Davvero l’uomo più potente dell’Occidente, anzi del mondo, sarebbe impotente? Proprio così. Che ne dite di un capo di stato e di governo che, non avendo una maggioranza che lo sostiene in entrambi i rami del parlamento, non è in grado di realizzare il suo programma di governo, cioè di mantenere le sue promesse elettorali? Ma mi devo correggere: c’è un unico campo in cui il presidente americano può effettivamente essere considerato l’uomo più potente della terra: quello militare. In quanto comandante in capo delle forze armate il presidente può, a sua totale discrezione, fare la guerra a chicchessia e per qualunque motivo, bombardare, inviare soldati e droni killer in qualunque luogo del pianeta, con l’unico vincolo di informare il Congresso e di ottenerne l’autorizzazione dopo tre mesi


L’articolo di STEFANO RIZZO, americanista

Joe Biden incontra a Varsavia profughi e bambini ucraini a cui ha garantito aiuti e 

HABEMUS PAPAM. ABBIAMO un nuovo papa. No, tranquilli, quello che c’è è in discreta salute e gli auguriamo ancora cento e cento anni di vita. Il papa nuovo è un altro, ma ha con lui molte cose in comune: è anziano, cattolico, bianco di carnagione e animato da ottimi propositi. Non c’è evento tragico al mondo — stragi, guerre, carestie, pestilenze, sparatorie, povertà — che non provochi in lui sentimenti di commozione e di condanna, accorate esortazioni a porre fine al male sulla terra. Sono tutti e due brave persone, ognuno a modo suo a capo della vasta comunità che si riconosce in lui. Viaggiano, lavorano indefessamente, stringono le mani dei fedeli, accarezzano i bambini, confortano gli afflitti e redarguiscono i reprobi.

Il papa vero sta a Roma, l’altro a Washington. L’avete capito: si tratta di Joe Biden, il presidente degli Stati Uniti, l’uomo più potente della terra. Solo che non si direbbe. Sta lì nella sua casa bianca ormai da un anno e mezzo; da quel pulpito ha detto tante cose importanti, del tipo: “mai più una guerra in cui non siano in gioco la sicurezza o gli interessi vitali degli Stati Uniti”, oppure: “basta con le stragi di innocenti provocate dalla lobby delle armi”, o ancora (davanti ai disgraziati presi a frustate da armigeri a cavallo per ricacciarli oltre confine): “noi non siamo così, è una vergogna inaccettabile trattare in questo modo degli esseri umani”. E tante altre belle cose tutte condivisibili.

Yanela, bambina honduregna, è in lacrime e ha lo sguardo rivolto alla madre perquisita da un agente della polizia di frontiera; la foto è stata scattata John Moore in Texas il 12 giugno 2018; lo scatto si è aggiudicato il World Press Photo of the Year 2019

Il problema è che le parole sono state tante, ma i fatti pochi o nessuno. Aveva iniziato il mandato promettendo che avrebbe messo sotto controllo la pandemia di Covid dopo la sciagurata gestione del suo predecessore, ma le vaccinazioni languono (67 per cento della popolazione sopra i 65 anni) e l’epidemia continua a provocare ogni giorno 300 vittime e 29.000 ricoveri. 

Aveva promesso un piano di investimenti infrastrutturali e uno ancora più ambizioso di “investimenti” sociali — nella scuola, nella sanità, negli asili nido, nei permessi parentali, negli aiuti ai più bisognosi, nel salario minimo, ecc. Il primo piano per costruire ponti e autostrade è stato approvato. Il secondo per aiutare la gente e migliorare la qualità della vita si è perso nei meandri del Congresso. Aveva giurato e spergiurato che sarebbe stato approvato entro dicembre, ma non se ne è fatto nulla. 

Aveva promesso che mai più si sarebbero viste le indecenti scene contro i migranti al confine, ma a tutt’oggi non solo non è stata approvata la generale riforma dell’immigrazione (promessa da tutti i presidenti da più di venti anni), ma non è neppure stata abolita la clausola di emergenza sanitaria (titolo 42) con cui Trump era riuscito a bloccare l’ingresso di anche un solo migrante nel paese. 

Aveva promesso che finalmente, dopo almeno tre legislature a vuoto, sarebbe stata approvata una riforma della legge elettorale che rendesse più facile votare, che limitasse gli enormi finanziamenti alla politica (con cui le lobby di fatto si comprano i deputati) e abolito le discriminazioni contro le minoranze di colore. La “Legge per il popolo”, si chiamava e non se ne è fatto nulla. 

Manifestazione in Texas per chiedere la limitazione nel commercio delle armi da guerra ai civili

Intanto è arrivata un’inflazione galoppante, oltre l’8 per cento, che colpisce soprattutto i ceti più poveri. Biden si è commosso, ha mostrato “empatia” (tratto caratteriale che gli viene universalmente riconosciuto) per i bisognosi, ma in buona sostanza è rimasto a guardare sostenendo che si trattava di un fenomeno congiunturale provocato dalla ripresa post-Covid e che sarebbe presto rientrato. Siamo a metà anno ed è cresciuto.

Non parliamo della limitazione delle armi, da sempre suo cavallo di battaglia, grazie al quale in occasione di ogni nuova strage può esprimere la sua “vicinanza” alle vittime accompagnata da (vere e convinte) lacrime sue e della moglie (anche lei molto empatica). Non ne parliamo perché non c’è nulla da dire. Dopo la 242° strage dall’inizio dell’anno si aspetta soltanto la 243° tra un paio di giorni.

Cosa dobbiamo concludere? Che Biden è un ipocrita, un politico come tanti che promette e non mantiene, che dice ma non crede a quello che afferma? Niente di tutto questo. Biden è un uomo onesto e di buoni sentimenti, solo che — al pari del suo omologo a Roma — ha il potere di condannare e di commiserare, ma non di cambiare le cose. Forse qualcosa in più la poteva fare, ma nella buona sostanza quello che non ha fatto è perché non ha potuto farlo.

Ma davvero, l’uomo più potente dell’Occidente, anzi del mondo sarebbe impotente? Proprio così. Che ne dite di un capo di stato e di governo che, non avendo una maggioranza che lo sostiene in entrambi i rami del parlamento, non è in grado di realizzare il suo programma di governo, cioè di mantenere le sue promesse elettorali? Che deve fare i conti con l’ostruzionismo dell’opposizione che al senato blocca qualunque legge, e in sovrappiù deve fare i conti con due o tre suoi compagni di partito che in ogni caso non sono disposti a votare i suoi provvedimenti? 

L’assalto a Capitol Hill il 6 gennaio 2021 dei supporter di Trump contro la proclamazione dell’elezione di Joe Biden

Che ne dite di un sistema istituzionale in cui nove giudici nominati a vita (a vita!), di cui quattro dal suo predecessore, possono abolire diritti consolidati da quasi cinquant’anni, come la libertà delle donne di abortire? O di un sistema federale in cui ogni singolo stato a seconda del partito che lo controlla decide per conto proprio su questioni come le leggi elettorali, il porto delle armi, i diritti individuali (tra cui l’aborto, ma non solo)? Di un paese colpito da tre epidemie allo stesso tempo — quella di Covid, quella delle armi da fuoco e quella degli oppioidi — che provocano centinai di migliaia di vittime all’anno senza che il problema venga non dico risolto, ma anche solo affrontato decentemente? 

Che dire di un popolo che elegge il suo presidente per quattro anni, ma non gli dà la maggioranza per governare, lui non può fare quasi nulla e di conseguenza loro si sentono traditi cosicché alle elezioni successive gli tolgono anche il poco potere che ha e lo fanno diventare un’ “anatra zoppa” che vivacchierà per altri due anni fino alla fine del mandato? 

È il paese del vorrei ma non posso, dell’empatia, delle lacrime, delle veglie con le candeline, dove nulla cambia. Dove nulla può cambiare perché gli Stati Uniti sono la più grande democrazia del mondo, fieri della loro bellissima Costituzione, cosicché anno dopo anno, presidente dopo presidente, vanno avanti nella paralisi e nella contrapposizione crescente, il cui unico sbocco sembra essere — potrebbe essere — una crisi catastrofica di sistema di cui si sono viste le prime avvisaglie il 6 gennaio 2021.

Papa Francesco e il presidente americano Joe Biden in Vaticano

P.S. Mi devo correggere: c’è un unico campo in cui il presidente americano può effettivamente essere considerato l’uomo più potente della terra: quello militare. In quanto comandante in capo delle forze armate il presidente può, a sua totale discrezione, fare la guerra a chicchessia e per qualunque motivo, bombardare, inviare soldati e droni killer in qualunque luogo del pianeta, con l’unico vincolo di informare il Congresso e di ottenerne l’autorizzazione dopo tre mesi. Ma naturalmente non ha bisogno di alcuna autorizzazione per condurre guerre fantasma con “istruttori”, contractors o corpi speciali dislocati nelle centinaia di basi militari all’estero, per organizzare blocchi navali, embargo, disporre sanzioni economiche, catturare presunti colpevoli e rinchiuderli in prigioni segrete di paesi compiacenti; e infine per inviare, premendo al contempo sugli alleati perché facciano altrettanto, enormi quantitativi di armamenti, carri armati, missili, aerei, elicotteri tolti dall’immensa panoplia di distruzione e di morte che le sue sempre più ingegnose industrie belliche producono in abbondanza. 

Forse, pensandoci bene, l’analogia con papa Francesco è del tutto fuori luogo© RIPRODUZIONE RISERVATA

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Giornalista, docente universitario, romanziere, ha insegnato relazioni internazionali all’Università la Sapienza di Roma. Ha collaborato con svariate testate a stampa e online scrivendo prevalentemente di politica e istituzioni degli Stati Uniti. E’ autore di svariati volumi di politica internazionale: Ascesa e caduta del bushismo (Ediesse, 2006), La svolta americana (Ediesse, 2008), Teorie e pratiche delle relazioni internazionali (Nuova Cultura,2009), Le rivoluzioni della dignità (Ediesse, 2012), The Changing Faces of Populism (Feps, 2013). Ha pubblicato quattro volumi di narrativa; l’ultimo è Melencolia (Mincione, 2017)