Il fumo dell’incendio si alza dal pozzo di Bois du Cazier, solo una dozzina i minatori sopravvissuti

La sera prima di quel tragico 8 agosto 1956, un compagno di baracca del minatore di San Sebastiano dei Marsi, anche lui abruzzese ma di Manoppello, gli chiese di fare a cambio di turno e lui accettò. Un cambio fatale per tutti e due. Il minatore di Manoppello restò in fondo al pozzo del Bois du Cazier insieme agli altri 261 e minatori vittime del protocollo Italo-Belga che in cambio di carbone aveva avviato alle miniere belghe 50.000 emigranti italiani. Alla fine della conta 262 minatori sui 275 presenti nel pozzo persero la vita. Di questi, 136 erano italiani; gli abruzzesi erano 60. Domenico invece si salvò ma ne restò tanto segnato da abbandonare la miniera tornando in patria più povero di quand’era partito 


Il ricordo di PINO COSCETTA

LO SENTIVO PASSARE ogni mattina davanti alla nostra casa di San Sebastiano dei Marsi. Appena superava l’arco accanto alla nostra porta in via della Fontana, Maya, femmina di pastore abruzzese di guardia alla stalla, cominciava ad abbaiare e lui, sottovoce, la zittiva. Non voleva che abbaiando ci svegliasse. Finiti i suoi lavori, dopo aver chiuso il cancello della stalla bussava alla porta della nostra cucina per darci il buongiorno. Un saluto benaugurale spesso accompagnato da un paio d’uova ancora calde di cova, o un cespo di fresca insalata del suo orto. 

La prima volta che questo avvenne lo invitai ad entrare. Si chiamava Domenico, Domenico Fallucchi, ma tutti lo chiamavano “merlacchio”; i più vecchi, meglio informati, specificavano, “merlacchitte” (merlacchiotto), perché il vero “merlacchio” era il padre. Quel mattino, davanti ad un bicchiere di vino, Domenico per la prima volta ci raccontò la sua storia. 

Le vittime nella miniera di carbone belga di Marcinelle furono 262, fra loro 60 erano abruzzesi

Domenico era un miracolato che solo per caso era scampato alla tragedia di Marcinelle. La sera prima di quel tragico 8 agosto 1956, un compagno di baracca, anche lui abruzzese ma di Manoppello, gli chiese di fare a cambio di turno e lui accettò. Un cambio fatale per tutti e due. Il minatore di Manoppello restò in fondo al pozzo del Bois du Cazier insieme agli altri 261 minatori vittime del protocollo Italo-Belga che in cambio di carbone aveva avviato alle miniere belghe 50.000 emigranti italiani. Domenico invece si salvò ma ne restò tanto segnato da abbandonare la miniera tornando in patria più povero di prima. 

Alla fine della conta 262 minatori sui 275 presenti nel pozzo persero la vita. Di questi, 136 erano italiani; gli abruzzesi erano 60. Domenico, con gli occhi lucidi, ci disse il nome del compagno morto per caso, l’amico di baracca che sarebbe tornato a Manoppello dentro una bara al posto suo. Quel nome lo farfugliò a mezza bocca, con la voce ancora rotta dall’emozione, e sinceramente non lo ricordo, in realtà non riuscii neppure a capirlo bene. 

Domenico Fallucchi (con gli occhiali scuri), ad una festa e nel rito per le provviste di maiale

«Ci trattavano come bestie», continuò a raccontare Domenico, «…anzi, per i belgi eravamo peggio degli animali; turni di lavoro massacranti, in una miniera che nella sicurezza era restata ferma al 1800. Le gallerie del pozzo numero ‘uno’ erano ancora tutte in legno. Il ricambio dell’aria ci veniva dal pozzo ‘due’ ma spesso le ventole non bastavano e là sotto non si riusciva a respirare. Quando protestavamo con il caposquadra ci diceva che se non ci stava bene potevamo tornare al nostro paese. E la protesta finiva lì».

«Quando scoppiò l’incendio», proseguì Domenico, «io stavo mettendo un po’ in ordine la nostra baracca. Al primo allarme corsi verso il pozzo dal quale già usciva una colonna di fumo nero. Non sapevamo cos’era successo, tutti pensavamo al ‘grisou’, ma un certo Antonio che era stato tra i primi a riuscire a risalire, disse che un ascensore aveva troncato i cavi elettrici e quelli dell’olio che prese subito fuoco. Senza elettricità le ventole dell’aria si fermarono e il fumo invase il pozzo. Provammo più volte ad entrare, ma l’incendio scoppiato nella parte alta della galleria era diventato un muro di fuoco che non ci faceva andare avanti».

Quel muro di fuoco Domenico la aveva ancora davanti agli occhi e quel fumo gli sarebbe restato per sempre nei polmoni assieme alla polvere di carbone. Ma a farlo morire lentamente ogni giorno della sua lunga vita non fu la silicosi ma quel cambio di turno con il compagno di baracca, l’amico con il quale fino alla sera prima aveva condiviso i duri giorni del Bois du Cazier. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Giornalista e scrittore, è entrato al “Messaggero” a 22 anni e ha concluso la sua carriera lavorativa con la qualifica di caporedattore centrale. Durante la lunga permanenza nella redazione di via del Tritone, ha ricoperto per molti anni i ruoli di caposervizio delle province e di caporedattore delle Regioni. Da scrittore inizia con una raccolta di racconti giovanili, “Scirocco” (1966), e si dedica per un lungo periodo a saggistica, libri di storia locale e viaggi. Tra le più recenti pubblicazioni: “Viaggio in Abruzzo con Giorgio Manganelli”; “Il mistero di Tomar”; “Palazzo Podocataro, la casa-museo del cardinale di papa Borgia”; “Tre secoli nel Tridente”; “Divieto d’Orvieto”; e, con Vittorio Emiliani, “La discesa del Tevere e altre storie di fiumara”.