rischia di restare lettera morta nel caso in cui le elezioni portassero alla vittoria delle candidate di destra ed estrema destra, Valérie Pécresse o Marine Le Pen, che tallonano Macron nei sondaggi. In tal caso, l’Unione entrerebbe in una fase turbolenta, che rischia di vederla soffocata dagli egoismi nazionali degli Stati membri e dei partiti populisti. 

Le elezioni italiane e francesi sono due appuntamenti che metteranno presto alla prova la solidità della costruzione europea: gli scenari che si disegnano davanti a noi potrebbero portare al trionfo del sogno federalista di Spinelli e Monnet. O, invece, potrebbero determinare un blocco del processo di integrazione europea a favore di un arroccamento su posizioni sovraniste, senza dubbio negative per la capacità europea di agire con un’unica voce sulla scena internazionale. L’attuale e tumultuosa riconfigurazione delle dinamiche geopolitiche non ammette più esitazioni, né ambiguità, né le tradizionali posizioni di rendita tra grandi blocchi con le quali negli ultimi vent’anni ci siamo sempre più ritagliati un ruolo di “comprimari globali”© RIPRODUZIONE RISERVATA

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Nata a Torino nel 1994, si è laureata a SciencesPo Bordeaux in Politiche internazionali, e poi a Torino in Politiche del Medio Oriente e del Nord Africa. Specializzata in analisi dei conflitti e geopolitica, ha lavorato per l’Undp a Tunisi e per l’Institut de Recherche et d'Enseignement sur la Négociation dell’Essec a Parigi. Amante dei viaggi (soprattutto se avventurosi) e della cultura mediterranea, ha avuto l’opportunità di conoscere e formarsi in diversi Paesi: Capo Verde, Inghilterra, Tunisia, Francia, Marocco. Ha una passione per il mare, la natura e la cucina, e sta seguendo dei corsi di formazione per la carriera diplomatica, il suo grande sogno.