Viene presentata dalla destra come “vittoria” dall’attuale governo guidato da Giorgia Meloni l’aver – per ora – fermato la decisione dell’Unione europea di vietare, dal 2035, la vendita delle auto alimentate da combustibili fossili (benzina, gasolio). Un rinvio a discuterne più in là. E una vittoria effettivamente è, se ci si limita a guardarla come successo politico cercato da Palazzo Chigi nel mandare all’aria i piani di Bruxelles. Ma è una sconfitta per l’ambiente: i motori elettrici – a differenza di quelli a scoppio – non rilasciano nell’aria una serie di veleni molto pericolosi, dal particolato sottile agli ossidi di azoto e di zolfo. Ed è una sconfitta, incredibilmente trascurata, della nostra capacità di innovare, e quindi di essere competitivi nelle nuove sfide “sostenibili” che l’economia internazionale sta affrontando. Una mancanza di fiducia nell’Italia e nella sua industria, conseguenza dell’incapacità acclarata della Destra nell’affrontare la crisi climatica

ECCOLA LÌ, LA NOSTRA PREMIER a squittire che il blocco dello stop al 2035 alle auto a combustibili fossili è un merito italiano. In effetti l’Italia sembra aver fatto da capofila, in questo rinvio della proposta della Commissione Ue sullo stop. Risuona ancora una volta la fanfara che salutò Berlusconi leader di un nuovo “patto di Varsavia”, quando nel 2007 arruolò i pezzenti dell’Est contro la Merkel e i “tre 20% al 2020”. Anche questa volta i pasdaran contro l’ambiente sono gli stessi di allora, Polonia in testa, e gli altri dell’ex patto di Varsavia a seguire. Stupisce, ma solo in parte, l’analogo atteggiamento dei Tedeschi. Non più benedetti dalla forza trainante di Angela Merkel, stanno lì a farsela sotto a ogni crisi energetica, come con molto garbo istituzionale spiegava Draghi ai tempi del faticoso tentativo di stabilire una politica comune, più semplicemente un tetto al prezzo degli acquisti UE di gas per limitare il caro energia e, contemporaneamente, non comprare più da Mosca.
E dietro Giorgia, ma con un’attitudine simile a quella di Jabba the Hutt di “Guerre stellari”, sta il Mascellone, slinguazzante ceo dell’Eni, pronto ad arraffare. Non gli basta mai. Infatti, la Meloni, mentre consacra l’incapacità storica della Destra di far fronte seriamente alla crisi climatica, ma anche a valorizzare l’industria e le enormi potenzialità innovative italiane, promuove il parassitismo di chi specula sui fossili. Un settore dove l’unica cosa che cresce sono i sovraprofitti del Mascellone Descalzi, che, benigno, si carica volentieri la zavorra Tavaris & C. Dove “C” sono gli altri costruttori dell’automobilismo che, innovazione vicino a zero, continuano a puntare sull’alimentazione fossile – benzina o gasolio – con motori la cui concezione è vecchia di un secolo. Si potranno pure aggeggiare le auto in modo da renderle un tablet a quattro ruote, ma il loro cuore resta quella macchina il cui rendimento termodinamico fa veramente cacare: dal 30% o poco più del benzina al 40% del diesel. Si butta, cioè, in inquinamento, effetto serra e danni alla salute molto più della metà dell’energia utile alla propulsione. In un secolo, questo è il formidabile risultato ottenuto. Anche il “consulente” Cingolani sa che un motore elettrico ha una buona efficienza, intorno al 70%, e non immette nell’ambiente esterno il particolato sottile, padre di malattie respiratorie e tumori, i gas velenosi per la salute come gli ossidi, di azoto e di zolfo, e gli ipa o la CO2 protagonista del global warming. Infatti, ha già predisposto un tutorial per un confronto completo tra tutti i parametri, che mostra quanto i veicoli elettrici siano superiori a quelli fossili. Lallero!

Non era del tutto scontato che la Meloni si iscrivesse al club degli anaffettivi verso l’effetto serra globale e verso la salute dei cittadini, per come essa è devastata localmente dall’inquinamento da traffico (un terzo del totale, quanto quello da riscaldamento domestico e quello industriale). Jabba, si sa, fa del fregarsene di tutto ciò un titolo di merito, mentre slinguazza in cerca di prede: «Le nostre attività Upstream non genereranno più emissioni nette, la nostra produzione di idrocarburi sarà composta principalmente da gas, la nostra capacità di biocarburanti supererà i 5 milioni di tonnellate all’anno e la nostra capacità di energia rinnovabile sarà superiore ai 15 GW – ha sottolineato – e i nostri investimenti nella tecnologia più rivoluzionaria legata alla transizione energetica (la fusione a confinamento magnetico) saranno prossimi a concretizzarsi nel primo impianto industriale», ha dichiarato (Italpress-4, 23.2.2023). E gongola perché la stroppoletta della “neutralità tecnologica” è ormai brandita anche dal Governo, Meloni in testa. Non certo al di sopra di ogni sospetto, visto che l’unica industria che riescono a concepire è quella Oil & Gas!
Una neutralità a colpi di “benzine sintetiche”, ovviamente da idrogeno “verde”, e “biocarburanti sostenibili”. Ma, “marchetta” a parte – quella a favore di chi si è indecentemente attardato, tra un dieselgate e l’altro, a produrre veicoli coi vecchi motori “fossili” –, anche se si utilizzano i combustibili “puliti” resta il basso rendimento dei motori, che, unito alle perdite della trasmissione dal moto rettilineo dei pistoni a quello rotatorio delle ruote, concede l’utilizzo al più del 20% dell’energia del combustibile. Una considerazione cogente, perché basso rendimento è uguale a maggior consumo di carburante, uguale a maggior costo per l’utente. Ma poi, soprattutto nel caso dei biocarburanti, soddisfare una domanda di decine di milioni di autoveicoli, come in Italia, comporterebbe uno sforzo produttivo e organizzativo che rischia di entrare in competizione con quello necessario per una vera transizione energetica, senza neutralità tecnologica e altre balle. En passant un dettaglio, anche i combustibili “puliti” emettono tanta Co2. È per il basso rendimento e i conseguenti alti costi, oltre alle incertezze di prodotti non sperimentati su larga scala e ai dubbi su una produzione quantitativamente adeguata, che molte case automobilistiche hanno da tempo affiancato alla produzione di veicoli tradizionali quella di veicoli elettrici.

È da quando è premier che la Meloni ha fatto del “piano Mattei” un must del suo governo per “ridare all’Italia la posizione che le spetta nel Mediterraneo”. Un oggetto misterioso, se non per la proclamazione di un hub energetico con l’occhio rivolto al Nord Europa, ma, intanto, per la repressione del fenomeno migranti. Visite in Algeria e in Libia per aumentare le forniture, come anche il raddoppio del gas dall’Azerbaigian, rigassificatori a Piombino e Ravenna per 10 miliardi di metri cubi di gas, quanti l’Italia ne ha importati dalla Russia l’anno scorso. E poi, Emirati, Congo, Angola, Costa d’Avorio, Egitto è tutto quel che, slinguazzando, ha messo a punto Jabba, con a fianco la premier come cavalier servente. Idrocarburi ora e sempre.
Ma quale “piano Mattei”! Mattei era uno che sfidava le Sette Sorelle e rappresentava, sessant’anni fa, una soluzione energetica importante e avanzata – per chi non lo ricorda era la nascita dell’era del petrolio, che, proprio in quegli anni, scalzava il carbone dal primo posto mondiale come fonte energetica primaria. Oggi Jabba cita la fusione a confinamento magnetico per fare il fico e, da buon affarista, ha messo un po’ di soldi nel progetto su cui hanno investito Jeff Bezos (fondatore di Amazon), Jack Ma (fondatore di Alibaba) e Bill Gates (fondatore di Microsoft). Un progetto americano, anche se la tecnologia sembra sorella di una italiana ahimè mai incentivata. Ma è l’alfiere dell’ancien regime. Con la Meloni nei panni di una “lady Oscar” pronta a infilzare le rinnovabili. Eh sì, perché si è tranquillamente pippata come gran risultato quei 15 GW di rinnovabili, munificamente promessi da Jabba per il 2030, che sono il numero di una vergogna addirittura sbandierata: per la stessa data le concorrenti europee dell’Eni promettono, rispettivamente, 100 GW la Total e 50 GW, la BP!
E, ormai senza vergogna, il Mascellone celebra il suo potere, il presidenzialismo garrito da Giorgia lo fa sorridere. Prova a controllare un po’ lo slinguazzamento, calza la parrucca inanellata e, come il Re Sole, ammette ad assistere alla sua prima colazione i dignitari di corte, i primi posti concessi alla premier, a un Tajani deferente e soddisfatto, mentre l’occhio vacuo di Salvini si anima quando sente parlare di “confinamento”. Riuscirà l’ancien regime a reprimere le potenzialità energetiche italiane delle rinnovabili? A far restare indietro, sommerse dai fossili, industria, economia e lotta al global warming? È questo il vero fulcro della battaglia. © RIPRODUZIONE RISERVATA