
Perdite fino al 90% del metano dagli impianti di stoccaggio filmate dalle telecamere a infrarossi del Caft e diffuse in esclusiva dalla Reuters. Fra i 200 siti controllati in Europa dalla Ong statunitense, una delle perdite più vistose è in Italia provocata dal foro arrugginito del serbatoio di una centrale Eni. Emissioni anche dagli impianti Snam di Panigaglia, Minerbio e Bordolano. La società replica: «Le valvole di spurgo saranno sostituite entro il 2024». La capacità climalterante del metano è 80 volte più elevata della Co2. Vincenzo Balzani (università di Bologna): «I problemi dei gasdotti diventeranno enormi quando Eni e Snam vorranno farci passare l’idrogeno blu»
L’inchiesta di LILLI MANDARA, da Pescara /
PERDITE DI METANO dal 90% dei siti controllati dalla Catf (Clean Air Task force) scoperte grazie a una termocamera a infrarossi: è la notizia data giovedì in esclusiva dalla Reuters che ha lanciato un’inchiesta sulle perdite degli impianti di idrocarburi in molti Paesi europei tra cui l’Italia. Il metano, che è la principale causa del cambiamento climatico dopo l’anidride carbonica, è 80 volte più potente della Co2 e finisce nell’atmosfera, con incommensurabili conseguenze. Non ci sono soltanto le perdite accidentali: responsabili dell’emissione del metano nell’atmosfera sono anche gli sfiati che sono emissioni intenzionali (e controllate, almeno così dovrebbe essere) previsti in ogni impianto di stoccaggio.
Il Catf ha controllato 200 siti in sette paesi dell’Unione europea (Repubblica Ceca, Ungheria, Italia, Polonia e Romania, mentre in Germania e Austria le emissioni sono risultate di piccole entità) e ha filmato le emissioni con la telecamera a infrarossi per rilevare idrocarburi invisibili a occhio nudo. «Se vogliamo evitare un aumento di 1,5 gradi Celsius delle temperature medie globali − ha detto James Turitto del Catf alla Reuters − dobbiamo fermare queste emissioni».

In termini teorici, non c’è nessun profilo di illegalità perché l’Unione europea non regola le emissioni di metano nel settore energetico, il che significa che le aziende che gestiscono i siti non stanno violando leggi o regolamenti. Una situazione che però non durerà a lungo. Da quest’anno la Ue sta valutando l’approvazione di leggi che obbligheranno le compagnie petrolifere e del gas a segnalare e a monitorare le emissioni di metano oltre a migliorare il rilevamento e la riparazione delle perdite.

«L’articolo di Reuters − spiega il professor Vincenzo Balzani, professore emerito all’Università di Bologna − richiama l’attenzione sui gasdotti e sui loro problemi, che diventeranno enormi quando, come vorrebbero Eni e Snam, si passerà ad usarli per l’idrogeno. Perché le molecole di idrogeno sono molto piccole e penetrano anche in microscopiche fessure dei metalli. A differenza di quanto affermò tempo fa Alverà, amministratore delegato di Snam, per trasportare e distribuire idrogeno servono gasdotti in materiali speciali, non servono quelli usati per il metano». Quindi, si dovrebbero costruire nuove infrastrutture.
Per il chimico che nel 2016 sfiorò il Nobel per le ricerche sulle macchine molecolari, «il modo migliore per utilizzare le energie rinnovabili è quello di usare l’elettricità che producono, non l’idrogeno che si può ottenere usando questa elettricità per fare l’elettrolisi dell’acqua (il cosiddetto idrogeno verde). Tanto più che il modo più efficiente per usare questo idrogeno verde sarebbe la sua riconversione in elettricità mediante pile a combustibile». L’impressione, aggiunge il professor Balzani, è che Eni, Snam e altre compagnie vogliano costruire gasdotti per usare idrogeno blu, quello cioè prodotto da metano con emissioni di Co2 che poi verrebbe catturata e imprigionata sotto terra o sotto il mare: «L’uso di questa tecnologia, chiamata Ccs, è un tentativo surrettizio di continuare ad usare gas naturale (cioè metano fossile), che non è economicamente competitiva e soprattutto non permette di catturare tutta la Co2 prodotta, come dimostra il recente fallimento dell’impianto Ccs di Petra Nova negli Usa».

Non resta che aspettare le nuove disposizioni dell’Unione europea (che presumibilmente entreranno in vigore entro il 2023) per ridurre le emissioni dei gas serra del 55% rispetto al 1990. In questo sforzo la Ue non è sola: anche gli Stati Uniti con Joe Biden prevedono di proporre nuove regole per ridurre le emissioni di metano. Gli ambientalisti confidano nell’iniziativa dell’Europa. Senza di essa non si va da nessuna parte, sottolineano: «le politiche del governo evidenziano un deficit culturale grave delle classi dirigenti che vogliono solo assecondare i desideri di profitto sul breve termine di Snam ed Eni − conclude De Sanctis −, sfruttando tra l’altro le bollette degli italiani invece di strutturare una politica energetica e industriale che possa reggere nei prossimi decenni alla sfida della crisi climatica». © RIPRODUZIONE RISERVATA