La Costituzione italiana è considerata quasi un mito, citata e ammirata, e sulla forza dei suoi valori si è detto sempre molto. Continuamente ci sono state occasioni per magnificarla: la più recente quella di Roberto Benigni al Festival di Sanremo, presente il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Ma la Costituzione italiana, uscita dall’Assemblea costituente, non è la stessa Carta di oggi. È stata modificata. Più volte. Ci si chiede: queste modifiche sono state all’altezza del profilo che avevano saputo darle i Padri costituenti, o sono state prese decisioni che potrebbero suscitare perplessità? Fuori dagli schemi, a parlarne è Ugo Mattei, titolare di Diritto civile all’Università di Torino. Che offre una chiave di lettura originale. E molto critica
La conversazione tra FABIO BALOCCO e UGO MATTEI, giurista dell’Università di Torino
Vignola (Modena), 15 maggio 2011. Dibattito pubblico sui due referendum per l’acqua pubblica con Ugo Mattei (il primo a destra) estensore dei quesiti referendari
LA COSTITUZIONE ITALIANA è sempre stata considerata come un fiore all’occhiello del nostro Paese. Però negli anni essa ha subito diversi “aggiustamenti” ed è anche lecito pensare che non sempre i suoi dettami siano stati applicati correttamente dai governi. Ne abbiamo parlato con Ugo Mattei, titolare di cattedra di Diritto civile presso l’Università di Torino e promotore di due referendum su sanità e pace.
La nostra Costituzione non è più la stessa di quando uscì dall’Assemblea Costituente. Sono curioso di conoscere il tuo parere in merito ad alcune modifiche che sono state apportate. Cosa ne pensi dell’introduzione del pareggio di bilancio?
«Il pareggio di bilancio è stato introdotto per costituzionalizzare la politica di austerità del Governo Monti e delle destre finanziarie atlantiste (di cui il Pd è espressione). È stato un vero e proprio blitz dei poteri finanziari internazionali, portato avanti con assoluta irresponsabilità dal partito unico seduto (allora come oggi) in Parlamento. A mio avviso quello è stato l’esito di un vero e proprio attentato alla Costituzione, perpetrato da Napolitano in spregio del ruolo supremo di garanzia del Presidente. Egli prima ha nominato illegalmente Senatore a vita un economista neoliberale bocconiano, privo di meriti sul piano sociale (una carriera sempre al servizio dei poteri forti) né su quello culturale ed accademico, essendo stato sempre figura scientificamente modesta. E, una volta nominato Presidente del Consiglio, Monti ha aperto la stagione della piena sospensione della politica in Italia e ha deformato la Costituzione in modo determinante perchè col pareggio di bilancio diventa impossibile realizzare l’economia politica sociale che i costituenti avevano immaginato».
E del trasferimento di poteri anche importanti alle Regioni? C’è chi adesso afferma che si aprì la porta a quell’autonomia differenziata che questo governo vuole approvare.
Torino, 16 marzo 2016. Ugo Mattei e Yanis Varufakis in un incontro pubblico al Campus Einaudi
«La riforma del Titolo V del 2001 è stato un primo vulnus, anche questa volta voluto dai poteri finanziari atlantisti dem, per sostituire una costituzione neoliberale alla nostra costituzione solidaristica. Con quella riforma si è prima di tutto resa del tutto inutile la Corte Costituzionale, addomesticandola e burocratizzandola, come un mero guardiano del traffico che decide sulle competenze piuttosto che essere l’autorevole organo di garanzia che decide sui principii fondamentali come volevano i costituenti. Infatti essa è sempre occupata a dirimere questi conflitti. Oggi tanto la Presidenza della Repubblica quanto la Corte Costituzionale non sono più organi terzi, ma si sono fatti cooptare dal partito unico del potere italiano. So che taluno pensa che la riforma del titolo V, posta in essere per rincorrere la Lega, sia stata un passo iniziale del processo di costruzione dell’ autonomia differenziata. Ma federalismo, devoluzione, autonomia differenziata sono concetti vuoti, se non riempiti tramite un serio dibattito democratico e culturale di natura costituente. Lo Stato centrale italiano è oggi, purtroppo, per parafrasare Rosa Luxemburg, un cadavere in stato di avanzata putrescenza. Innestare riforme improvvisate su un corpo in cancrena non fa che aggravare la situazione».
E dell’introduzione del concetto di ambiente nell’art. 9? Molte voci contrarie si sono sollevate perché oggi, in virtù dello sviluppo sostenibile, si potrebbe sacrificare il paesaggio. Caso classico le fonti rinnovabili.
«La riforma dell’ Art. 9 è il corrispondente draghista del pareggio di bilancio montiano. Anch’esso un blitz, portato avanti in pochi mesi senza alcuna reale comprensione da parte dei nostri ben pagati ma inutili parlamentari di entrambi gli schieramenti. La modifica, di per sé non sarebbe totalmente negativa, perchè introduce il concetto di generazioni future in Costituzione, finalmente realizzando quanto voleva la Commissione Rodotà. Peraltro sappiamo che il concetto di sviluppo sostenibile è la chiave di volta del nuovo capitalismo e certo vederlo in Costituzione ci conferma l’asservimento del potere politico a quello economico. Ma quello che mi preoccupa è altresì la riscrittura dell’art. 41 che sovraordina due concetti astratti, già molto abusati in era pandemica e neoliberale, come salute e ambiente, all’autonomia economica privata. Essa, prima della riforma costituzionale Draghi, poteva essere limitata ex post in virtù di circostanze ed abusi concreti posti in essere dall’imprenditore che comunque godeva di libertà ex ante. Oggi invece i governi asserviti ai diktat europei e finanziari, in nome di queste astrazioni (salute e ambiente) possono imporre ex ante limiti insostenibili per la piccola impresa, condizionandone o impedendone il libero esercizio indipendentemente da come questo in concreto operi».
Torino, 11 novembre 2021. Massimo Cacciari e Ugo Mattei in un dibattito della Commissione Dubbio e Precauzione fondata insieme a Carlo Freccero nel pieno dello scontro sul Green Pass per contrastare la pandemia
Veniamo ad altro. Ci sono princìpi che sono sanciti dalla Costituzione, ma che non sono tradotti in pratica. Parliamo dell’art. 42 che afferma che della proprietà privata occorre garantire la funzione sociale e parliamo di beni comuni per cui tu ti sei sempre battuto.
«Ho scritto molto sulla funzione sociale della proprietà, e ho partecipato a grandi battaglie culturali in suo favore, compresa la stagione delle occupazioni di proprietà private abbandonate e assenteiste che gli occupanti facevano rivivere (es. la Torre Galfa a Milano e il Colorificio a Pisa entrambi nel 2011). La funzione sociale in Italia (che pure passi avanti ne aveva fatti) è vittima dell’abusiva conquista da parte del sistema giuridico europeo della sfera proprietaria, ambito di competenza che né l’Unione Europea né la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo originariamente avevano. In questo modo abusivo la concezione ottocentesca di una proprietà privata illimitata e illimitabile, che in Italia era morta dagli anni Settanta, (legge sulla Casa, Equo canone ecc.) è stata resuscitata da un vero e proprio movimento giuridico reazionario. I beni comuni sono la declinazione non statalista del concetto di pubblico. Essi si fondano strutturalmente sull’accesso e trovano copertura costituzionale tanto implicita quanto evidente appunto nell’Art. 42. Infatti la proprietà privata è funzionale all’interesse pubblico quando è resa “accessibile a tutti”, ossia a quando tutti possono accedere ai beni che ne sono oggetto, nel caso in cui essi siano funzionali all’esercizio di diritti che soddisfano bisogni primari. Inoltre, se è vero che l’Art. 42 al primo comma dice solo che la proprietà è pubblica o privata, istituendo un dualismo che sembra escludere i beni comuni, lo stesso articolo dice che i beni economici appartengono allo Stato, a Enti (non necessariamente pubblici) o a privati, introducendo una tripartizione in cui, per esempio, le “comunità di lavoratori e utenti” di cui all’Art. 43 Cost, o le cooperative o ogni altra forma di organizzazione “non escludente” nella gestione economica (beni comuni) ben può rientrare. Non solo, ma si può pure sostenere che alcuni beni comuni primari, in quanto legati a bisogni fondamentali della persona, vadano collocati “fuori mercato e gestiti nell’interesse delle generazioni future” (Commissione Rodotà). Essi quindi non potrebbero considerarsi beni economici suscettibili di proprietà pubblica o privata che sia, ma beni comuni suscettibili solo di gestione e/o di governo volti a soddisfare tali bisogni».
Altri due princìpi a mio parere vengono disattesi dall’esecutivo: il diritto alla salute e il rifiuto della guerra, che sono anche alla base di due richieste referendarie (ora all’esame della Cassazione) di cui, assieme ad altri, ti sei fatto promotore.
La copertina dell’ultimo libro di Ugo Mattei pubblicato da Piemme nel 2022
«Sul primo diritto, quello declinato dall’Art. 32, è sotto gli occhi di tutti come lo Stato si stia ritirando, favorendo cure private, senza contare che io ho anche la mia opinione sulla gestione pandemica e l’asservimento alle case farmaceutiche globali. Su questo tema abbiamo declinato un quesito referendario per escludere i privati almeno dalla pianificazione delle priorità di spesa sanitaria, abolendo la presenza degli stessi dal tavolo della programmazione sanitaria nazionale. Sulla guerra, e cioè sull’Art. 11, poi, credo che i costituenti, da Ruini a Moro, si staranno rivoltando nella tomba perché la parola ripudio (“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà di altri popoli…”) in italiano ha un significato molto radicale. L’Italia dovrebbe cercare di essere neutrale piuttosto che farsi intruppare fra i servi sciocchi e maneschi degli interessi Usa. In questo campo il quesito abroga l’eccezione Ucraina alla regola per cui non si possono inviare armi in teatri di guerra attivi. Del resto i due quesiti sono intimamente legati dal punto di vista economico e denunciano una precisa volontà governativa: con 14 miliardi in più agli apparati militari e quattro in meno alla sanità nei prossimi due anni, è evidente che il warfare viene pagato coi soldi del welfare. Tra l’altro, gli stessi meccanismi che spingono il denaro pubblico verso l’industria bellica lo spingono verso quei settori specialistici più remunerativi per il privato nel campo della salute. E tra questi non ci sono terapie intensive e medicina di prossimità, quelli che la pandemia ci ha fatto capire quanto fossero importanti».
In vari ambienti politici e culturali sei considerato un intellettuale e un personaggio scomodo: come giudichi te stesso?
«Beh, certo non sono mai stato uno che bacia la pantofola al potere. Cerco di dire sempre quello che penso e di agire, almeno sul piano pubblico, in totale coerenza con ciò in cui credo. Non mi piace stare fra quelli che criticano il potere solo finché si sta nella comfort zone dell’accettabile, come in pandemia la maggior parte dei miei compagni, colleghi e perfino allievi. Mi sono schierato in modo forte e chiaro per “il diritto di essere contro”, titolo del mio ultimo libro. Non so se il mio operato è stato scomodo per il potere, certo è stato scomodo per me!».
Nato a Savona, risiede in Val di Susa. Avvocato (attualmente in quiescenza), si è sempre battuto per difesa dell’ambiente e problematiche sociali. Ha scritto “Regole minime per sopravvivere” (ed. Pro Natura, 1991). Con altri autori “Piste o pèste” (ed. Pro Natura, 1992), “Disastro autostrada” (ed. Pro Natura, 1997), “Torino, oltre le apparenze” (Arianna Editrice, 2015), “Verde clandestino” (Edizioni Neos, 2017), “Loro e noi” (Edizioni Neos, 2018). Come unico autore “Poveri. Voci dell’indigenza. L’esempio di Torino” (Edizioni Neos, 2017), “Lontano fa Farinetti” (Edizioni Il Babi, 2019), “Per gioco. Voci e numeri del gioco d’azzardo” (Edizioni Neos, 2019), “Belle persone. Storie di passioni e di ideali” (Edizioni La Cevitou, 2020), "Un'Italia che scompare. Perché Ormea è un caso singolare" (Edizioni Il Babi, 2022). Ha coordinato “Il mare privato” (Edizioni Altreconomia, 2019). Collabora dal 2011 in qualità di blogger in campo ambientale e sociale con Il Fatto Quotidiano, Altreconomia, Natura & Società e Volere la Luna.
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