Già riarmata abbondantemente dalla presidente della Commissione europea in carica durante i cinque anni di ministra della Difesa di Angela Merkel, la Germania sarà la principale beneficiaria del riarmo dei singoli Stati previsti dal ReArm Eu di Ursula von der Leyen. Una gara armata con la vicina Polonia con benefici dubbi per la difesa comune europea rimasta al palo da decenni. Eppure le armi anche nucleari nell’Unione europea abbondano, a cominciare dalla Francia (oltreché Italia, Germania e Belgio). Secondo l’ultimo rapporto del Sipri di Stoccolma, la spesa militare in tutto il Pianeta ha raggiunto nel 2023 il primato di 2.244 miliardi di euro, il 6,8% in più dell’anno precedente. Negli ultimi 15 anni l’aumento più consistente. Non ci basta ancora?


◆ L’analisi di FABIO MORABITO

Il motivo dell’avversione russa per l’adesione dell’Ucraina alla Nato sembra evidente. La Nato è un’alleanza militare, l’Unione europea un’alleanza economica e politica. E nell’Alleanza atlantica è noto il patto di mutuo soccorso tra i Paesi che ne fanno parte, tra cui la prima potenza militare al mondo, gli Stati Uniti. Eppure il patto non è così automatico come molti credono. Nell’articolo 5 dello Statuto dell’Alleanza atlantica è sancito: «Le parti convengono che un attacco armato contro una o più di esse in Europa o nell’America settentrionale sarà considerato come un attacco diretto contro tutte le parti», ma poi la risposta militare è una delle possibilità all’interno dell’azione che si «giudicherà necessaria». Il Trattato dell’Unione europea, all’articolo 42, paragrafo 7, stabilisce invece un dovere che potrebbe essere considerato perfino più cogente: «Qualora uno Stato membro subisca un’aggressione armata nel suo territorio, gli altri Stati membri sono tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso».

Di Difesa europea, e di esercito comune, si parla da tempo. A proporre l’esercito comune fu l’italiano Carlo Sforza, ministro della Repubblica nel 1950, e già ministro nella monarchia pre-fascista. Proposta accolta dai francesi, che però ci ripensarono una volta scoppiata la guerra di Corea: si temeva che potesse avere “effetti collaterali” sul fronte sovietico. Secondo il generale dell’Areonautica Vincenzo Camporini, per tre anni Capo di Stato maggiore della Difesa, servono decenni per un esercito comune. Ma al contrario basterebbero poche settimane per mobilitarsi, perché in questi anni le truppe europee hanno già partecipato insieme a tante diverse operazioni militari.

Macron è tra i più favorevoli, pronto a condividere come difesa europea la sicurezza (e le spese) dell’arsenale atomico francese, ma naturalmente volendo mantenerne il controllo. La Francia ha 290 testate nucleari, unica nell’Unione ad essere “potenza atomica”. La Gran Bretagna 225. Con la Brexit, Londra ha mantenuto un accordo con Parigi di difesa militare. Poi, in Europa, ci sono le testate nucleari americane. Il Paese che ne ospita di più è l’Italia (35). C’è “l’ombrello nucleare”. Ma c’è anche un mercato delle armi, dominato dagli Stati Uniti, che avrebbe il maggior beneficio dal potenziamento degli arsenali. Tra i più “allarmati”, la Polonia. Il primo ministro Donald Tusk ha preannunciato il ripristino di un addestramento obbligatorio militare. E a Varsavia si parla di ritirare l’adesione dalle Convenzioni che proibiscono l’uso delle mine antiuomo e delle bombe a grappolo.

Il termometro, anche militare, è bollente in tutto il mondo: secondo l’ultimo annuario dell’Istituto internazionale di Stoccolma per la ricerca sulla pace (Sipri), la spesa militare del pianeta ha raggiunto nel 2023 il primato di 2.244 miliardi di euro, il 6,8% in più dell’anno precedente. Negli ultimi 15 anni l’aumento più consistente. A soffiare sulla corsa agli armamenti c’è la constatazione che gli equilibri del mondo sono cambiati, soprattutto come effetti collaterali dell’invasione in Ucraina. La Nato, che era in crisi d’identità, si è allargata a Svezia e Finlandia. Isolata dalle sanzioni, la Russia ha cercato nuovi alleati politici, e ne ha trovato uno pesante nella Cina. L’Europa delle sanzioni è poi andata a comprare il petrolio da chi commercia con la Russia (come ha fatto l’Italia con l’Algeria) di fatto neutralizzando gli effetti per Mosca. La crisi energetica si è fatta sentire in Europa, e i maggior costi hanno frenato la crescita economica.

Ma le conseguenze sul piano politico sono state ancora più pesanti. La Germania, che dopo la Seconda guerra mondiale era diventato il Paese più anti-bellico dell’Unione, con il governo di centro-sinistra e dei verdi (nati in questo Paese come eco-pacifisti) ha rotto il suo tabù e con Varsavia, Parigi e Londra ha accettato l’uso di carri armati in territorio russo per la campagna di Kursk, quest’estate. Kursk, località-simbolo, per lo scontro (e la disfatta) dei carri armati nazisti contro i sovietici nella Seconda guerra mondiale. Sono i segnali di un’idea di pace che nella sua rigidità aveva trovato la sua forza, e che avevano permesso alla Germania di avere la posizione più saggia, chiamandosi fuori quando sono stati commessi crimini come i bombardamenti in Iraq per inesistenti “armi di distruzione di massa” e in Libia, per fermarsi solo alle guerre più recenti del “buon” Occidente. Eppure, ancora oggi si potrebbe dire: la miglior Difesa è la Pace. — (2. fine; la prima parte è stata pubblicata qui ieri, giovedì 3 aprile)

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Primo articolo pubblicato a quindici anni sul "Calcio illustrato". Un libro a vent'anni sulla storia del Partito radicale da Pannunzio a Pannella. Due contratti in Rai, collaborazioni con radio e tv private, migliaia di articoli in una ventina di testate diverse in Italia e all'estero. Oltre trent'anni di lavoro al Messaggero, dove si è occupato di cronaca, politica, sport, interni, esteri. È stato presidente dell'Associazione stampa romana e componente di Giunta della Fnsi, il sindacato nazionale dei giornalisti. Ha coordinato e condotto decine di corsi di formazione professionale