12 mila ricercatori italiani emigrano ogni anno all’estero; chi resta è condannato spesso al precariato

Ogni anno perdiamo in media 12.000 ricercatori che emigrano all’estero e perché chi resta spesso è condannato al precariato: «anziché essere cancellato, verrà rafforzato dalla nuova legge in fase di approvazione in Senato», denuncia Marco Merafina della Uil. Per i Prin (Progetti di ricerca d’interesse nazionale), al problema dei fondi si aggiunge il sistema di valutazione. A novembre bocciati tutti i progetti dei filosofi, lasciati senza un euro. Un fatto senza precedenti. In altri casi, progetti esclusi senza essere esaminati. «Situazioni surreali», sottolinea la vice rettrice dell’università di Torino Maria Lodovica Gullino. E i “bocciati” si rivolgono al Tar che boccia gli “esaminatori” con sentenza inappellabile: «Abbiamo vissuto una situazione kafkiana» racconta a “Italia Libera” il professor Giovanni Destro Bisol antropologo della Sapienza


L’inchiesta di ANNA MARIA SERSALE

«MI ASPETTO CHE in finanziaria la ricerca di base riceva la giusta attenzione», aveva detto il fisico Giorgio Parisi rivolgendosi alla ministra Cristina Messa quando a dicembre nell’aula magna della Sapienza gli è stato consegnato il premio Nobel. Ma non è andata così. Né la manovra di bilancio, né il Pnrr disegnato dal governo Draghi garantiranno a docenti e ricercatori le risorse per colmare il divario che ci divide dal resto d’Europa, nonostante l’intervento di una delle voci più prestigiose del nostro Paese. Il mondo della scienza è deluso. Non solo le risorse economiche sono al di sotto delle attese, ma alcuni sistemi di assegnazione dei fondi, per le procedure opache e le valutazioni discutibili, non premiano la qualità dei progetti. Fenomeni in particolare riscontrati nel finanziamento dei progetti di ricerca d’interesse nazionale, in sigla Prin. 

Digitale, transizione ecologica e settore medico riceveranno risorse consistenti dal Pnrr, ma i fondi strutturali sono diminuiti e restano briciole rispetto ai bisogni

Ma analizziamo i problemi partendo dalla carenza di fondi. «L’allineamento con le economie più sviluppate resta un sogno — dichiara a “Italia Libera” Marco Merafina, coordinatore nazionale della docenza universitaria per la Uil —. Digitale, transizione ecologica e settore medico riceveranno risorse consistenti, tuttavia la ricerca nel complesso resterà sottofinanziata. I fondi strutturali sono diminuiti, briciole rispetto ai bisogni. Né si prospetta una svolta riformatrice. I problemi degli atenei, infatti, restano gli stessi: nessuno si preoccupa di combattere logiche baronali, nepotismi, spartizione delle cattedre, bandi e concorsi manipolati, scambi di favori sottobanco e criteri di valutazione poco trasparenti». Questi problemi irrisolti spiegano perché ogni anno perdiamo in media 12.000 ricercatori che emigrano all’estero e perché chi resta spesso è condannato al precariato, che, anziché essere cancellato, verrà rafforzato dalla nuova legge attualmente in fase di approvazione in Senato.

Quando entrano in gioco interessi personali, quando si forzano le regole in nome di una presunta eccellenza, ma soprattutto quando si applicano criteri di valutazione discutibili e poco trasparenti il finanziamento dei progetti di interesse nazionale va in tilt. I Prin, messi a bando con finanziamenti pubblici, devono essere valutati da una commissione di “revisori”, ma proprio la valutazione è uno dei punti più deboli del sistema. Lo scorso novembre, per esempio, l’uscita delle graduatorie Prin suscitò scalpore: dall’assegnazione dei fondi erano esclusi in blocco i filosofi, lasciati senza un euro. Nella sezione che raggruppa la maggior parte delle materie umanistiche e filosofiche, dei 24 progetti premiati non ce n’era neppure uno di quelli presentati dai docenti di filosofia. Un fatto senza precedenti. Difficile credere che non ci fossero progetti meritevoli o che il caso sia dovuto a una “anomalia statistica”. Alle proteste che seguirono nessuno ha dato risposte.  

Maria Lodovica Gullino, fitopatologa vicerettrice dell’università di Torino director del centro di competenza per l’innovazione agro-ambientale “Agroinnova”

Quello dei filosofi non è un caso isolato. A professori di altre discipline è capitato di essere esclusi dai finanziamenti da un gruppo di revisori che non avevano neppure esaminato i loro progetti. Il rifiuto si basava unicamente sulla comparazione dei curricula scientifici, comparazione per altro fatta con criteri poco chiari, senza spiegare quali fossero i parametri di riferimento dichiarati a posteriori (su richiesta dei “bocciati”) e rivelatisi in contraddizione con le stesse indicazioni del bando. 

Situazioni surreali, di cui ha fatto personale esperienza Maria Lodovica Gullino, vice rettrice dell’Università di Torino, director del Centro di competenza per l’innovazione in campo agro-ambientale (Agroinnova): «È possibile premiare l’eccellenza se le valutazioni non sono eccellenti? Stanno arrivando i risultati del Prin 2020. Molti, purtroppo — osserva la professoressa Gullino — vedranno deluse le loro attese visto che dal 2017 è stato introdotto un modello che, secondo la logica dell’eccellenza, finanzia un numero molto più limitato di progetti rispetto al passato». Per portare alla luce gli squilibri di un sistema che andrebbe riformato, la professoressa Gullino (che aveva presentato un progetto sulla salute circolare) dopo l’esito negativo si è rivolta al Tar presentando ricorso. Analoga decisione l’ha presa un suo collega, Giovanni Destro Bisol, docente di antropologia biologica alla Sapienza di Roma (che aveva presentato un progetto su evoluzione e diversità genomica). Dopo avere chiesto e ottenuto l’accesso agli atti, ciascuno dei due aveva corredato il ricorso «contro l’esclusione dalla fase di valutazione del progetto», allegando un’analisi molto circostanziata di quanto accaduto. 

La prima e più grave contestazione riguardava il fatto che i progetti non erano stati neppure letti. I giudici amministrativi hanno riconosciuto la validità dei ricorsi e li hanno accolti completamente, ora le sentenze sono inappellabili. «Abbiamo vissuto una situazione kafkiana — racconta il professor Destro Bisol —. Il mio gruppo, in cui avrebbero lavorato anche paleontologi e genetisti, si è visto recapitare un “no” senza che fosse stato letto il progetto, tutto questo è irricevibile. Ma i problemi della ricerca sono molti. In nome di una presunta eccellenza l’allocazione dei fondi penalizza molti ricercatori di ottima produzione che non sono messi in grado di lavorare adeguatamente». Le regole per l’assegnazione dei fondi Prin ci sono, ma tutto è lasciato all’arbitrio. Procedure bislacche, incongruenze, candidati che beneficiano di “valutazioni troppo generose” rispetto ai loro valori bibliometrici (che vanno misurati sulla base delle citazioni e delle pubblicazioni), commissioni malamente assortite, incompatibilità di vario genere e conflitti di interesse che segnano gli esiti di molti bandi, mostrando non poche analogie con i concorsi a cattedra pilotati e tagliati su misura per il “favorito” di turno. 

Servono azioni concrete per migliorare il processo di valutazione dei progetti di ricerca

Ora il ministero dell’Università dovrà rispondere ai due professori che hanno vinto il ricorso al Tar. Però sono trascorsi anni e probabilmente è tardi per salvare i progetti. «Tuttavia ci auguriamo —conclude la professoressa Gullino — che da una situazione negativa, che speriamo non si verifichi mai più, possano derivare azioni concrete per migliorare il processo di valutazione». Al riguardo i professori Gullino e Destro Bisol hanno abbozzato una proposta. Ecco i punti salienti: nel comporre le commissioni equilibrio nella rappresentanza delle diverse discipline; pubblicazione dei nomi dei commissari solo dopo gli esiti finali; valutazioni accurate, trasparenti e rigorose; no alla presenza di commissari scientificamente inattivi negli ultimi tre anni e uso rigoroso degli indicatori bibliometrici, consapevoli degli effetti distorsivi di tutto ciò. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Giornalista professionista, ha lavorato al “Messaggero” dal 1986 al 2010. Prima la “gavetta” in Cronaca di Roma, fondamentale palestra per fare esperienza e imparare il mestiere, scelto per passione. Si è occupata a lungo di degrado della città, con inchieste sugli abusi che hanno deturpato il centro storico. Dal 1997 ha lavorato alle Cronache italiane, con qualifica di vice caposervizio, continuando a scrivere. Un filo rosso attraversa la sua carriera professionale: scuola, università e ricerca per lei hanno sempre meritato attenzione, con servizi e numerose inchieste.