Occorre avere una sensibilità non comune per indagare al di là delle apparenze delle “magnifiche sorti e progressive” degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso. Autori, registi e interpreti di quella stagione cinematografica sono stati un fenomeno irripetibile che rimpiangiamo amaramente in tempi di vacche sempre più magre che contraddistinguono il cinema italiano attuale, e non solo italiano, con la virtuosa eccezione dell’estremo oriente. Maestri come Mario Monicelli, Dino Risi, Ettore Scola, Pietro Germi ci mancano tanto. Come ci manca lo sguardo, acuto e disincantato, anche di Lizzani, Salce o Comencini


◆ L’articolo di FABIO BALOCCO

Una scena de “I soliti ignoti”; sotto il titolo Marcello Mastroianni nel “Divorzio all’italiana” di Pietro Germi

Mi rifaccio in qualche modo al recente intervento di Vittorio Emiliani sui grandi comici del cinema italiano (con tutto il rispetto per Antonio De Curtis in arte Totò): in ordine alfabetico, Gassman, Manfredi, Sordi, Tognazzi. Mi ci rifaccio per una breve riflessione sulla commedia all’italiana, di cui essi sono stati i maggiori interpreti. La mia è una riflessione, ma anche prima di tutto una richiesta di aiuto ai lettori. 

Una domanda che mi sono sempre fatto è come accada che in certe epoche storiche scoppino dei veri e propri fenomeni culturali, che costituiscono una crasi con il tempo e la cultura che li precedono. Per restare in epoche vicine a noi, pensiamo, nel campo musicale, al fenomeno del beat e all’esplosione di complessi che in Gran Bretagna e negli Stati uniti segnarono il ventennio 1960-1970. Oppure, nel cinema, il cosiddetto “nuovo cinema americano” il cui inizio potremmo situare per comodità sempre negli anni Sessanta con il film Easy Rider. E, venendo a noi, appunto la commedia all’italiana. Non appare forse straordinario che, dagli anni Cinquanta fino a tutti gli anni Settanta, abbiamo assistito all’uscita di un incredibile numero di film che facciamo rientrare in questo filone, e ad un altrettanto incredibile numero di grandi registi dietro alle pellicole: Mario Monicelli, Dino Risi, Ettore Scola, per limitarci a citare i più famosi? Casualità? Non so rispondere. 

Mario Monicelli e Alberto Sordi sul set di “Un borghese piccolo piccolo”

Ma quel che in realtà mi preme di più rilevare è che questo filone cinematografico si accompagna pressoché interamente all’Italia del boom economico, e, nonostante questo, e nonostante il sostantivo che lo caratterizza − “commedia” − esso sia, nei suoi titoli più illustri, tutt’altro che un genere leggero. Tutt’altro, appunto. Pensiamo a film come Un eroe dei nostri tempi, Un borghese piccolo piccolo, I soliti ignoti, oppure I mostri, Il sorpasso, per venire al più recente Amici miei. Pellicole che fanno sorridere, talvolta anche ridere, ma che in realtà hanno il grande, ineguagliabile pregio di scavare dietro o ai margini di quell’Italia che, una volta uscita dalla guerra, sembrava avviarsi verso un radioso futuro. Un’operazione, tra l’altro, che vede accomunati i citati titoli anche a quelli di altri registi che non rientrano strettamente nel filone “commedia”, come il Carlo Lizzani de La vita agra, oppure il Federico Fellini de I Vitelloni, oppure il Pietro Germi del Divorzio all’italiana, il Luciano Salce de Il federale o de La voglia matta, o il Luigi Comencini de A cavallo della tigre. 

Carlo Lizzani e Ugo Tognazzi sul set de “La vita agra”

Non trovate che necessiti possedere una sensibilità non comune per indagare al di là delle apparenze di magnifiche sorti e progressive? La commedia all’italiana è stato un fenomeno davvero irripetibile che rimpiangiamo amaramente in tempi di vacche sempre più magre quali quelle che contraddistinguono il cinema italiano attuale, e non solo il cinema italiano, ma direi mondiale, con la virtuosa eccezione dell’estremo oriente. E così, dopo una domanda, e una considerazione, un suggerimento. A mio parere la commedia all’italiana si conclude con un titolo iconico, quel C’eravamo tanto amati di Ettore Scola, in cui c’è proprio tutta l’Italia del dopoguerra, fino ai primi vagiti della crisi economica. Quel film si può riassumere nella frase “Credevamo di cambiare il mondo, invece il mondo ha cambiato noi”. Il suggerimento ovviamente non può non essere: guardatelo. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Nato a Savona, risiede in Val di Susa. Avvocato (attualmente in quiescenza), si è sempre battuto per difesa dell’ambiente e problematiche sociali. Ha scritto “Regole minime per sopravvivere” (ed. Pro Natura, 1991). Con altri autori “Piste o pèste” (ed. Pro Natura, 1992), “Disastro autostrada” (ed. Pro Natura, 1997), “Torino, oltre le apparenze” (Arianna Editrice, 2015), “Verde clandestino” (Edizioni Neos, 2017), “Loro e noi” (Edizioni Neos, 2018). Come unico autore “Poveri. Voci dell’indigenza. L’esempio di Torino” (Edizioni Neos, 2017), “Lontano fa Farinetti” (Edizioni Il Babi, 2019), “Per gioco. Voci e numeri del gioco d’azzardo” (Edizioni Neos, 2019), “Belle persone. Storie di passioni e di ideali” (Edizioni La Cevitou, 2020), "Un'Italia che scompare. Perché Ormea è un caso singolare" (Edizioni Il Babi, 2022). Ha coordinato “Il mare privato” (Edizioni Altreconomia, 2019). Collabora dal 2011 in qualità di blogger in campo ambientale e sociale con Il Fatto Quotidiano, Altreconomia, Natura & Società e Volere la Luna.