Mai come oggi la Sicilia è una regione strategica nel Mediterraneo. Eppure il suo ruolo non è capito, ed è sconfortante come l’Unione europea e gli Stati Uniti si siano fatti sorprendere dal cambio di scenario nelle regioni africane che ci guardano al di là del mare. L’ingresso militare in Africa di Russia e Turchia è stato accompagnato, su un altro piano, da quello della Cina, un attore estraneo a questa regione e in grado di contribuire a sovvertire gli equilibri del passato. L’Italia poi, e con lei ancora una volta l’Unione europea, non ha capito cosa stesse succedendo in Tunisia, e quindi si è fatta sorprendere dalle ripercussioni conseguenti. In questo quadro la Sicilia è in balìa degli eventi (si pensi soltanto all’emergenza sbarchi a Lampedusa). Come abbandonata, eppure è il cuore del Mediterraneo e un ponte con l’Africa, il continente più giovane e promettente 


L’intervento di ALESSIO LATTUCA, presidente Movimento per la sostenibilità

È DAVVERO PARADOSSALE che il Paese e, in particolare, la Sicilia (un vero  arcipelago, un crogiolo di popoli che dispone di una posizione strategica al centro del Mediterraneo), non si occupino delle questioni che hanno a che fare con la sicurezza, il futuro e, in definitiva, con le sfide in atto connesse al Mediterraneo allargato, anche alla luce degli sviluppi bellici a poche ore di volo. E, a tale proposito, non apra un focus sulle cause (e sulle responsabilità) che hanno reso possibile l’influenza (a ridosso delle sue coste) della Russia e della Turchia nel Mediterraneo e non si interroghi sul perché siano stati commessi errori così grossolani da parte degli Stati Uniti. Al tempo stesso perché non indaghi sul seme dell’indifferenza cresciuto nell’Unione Europea e sul pericoloso vuoto di leadership che crea sconforto, amplifica dubbi e paure nell’opinione pubblica e rende urgente un’adeguata politica di sicurezza.

In evidenza la posizione geografica della Libia

Le classi dirigenti europee avrebbero dovuto considerare appieno le conseguenze dei marchiani errori commessi dalla presidenza Trump (American First), alimentati dalla scommessa di alzare muri, o nella sperimentazione di nuovi equilibri in Libia, Siria, Turchia, Emirati, Egitto, Ue, Francia, Italia. In Libia la fase è cambiata: la regione è divisa tra Turchia e Russia con la pericolosa presenza dei mercenari della Wagner che hanno agito indisturbati e modificato a loro favore strategie preesistenti al loro arrivo, utilizzando anche gli immigrati come arma ibrida spingendoli verso i Paesi schierati contro di loro.

E l’Italia, insieme all’Ue, non ha fatto ciò che avrebbe dovuto; in questo ha manifestato scarso senso di responsabilità. Entrambi, Italia ed Ue, ora dovrebbero prendere atto della presenza di nuovi protagonisti nel Mediterraneo: la Cina, tra questi, è la più assertiva, al punto da escludere gli Stati Uniti nei recenti incontri in Medio Oriente, e continua a manifestare con mosse diplomatiche i propri segni di potere nella sfida per l’egemonia, non solo nei mari cinesi, ma anche nei teatri considerati finora riserva di Washington. A tale proposito è tempo che ci si renda conto che attualmente il Mediterraneo è il baricentro, e che l’Europa o è Mediterraneo o non è. E di quanto sia urgente porre rimedio ai gravissimi errori commessi, delegando troppo alle istituzionali internazionali, con una fede eccessiva sul ruolo dell’Onu attuale.

Ma è gravissimo che l’Ue e in particolare l’Italia non si siano accorti di ciò che accade in Tunisia ai propri confini: una situazione esplosiva, a rischio di deriva autoritaria e di eversione. Tutte questioni che fanno il paio con quelle endemiche della Libia che possono accelerare la spinta all’immigrazione. Da tempo molti osservatori segnalano una nuova emergenza che deriva da fattori che risalgono addirittura agli effetti devastanti del neocolonialismo in Africa. Si tratta, evidentemente, di questioni complesse che hanno a che fare con la geopolitica, dal Sahel, al Mediterraneo orientale, unitamente alle tensioni in corso  sugli effetti degli accordi di Abramo tra Israele Iran, Siria, Libano, Arabia Saudita.

Tutti fermenti e instabilità anti occidentale a due passi delle coste siciliane. Il tutto aggravato dall’allarme siccità nel Mediterraneo, come emerge dal rapporto Copernico che monitora i cambiamenti climatici. D’altronde la qualità delle sfide che la Sicilia si troverà ad affrontare sono enormi. A partire dal grido di allarme che proviene da Lampedusa, ancora nelle stesse condizioni in cui era nel 1993, nel frattempo peggiorate; stando così le cose, si va verso un immenso disastro, alimentato dall’esodo tunisino e da quello sub sahariano. Una situazione nella quale occorrono “adeguati strumenti di governo” e una nuova specificità delle classi dirigenti della Regione in possesso di visione politica, competente, consapevole e, soprattutto, che sappia individuare cosa vuole e può essere la Sicilia nell’interesse complessivo del Paese.

Intanto, occorre prendere atto che la Regione ristagna purtroppo in una palude, in cui la “classe dirigente” sembra scomparsa e si accontenta di annaspare nella mediocrità. È ovvio che per affrontare temi tanto difficili,  occorrano competenze e visione: merce preziosa, al momento appare poco reperibile. Se sono comprensibili le difficoltà in cui versa il Mediterraneo intossicato da guerre e lacerazioni, il pericolo peggiore è l’indifferenza, anticamera della catastrofe, in un percorso di disumanizzazione partito alla chetichella e che adesso va prendendo il sopravvento. Una situazione in cui persino il diritto alla coscienza sembrerebbe messo in discussione, nel momento in cui la conversione ecologica dell’economia e della società —individuata dall’Ue con il New Green Deal — può diventare, al contrario, l’asse portante delle politiche pubbliche nel Vecchio Continente. Per coglierne i frutti serve una visione di insieme per comprenderne le connessioni che, al momento, non si intravvede nel personale politico-istituzionale sia a livello regionale che nazionale. Tutte questioni che riguardano il futuro del Pianeta, la difesa dei valori dell’occidente e l’esercizio della democrazia. Un terreno oggi molto scivoloso che invita a riflettere anche sulla vera idea di Europa di cui la Sicilia è “gran parte”. © RIPRODUZIONE RISERVATA

È presidente di Confimpresa Euromed, amministratore delegato Confidi per l’impresa e direttore generale Cofidi Scrl. Imprenditore agrigentino, si batte da anni contro il rigassificatore di Porto Empedocle (sua città natale), che definisce un “progetto folle”, a pochi passi dalla Valle dei Templi, a ridosso della casa di Luigi Pirandello in contrada Kaos.